Ue alla carica sulle supplenze

da ItaliaOggi

Marco Nobilio

Il 25 luglio scorso la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia sollecitando il nostro paese a prevenire l’abuso dei contratti a tempo determinato e ad evitare le condizioni di lavoro discriminatorie nel settore pubblico (decisione n. 20144231 del 25.07.2019). La questione riguarda la scuola per quanto riguarda la sola reiterazione oltre i 36 mesi delle supplenze annuali (fino al 31 agosto) e per il mancato riconoscimento degli scatti di anzianità ai precari. L’abuso dei contratti a termine oltre i 36 mesi è stato oggetto, peraltro, di un contenzioso seriale che è stato già definito dalle magistrature superiori, compresa la Corte di giustizia europea. La Cassazione il 7 novembre del 2016, con le sentenze 22252,22253,22254 e 22257, aveva dichiarato, infatti, che la reiterazione dei contratti prevista dal nostro ordinamento era da considerarsi legittima. La Suprema corte aveva ricostruito tutto l’iter legislativo in materia di assunzioni a tempo determinato nella scuola. Ed aveva recepito la giurisprudenza della Corte di giustizia europea e della Corte costituzionale, confermando il proprio orientamento sul divieto di stabilizzazione automatica dei precari della scuola.

In più, aveva spiegato in quali casi sia dovuto il risarcimento del danno da abuso di contratti a termine, fissando l’entità del relativo importo da un minimo di 2,5 mensilità di retribuzione a un massimo di 12, fatte salve le maggiorazioni da 10 a 14 mensilità per i precari che vantino un’anzianità di servizio superiore, rispettivamente, ai 10 e ai 20 anni di servizio. Infine, con la sentenza 22258, sempre del 7 novembre 2016, aveva confermato la non applicabilità degli scatti biennali ai docenti precari che avessero insegnato materie diverse dalla religione cattolica. Ma aveva dichiarato il diritto di questi ultimi a vedersi riconoscere i gradoni così come avviene per i docenti di ruolo.

La Cassazione aveva spiegato, inoltre, che qualora la reiterazione fosse stata effettuata su posti o cattedre vacanti e disponibili, erroneamente qualificati dall’amministrazione scolastica come posti o cattedre dell’organico di fatto, sarebbe stato comunque onere del lavoratore precario ricorrente quello di dimostrare tale errore. In assenza di tale adempimento, il diritto al risarcimento del danno non sarebbe sussistito.

In ogni caso, sono da considerarsi legittime anche le reiterazioni dei contratti di supplenza su posti e cattedre di organico di diritto se effettuate prima del 10 luglio 2001. Termine previsto dall’articolo 2 della direttiva della comunità europea 1999/70/CE per l’adozione da parte degli stati membri delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alle disposizioni in essa contenute per porre fine all’abuso di contratti a termine. Nondimeno, anche in presenza di abuso di contratti a termine, se nel frattempo gli interessati fossero stati assunti a tempo indeterminato, la stabilizzazione avrebbe cancellato definitivamente il diritto al risarcimento del danno. Per coloro che, dal 10 luglio 2001, non fossero stati immessi in ruolo e che non avessero avuto alcuna certezza di stabilizzazione (per esempio , perché non inseriti nella graduatorie a esaurimento oppure nelle graduatorie di merito dei concorsi ordinari) se la reiterazione avesse riguardato periodi eccedenti i 36 mesi su posti o cattedra vacanti e disponibili in organico di diritto, avrebbe dovuto essere «riconosciuto il risarcimento del danno nella misura e secondo i principi affermati nella sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n.5072 del 2016». E cioè « nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto».

Nel caso dei docenti e del personale Ata, la misura massima del risarcimento avrebbe potuto essere maggiorata fino a 10 mensilità per chi avesse vantato un’anzianità di servizio superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per chi avesse maturato un’anzianità di servizio superiore ai 20 anni (si veda l’articolo 8 della legge 664/66). Il risarcimento del danno, dunque, non consiste nel riconoscimento degli scatti di anzianità. Che però possono essere fatti valere a parte con ulteriori azioni. Sempre con la sentenza 22558, la Suprema corte, infatti, aveva escluso il diritto agli scatti biennali, riservato ai docenti di religione. Ma aveva dichiarato il diritto del ricorrente a vedersi riconoscere i cosiddetti gradoni, disapplicando le disposizioni che prevedono l’inquadramento dei docenti precari sempre nella classe inziale della progressione di carriera: la cosiddetta classe «0». Secondo la Cassazione, infatti, la normativa europea preclude agli stati membri di applicare ai precari un trattamento sfavorevole rispetto ai colleghi di ruolo. Pertanto, le questioni dove l’Italia potrebbe andare incontro a sanzioni da parte dell’Unione europea riguardano la reiterazione oltre i 36 di contratti di supplenza annuale e il mancato riconoscimento degli scatti di anzianità ai precari.