Educazione Civica in aula…
di Maurizio Tiriticco
…costantemente e sempre, perché?
Cerco di rispondere. Ho sempre guardato con sospetto, anche quando insegnavo, all’insegnamento, tout court, dell’Educazione Civica. Infatti, non c’è nulla di peggio di un insegnante cattedratico e direttivo che dice agli alunni: “Ora vi insegno l’Educazione Civica”! In realtà, invece, non c’è nulla di meglio quando un insegnante con i suoi alunni legge e commenta la nostra bella Carta Costituzionale. Tullio De Mauro a suo tempo constatò che la Costituzione è comprensibile da tutti. Ha affermato infatti che, anche se il testo è costituito di 9369 parole (circa 30 cartelle), le singole frasi non superano in media le 20 parole e i lemmi utilizzati sono 1357, di cui 1002, cioè il 92,13 per cento del testo, appartengono al vocabolario di base della lingua italiana. In altre parole, i Padri e le Madri Costituenti si preoccuparono del fatto che gli Italiani tutti – nell’immediato dopoguerra l’analfabetismo era ancora presente – potessero leggere e far proprio quel Patto costituzionale del tutto nuovo rispetto a quello Statuto Albertino, risalente al lontano 1848, di cui il fascismo per altro aveva fatto strame!
Scrivo questo perché non vorrei che, stante il futuro obbligo dell’insegnamento dell’Educazione Civica, o meglio all’esercizio concreto, in aula per la vita, di una Cittadinanza Attiva, questa diventasse un’ulteriore noiosa materia di studio, eventualmente resa ancora più noiosa da un insegnante demotivato e che ritiene che il “nuovo insegnamento” toglie tempi e spazi preziosi – come spesso si suol dire – alla “propria disciplina”. Ho sempre pensato e scritto – ed anche attuato, quando insegnavo, almeno penso – che il miglior modo di insegnare qualcosa a qualcuno è quello di coinvolgere questo qualcuno e, se si vuole, renderlo addirittura complice dell’operazione! In realtà, a monte di tutto c’è sempre la concreta metodologia che un insegnante adotta quando entra in aula e sa di avere a che fare con soggetti che a tutto pensano, fuorché al prestare attenzione a ciò che dirà! Ed è proprio in questo verbo “dire” la chiave di tutto! Perché in realtà per un insegnante il dire è il “fare lezione”, dire cose a lui note, ma assolutamente nuove per la platea che è tenuta ad ascoltarlo.
E non c’è nulla di peggio di un rapporto tra umani fondato solo sul dire. Perché gli umani intessono i loro rapporti essenzialmente sul fare. Pertanto, ho sempre tentato di sostituire al “dire” il “fare”, o meglio al fare insieme. E ciò valeva non solo per le mie discipline di insegnamento – le cinque materie cosiddette di base, italiano, latino, greco, storia e geografia! Ahimè! Il ginnasio di un tempo! – ma anche per l’educazione civica! O cosiddetta tale! In effetti non è un’espressione che susciti un immediato entusiasmo! Ma, se la leghiamo alla concreta realtà dell’imparare a “stare insieme” in quelle lunghe ore di aula, allora le cose cambiano. Occorre cercare di “stare insieme”, insegnanti ed alunni, nel modo più produttivo possibile, quindi in primo luogo cercare di attenuare, se non di rompere, quel disframma che da sempre vede da un lato una persona che sa e parla e dall’altro altre persone, nel nostro caso adolescenti, che non sanno e devono ascoltare e apprendere. Ovviamente il diaframma concettualmente resta, ma fattivamente può e deve essere superato. Il segreto per far ciò è quello di rendere protagonisti attivi i soggetti che sono tenuti ad apprendere.
La questione è quindi di metodo! Ed il metodo migliore è quello di avviare, condurre e realizzare una didattica attiva, coinvolgente: una didattica laboratoriale. Chi legge può trovare sul web tutte le definizioni che si possono dare di questa tipologia didattica, la quale per altro è anche suggerita e consigliata sia dalle Indicazioni Nazionali (istruzione obbligatoria e licei) che dalle Linee Guida (istruzione tecnica ed istruzione professionale) recentemente pubblicate dal Ministero dell’Istruzione.
Sostanzialmente si tratta di cancellare, e non solo visivamente, quel diaframma che da sempre divide chi insegna da chi apprende, cioè la cattedra, che in genere è anche sostenuta da una pedana, la quale da sempre intende sottolineare l’autorità di chi sa nei confronti di coloro che non sanno e che sono disposti su dei banchi, spesso scomodi, o disadorni tavolini. Dove sono disposti gli alunni, che devono essere “alimentati”, in genere disposti in modo tale che uno debba per un intero anno scolastico vedere la nuca del compagno davanti. Già a questo proposito ci sovviene la prossemica, quella disciplina che studia come e perché le posizioni spaziali condizionino i rapporti interpersonali. Maestro ed alunni, cattedre e banchi! Disposizione spaziale studiata da sempre per giustificare la lezione cattedratica.
Rompere uno schema spaziale per costruirne un altro è essenziale per rompere una tipologia di rapporti interpersonali in favore di un’altra. E va aggiunto che si tratta di uno schema che deve essere rotto! E proprio oggi perché l’insegnante e il libro di testo non sono più i depositari unici del sapere. Oggi è sufficiente un click sul cellulare per accedere ad ogni tipologia di informazioni e di conoscenze. L’importante è sapere come, quando e perché usare quel click. A fronte di tale fenomenologia, il sapere stesso dell’insegnante viene messo a dura prova. Il sapere certamente, ma anche la metodologia. In altri termini siamo passati dall’insegnante inteso come fonte del sapere all’insegnante inteso, invece, come mediatore dei saperi. Pertanto, sotto il profilo spaziale, nulla di meglio che gli alunni possano essere posti in cerchio, o comunque in modo tale che possano vedersi vicendevolmente negli occhi.
Si tratta di un contesto/scenario non solo fisico! Perché oggi l’insegnante è più un metodologo, amministratore dei saperi – se mi è concessa questa espressione – che un incontestabile depositario di conoscenze. Ovviamente, la cultura disciplinare deve sempre essere forte, nonché quella pluri- ed interdisciplinare. Ma è soprattutto il metodo a farla da padrone! Ed oggi una corretta gestione della dinamica di gruppo, o meglio la già ricordata didattica laboratoriale è quella necessaria e vincente. E’ una didattica con cui si apprende a stare insieme, a lavorare insieme, a studiare insieme, a produrre insieme. Ed è sotto questo profilo che va letta e, quindi correttamente realizzata quell’Educazione alla Cittadinanza attiva a cui ci richiama una recente normativa. Alludo al fatto che la norma relativa all’insegnamento dell’Educazione Civica deve essere pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e, quando lo sarà, occorreranno 15 giorni perché entri in vigore. Pertanto non è dato sapere se tale disciplina entrerà in vigore con il prossimo anno scolastico. Comunque resta sempre il fatto che ciascun insegnante, qualunque materia insegni, è pur sempre anche un educatore civico! Per cui non è tenuto ad aspettare una legge perché… civicamente non educhi!