Del concorso DS

Del concorso DS

di Maurizio Tiriticco

I numerosi interventi su FB a proposito del prossimo concorso DS, soprattutto quelli di Franco De Anna e di Giancarlo Cerini, mi spingono – come si suol dire – a dire la mia! Molto sommessamente. E comincio da lontano. Un dirigente scolastico non è OGGI quello che IERI era il DIRETTORE DIDATTICO o il PRESIDE. Ricordo benissimo quante battaglie sono state condotte tanti anni fa da presidi e DD per diventare DS, e da me condivise. Attenzione! Mentre una volta presidi e DD avevano compiti essenzialmente esecutivi – in quanto trait d’union tra l’amministrazione e l’unità scolastica da loro diretta – con il varo dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, i loro compiti sono stati profondamente cambiati. E’ sufficiente leggere il relativo dpr attuativo, il 275/99, istitutivo dell’autonomia scolastica, e la nuova distribuzione dei compiti all’interno della “comunità scolastica”, se si può usare questa espressione.
In quella occasione l’amministrazione affidò a più enti il compito di organizzare una serie di corsi di riconversione, se è corretto usare questa parola! Ai quali partecipai come docente, anche se spesso mi sentivo dire: “Caro ispettore! Sono vent’anni che dirigo una scuola! Che cosa pensa che io debba imparare di più?”. Ed io a insistere sui cambiamenti profondi indotti dal 275! Che poi discendeva da una legge delega, la 59/97, con cui si attribuiva al governo la delega per “il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa”. Quindi, si trattava di attivare cambiamenti e innovazioni non da poco, che non riguardavano solo la scuola in quanto tale, ma che configuravano un insieme di azioni di un’istituzione scolastica autonoma del tutto nuove rispetto a quelle del passato. Ed in un’ottica di un apparato statale “diverso” rispetto a quello di sempre.
E’ sufficiente leggere l’articolo 4 del detto dpr per comprendere quante innovazioni sia possibile apportare in una singola istituzione scolastica! E non solo! Sono indicate innovazioni anche a livello di rete, di cui all’articolo 7. Ma queste profonde innovazioni normative che di fatto “aggredivano” anche le competenze di un DS implicavano ed implicano, a mio parere, l’accesso, da parte dei “nuovi” dirigenti scolastici, ad una letteratura ed a compiti che riguardano competenze che sono di natura manageriale. Anche se l’espressione relativa al DS/manager non era e non è del tutto corretta, stante sempre il fatto che il DS non cessa mai di essere in primo luogo – come si suol dire – un funzionario dello Stato. E non è un libero professionista,
Non voglio andare troppo lontano nel tempo, ma è sempre bene ricordare che un’organizzazione del lavoro rigidamente gerarchica, quale attuata, ad esempio, da un Henry Ford nelle sue fabbriche di automobili nei primi anni del Novecento, fu messa in discussione da un Elton Mayo. Il quale, com’è noto, fu autore della teoria della Human Relations: Mayo dimostrò infatti, dopo una serie di ricerche/azioni condotte presso la Western Electric Company di Hawthorne, quanto fosse importante per un “capo” avviare un particolare clima organizzativo e cooperativo tra gli operai, in forza del quale potevano sentirsi protagonisti dei loro prodotti, e non semplici e passivi esecutori. Il che di fatto incrementa la produttività dell’azienda. Erano anni in cui era anche forte la condanna di condizioni di lavoro considerate alienanti per la condizione umana. Ed è forse opportuno ricordare che il concetto di alienazione era stato adottato da Marx, quando volle indicare quel tipo di processo lavorativo a fronte del quale l’operaio è assolutamente estraneo in ordine sia alla progettazione del prodotto che alle sue finalità. Sembra opportuno ricordare anche quelle mirabili scene di quello splendido film del 1936, “Tempi moderni”, in cui l’operaio Charlot, a fronte della catena di montaggio a cui è inchiodato, agisce come un burattino eterodiretto. Per non dire poi di “Metropolis”, l’agghiacciante film muto del 1927 diretto da Fritz Lang, dove si prevede che, in un futuro 2026, gli industriali governano la città di Metropolis dai loro grattacieli, mentre gli operai sono relegati nel sottosuolo a lavori massacranti di cui non conoscono né le ragioni né le finalità.
Ma l’industrializzazione selvaggia di quegli anni non era scevra da critiche, dirette e indirette! Quindi lotte operaie da un lato e riflessioni anche filosofiche dall’altro! Nel 1916 a New York vide la luce “Democracy and Education”, di John Dewey: un classico per chiunque si occupi di educazione ed educhi! E’ opportuno ricordare che in Italia l’opera fu pubblicata soltanto nel 1949 da La Nuova Italia di Firenze, a guerra conclusa, curata da Enzo Enriques Agnoletti e Paulo Paduano, stante il fatto che l’educazione nazionalista e fascista non avrebbe mai potuto tollerare, quanto meno avallare, le argomentazioni di un Dewey in materia di educazione democratica. In effetti, non era stato un caso che con il fascismo il Ministero dell’Istruzione venne ridenominato pomposamente Ministero dell’Educazione Nazionale! Un’educazione a senso unico, quindi! E non fu un caso che il motto allora corrente era che “i figli d’Italia son tutti Balilla”! Comunque, dagli anni venti molta acqua è passata sotto i ponti e la ricerca pedagogica ha fatto passi da gigante. Ed ha insistito non solo sul rapporto discente/docente – tema classico, si può dire – ma anche e soprattutto sulle dinamiche interne ad un gruppo di alunni. E’ sufficiente ricordare l’attenzione condotta da Jacob Levi Moreno negli anni venti e seguenti sulla relazioni che intercorrono tra i membri in un gruppo – quindi tra gli alunni in un gruppo classe – e delle modalità con cui si possono intercettare ed eventualmente correggere: utilizzando uno strumento di rilevazione che lui chiamò sociogramma.
Per non dire poi delle ricerche di R. R. Blake e S, S, Mouton, con “Gli stili di direzione” (Etas Kompass Milano, 1969) e di P. Hersey e K. Blanchard, con “Leadership situazionale, come valutare e migliorare le capacità di gestione e guida degli uomini” (Milano, Sperling e Kupfer, 1984). In conclusione, possiamo dire che, quando si dirige un’attività lavorativa, qualunque essa sia, in un’azienda, in un ufficio, quindi anche in una istituzione scolastica – nonché nella stessa aula scolastica, perché lo studium, nonostante l’etimologia, è lavoro – l’attenzione e la cura del responsabile è sempre duplice: a) verso gli obiettivi da perseguire e conseguire: b) verso gli operatori, i soggetti, le persone che sono coinvolte. Se ricorriamo a un diagramma cartesiano, possiamo individuare sull’asse delle ordinate gli obiettivi che i soggetti (nel caso di una classe scolastica, gli alunni) devono raggiungere; e sull’asse delle ordinate le persone, i soggetti, appunto, gli alunni. Potremmo così individuare: a) un insegnante preoccupato soltanto degli obiettivi da far raggiungere agli alunni, quindi dei contenuti della materia di insegnamento; b) un insegnante preoccupato invece dei bisogni e delle motivazioni e delle potenzialità degli alunni. E potremmo definite il primo insegnante rigoroso e severo; il secondo un insegnante accomodante e permissivo. Ovviamente si tratta di casi estremi, perché, se è vero che la virtù sta nel mezzo, è opportuno che una corretta bisettrice tenga sempre in un corretto equilibro le esigenze dei soggetti che apprendono e gli oggetti da apprendere. Insomma, un’indicazione per l’insegnante perfetto?
E tutto ciò è un contributo per chi si accinge a guidare consigli di classe e collegi di insegnanti? Ad attivare rapporti con le istituzioni del territorio? E ad occuparsi di mille altre cose ancora? Non lo so, ma ci ho provato!