Scuola tutta da rifare “Analfabeta funzionale un adolescente su tre”

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da Corriere della sera

Maria Berlinguer

La scuola questa sconosciuta. Tra dieci anni saranno un milione e trecentomila gli studenti che diserteranno l’appello del primo giorno di scuola. Il trend demografico parla chiaro. In due lustri il turnover riguarderà il 40% degli insegnanti, che ancora incidono per il 90% sul bilancio del Miur. Un’occasione d’oro per cambiare il volto del sistema formativo a parità di spesa. È la sfida che lancia alla politica Tuttoscuola, la rivista specializzata che a poche ore del gong della campanella di inizio anno pubblica un report che è anche un appello al mondo politico perché la smetta di affrontare a suon di tweet e di like un tema dal quale dipende in buona sostanza il futuro del Paese. «L’emergenza educativa e la formazione culturale delle nuove generazioni dovrebbe essere al centro del dibattito politico. Eppure il grande assente anche in questa crisi di governo è la scuola, probabilmente perché non è spendibile nell’immediato e va affrontato nell’ottica del medio e lungo periodo e non in previsione di elezioni ravvicinate», spiega Giovanni Vinciguerra, direttore di Tuttolibri. Il dimagrimento del sistema di istruzione da problema può però trasformarsi in chance per rivoluzionare e finanziare tutte le strutture formative (scuola, università, ricerca e formazione), investendo su un modello che tenga conto degli ulteriori progressi delle nuove tecnologie, delle neuroscienze, della robotica. A patto che nessuno, come invece sembra probabile, intenda gettare i futuri risparmi che arriveranno nel calderone del bilancio dello Stato.
Qualche numero può aiutare a inquadrare il problema e lo stato dell’arte. Il 39% degli italiani nella fascia tra i 25 e i 64 anni non ha un titolo di studi superiore alla terza media. Il 30% è analfabeta funzionale, il doppio rispetto alla media europea (15%). Un analfabeta funzionale è più incline a credere a tutto ciò che legge in maniera acritica, visto che, come certifica Piaac-Ocse, non riesce a comprendere quello che legge. I dati Invalsi di quest’anno ci dicono che il 35% degli alunni non è in grado di comprendere un testo in italiano con un picco del 50% in Calabria. Dati ancora peggiori per l’inglese e la matematica dove le percentuali della non comprensione variano geograficamente dal 32% del Nord al 56% di Sud e isole. Negli ultimi vent’anni 3 milioni e mezzo di studenti su 11 hanno lasciato la scuola secondaria superiore. Un’emorragia che è costata cara anche in termini economici. In ogni caso la spesa per l’istruzione è scesa dal 5,5% del Pil del 1990 al 3,9 del 2016, la media Ue è del 4,7. Secondo le proiezioni Eurostat, rielaborate dalla fondazione Agnelli, fatto 100 il numero di studenti italiani tra i 6 e i 16 anni del 2015 nel 2030 scenderanno a 85. Una questione epocale per l’intero sistema del welfare che però può diventare un’opportunità. A parità di spesa si può immaginare di rivoluzionare il sistema scolastico che, al di là delle riforme, è ancorato a un modello del secolo scorso. A partire dall’infanzia. Tutti sono concordi nel sostenere che il cervello si sviluppa nei primi 5 anni di età. Dunque il calo dei bimbi può trasformare in tempo pieno quel 10% di classi antimeridiane. O magari portare nelle periferie i futuri insegnanti. La globalizzazione delle economie e delle tecnologie comporterà la globalizzazione dei sistemi informativi. L’Italia è pronta a questa rivoluzione? «L’ultima conferenza dedicata alla scuola risale al 1989 con Sergio Mattarella ministro dell’Istruzione, noi nel nostro piccolo promuoviamo un progetto “La scuola che sogniamo” aperto al contributo di tutti per la crescita dal basso di un ambizioso progetto culturale: ogni mese presenteremo un modello innovativo di scuola, a fine anno forniremo i risultati di questo lavoro», dice Vinciguerra. «Se si sogna da soli è solo un sogno, se si sogna insieme è la realtà che comincia». —