Per una didattica labotatoriale

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Per una didattica labotatoriale

di Patricia Tozzi

L’organizzazione didattica della scuola moderna prevede il riconoscimento di un solo tipo di differenza: la classe per età. Oggi sappiamo che, in effetti, nemmeno due gemelli omozigoti sono identici e che apprendono in modo diverso: quindi la tanto decantata lezione frontale, che alcuni dei nostri grandi intellettuali rimpiangono, potrebbe, e secondo me è così, essere non più efficace. Questi illustri personaggi, che negli ultimi giorni hanno scritto sui maggiori quotidiani nazionali, mancano dalla scuola da almeno qualche decennio e forse non hanno ben chiaro come sono le scuole e le classi oggi. Non hanno ben chiara la differenza fra nativi digitali e nativi cartacei, e non si rendono conto di come i nostri alunni siano in grado di reperire un contenuto in pochi secondi, con un click, in tutto il mondo del web. E a scuola spesso si annoiano davanti ad un insegnante che parla, a meno che non abbia un carisma ed una cultura straordinaria! Ma anche in quel caso qualcuno si perderà.
Inoltre, a scuola, troppo spesso viene disattesa una corretta formazione delle classi prime, perché di fatto si favoriscono richieste dei genitori e talvolta anche dei docenti, a discapito dei diritti degli alunni. In realtà, questi apprendono meglio nelle classe etorogenee, qualora, nel contempo, vengano introdotti in modo corretto ed equilibrato strumenti non solo compensativi o dispensativi, ma anche percorsi di didattica laboratoriale personalizzanti. Inoltre, la scuola italiana dal 1977 si fa carico di allievi con disabilità e dal 2010 riconosce i cosiddetti Bisogni Educativi Speciali di cui alcuni alunni sono portatori.
E va anche ricordato che non sempre alcuni istituti scolastici hanno modificato la loro organizzazione generale e hanno sfruttato le opportunità che il DPR sull’autonomia, entrata in vigore nel 2000, ha messo a disposizione. Quindi qualche responsabilità la hanno anche i dirigenti scolastici, perché in effetti sono loro a dover guidare l’innovazione, a regolamentare l’introduzione di strumenti digitali, a favorire la personalizzazione degli insegnamenti, a far capire ai docenti che misurare non è valutare e che per certificare competenze ci vogliono attività particolari dalle quali trarre evidenze operative, appunto, certificabili.
Per non dire, poi, di tutte le polemiche in atto sulle competenze! Anche il nostro ministro ora parla di perseguire più attitudini e meno competenze, forse senza riflettere sul fatto che il termine attitudine, usato dall’Ocse nelle sue indagini, trova la sua esatta traduzione nel termine “atteggiamento”. Pertanto, solo attività mirate alla certificazione di competenze di cittadinanza, che di fatto aiutano i ragazzi a vivere la società attuale da cittadini responsabili, ci permettono di osservare atteggiamenti e comportamenti su cui “lavorare” per migliorare anche l’educazione civica dei nostri alunni: ovviamente, utilizzando gli indispensabili contenuti ad hoc. Per non dire poi dell’errori in cui cadono molti docenti, in quali pensano che, se ci si preoccupa di certificare competenze, si trascurano i contenuti! Ma non è così perché “le competenze senza le conoscenze sono cieche”. E va detto che si possono veicolare tutti i contenuti possibili attraverso metodologie più accattivanti che riescano ad interessare l’alunno e ad aiutarlo a “tirare fuori” tutta la sua creatività!
E vorrei anche aggiungere che, come insegnante, pensare che a scuola si debbano dedicare 33 ore all’Educazione Civica, mi ha fatto dapprima sorridere e poi indignare!!! Si, perché io “ho fatto” Educazione Civica in ogni momento della giornata scolastica. Le regole in aula c’erano e andavano rispettate! Si lavorava in gruppo e ci si aiutava attraverso il peer-tutoring, si apprendeva tutto in gruppo e si ricercavano sempre altre informazioni, ovviamente rispettando le fonti, gli autori; e si imparava a scrivere in modo chiaro e sintetico, “imparando facendo” anche la “grammatica della matematica”! Ma tutti insieme, nessuno escluso!
Ovviamente, “un po’” di lezione frontale non mancava: si deve anche apprendere ad ascoltare, a comprendere, a memorizzare. Ma il vero cuore di questa attività era la didattica laboratoriale, in forza della quale ogni alunno dava il suo personale contributo, in base alle sue attitudini (che vanno pur sempre considerate) all’interno di una didattica che altro non era che una didattica laboratoriale per competenze, dove tutti facevano tutto, secondo le loro capacità, e tutti alla fine sapevano tutto.
Non ho mai capito come fanno gli insegnanti che hanno due ore intere a spiegare spiegare e a interrogare interrogare!!! Ma, quando l’insegnante interroga un alunno, che cosa fa la maggior parte degli alunni non interrogati??? Raramente ascoltano partecipi, perché “non è toccato a loro”!!! Quanto tempo viene perso! In realtà penso che ci sia ancora molto da fare nella scuola e per la scuola. Ma resta fondamentale il fatto che, comunque, il mestiere dell’insegnante oggi è faticosissimo! E chi in aula non c’è, non può capirlo nemmeno lontanamente.
Per non dire che poi c’è l’Invalsi! Il che un po’ mi sconvolge! Anche quest’anno l’istituto, con i dati pubblicati, certifica che, nel nostro sistema scolastico, in italiano e in matematica ci sono le solite criticità. Nonché un consistente tra le regioni del Nord, quelle del Centro e quelle del Sud. Vogliamo parlare anche dei risultati dell’apprendimento della lingua inglese? Sono veramente imbarazzanti! Solo uno studente su tre, dopo aver studiato per ben 13 anni questa lingua, riesce, secondo questi dati, a raggiungere livelli appena accettabili!
L’INVALSI continua ogni anno a rappresentare sostanzialmente una stessa fotografia della nostra scuola: grandi differenze tra nord e sud e dove ci sono situazioni socio-economiche difficili i dati rivelano maggiori criticità. A questo punto mi chiedo quale sia l’utilità dell’Invalsi, visto che queste rilevazioni hanno costi esorbitanti e non c’è da ben undici anni di rilevazioni una ricaduta positiva, almeno infinitesimale, sulle scuole. Ma cosa è stato fatto per recuperare la situazione in termini di supporto, investimenti e processi migliorativi?
Le scuole, oberate di lavoro, occupate a riempire carte su carte (PTOF, Curricoli, RAV, PdM, Bilanci sociali e quant’altro), che poi nessuno legge, riescono a riflettere sulla necessità di rivedere strategie didattiche e introdurre qualche cambiamento innovativo finalizzato a migliorare i risultati raggiunti? Oppure i PTOF, i curricoli verticali e quant’altro, sono prodotti soltanto per essere pubblicati sulla “Scuola in Chiaro”, senza che ciò produca alcuna ricaduta effettiva sugli insegnamenti?
Per non dire poi che anche l’Invalsi ha fatto confusione! La sua attività sui prodotti scolastici afferisce alla misurazione o alla valutazione? Si tratta di due attività ben distinte, selle quali però i ricorrenti dpr ministeriali sulla valutazione non dicono nulla. Chiediamoci se queste prove, così come sono organizzate e somministrate, riescano veramente a verificare in tempi stretti le reali capacità, abilità conoscenze, e competenze che inostri studenti sono tenuti a conseguire al termine di un dato periodo scolastico?
Comprendere un testo, argomentare, risolvere problemi, sono percorsi complessi che richiedono tempo e forse ai nostri alunni non viene dato abbastanza tempo per riflettere! Alcune esperienze dimostrano che le stesse prove, utilizzate dagli insegnanti con i loro alunni, dando loro il tempo necessario, possono migliorare la competenza di argomentare e quella di risolvere problemi.
I docenti conducono un lavoro faticoso e di grande responsabilità. E si sentono molto in ansia quando la restituzione capillare dei dati, alla scuola fa ricadere su di loro responsabilità che spesso sono dovute ad altri fattori, quali, ad esempio, una composizione sbagliata delle classi, che non sempre sono omogenee tra loro ed eterogenee al loro interno, oppure un contesto sociale e/o famigliare non sereno.
Insomma, se da ben undici anni si denunciano le stesse criticità e non ci sono miglioramenti – consapevoli che i miglioramenti richiedono tempi lunghi – forse anche l’Invalsi deve farsi qualche domanda! Ed anche i nostri governanti! Una mirata competenza didattica da parte dei nostri insegnanti deve diventare prioritaria! E la formazione in servizio può essere una soluzione per promuovere concretamente processi di miglioramento nella scuola.
Ma, soprattutto, occorre pensare ad una sera riduzione delle “carte” e della “burocrazia”. Il che andrebbe a vantaggio del tempo scuola e dell’energia da impiegare per migliorare i processi di apprendimento degli alunni. Ma occorre motivare gli insegnati all’aggiornamento, o meglio a concrete attività di “formazione continua in servizio”. Anche perché molti sono i cambiamenti in atto nel sociale! E molto sono cambiati alunni!
Concludendo, riflettere su tutto ciò non farebbe male. Perché da una riflessione attenta può nascere una serie di interventi produttivi e mirati!