Scuola e università, il coraggio di dire qualcosa di sinistra

da Il Tirreno ed. Livorno 31.7.2019

Fra plebe che rivendica la propria ignoranza e élite che trascura chi è rimasto indietro 

Scuola e università, il coraggio di dire qualcosa di sinistra 

L’INTERVENTO – Quasi centocinquant’anni orsono Francesco De Sanctis nella sua prolusione napoletana su La scienza e la vita argomentava come la scienza che non sapesse farsi vita fosse destinata a rimanere sterile e poneva l’obiettivo culturale e politico di far diventare la plebe un popolo. I processi di globalizzazione rischiano di condurci a una Italia divisa tra una élite astrattamente cosmopolita che non capisce e non pensa suo dovere essere parte di un popolo, per la quale i rimasti indietro o i persi per strada nel cammino sono immeritevoli e quindi colpevole di non aver capito in tempo e abbastanza, e una nuova plebe orgogliosa della sua ignoranza linguistica economica e finanche religiosa. Mettere in grado le persone di capire e di affrontare il mondo che cambia è una precondizione per metterle in grado di «dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società» secondo quanto recita l’art. 4 della nostra Costituzione, è un dovere morale e anche un interesse economico perché allarga le basi del mercato interno. La sostenibilità buona non può essere quella basata sul disagio di una parte crescente della popolazione. Prima delle questioni è quella delle dimensioni della spesa pubblica ovvero del suo adeguamento ai livelli della media Ue. L’ordine di grandezza delle risorse da recuperare potrebbe essere un punto di Pil; dentro queste si deve pensare alle retribuzioni degli insegnanti e al contrasto alla povertà educativa che nel mezzogiorno è fortemente intrecciata con la marginalità sociale. A questa condizione sarà possibile fornire una preparazione di base solida che tenga insieme le esigenze della cittadinanza con quelle della occupabilità, in cui imparare ad imparare si impara imparando bene qualcosa, tenendo insieme principi e casi di studio, o che dir si voglia conoscenze e competenze .In un sistema educativo e formativo di livello europeo la formazione iniziale e permanente del personale è una funzione normale del sistema di cui sono parte l’università e la scuola; non può essere una questione che riguarda solo i pedagogisti e/o gli esperti delle didattiche disciplinari. Le docenze devono essere adeguatamente retribuite valorizzate tanto nelle carriere degli accademici quanto in quelle degli insegnanti; solo così la formazione degli insegnanti non sarà un qualcosa di autoreferenziale ma una delle funzioni. La pubblica istruzione, di cui sono parte l’Università e tutte le istituzioni di qualsiasi livello che rilasciano titoli aventi valore legale, deve essere una organizzazione che apprende; può essere tale se ha consapevolezza dei processi e se tale consapevolezza è propria non solo del centro ma di ogni livello e componente del sistema; un buon esempio di metodo rimane il libro bianco del 2007. Non ultima necessità è quella di un sistema di regole certe e ragionevolmente stabili a partire da un testo unico di settore.

prof. Angelo Gaudio
docente di storia della pedagogia all’Università di Udine