Ritorno a scuola dopo tre mesi. “L’istruzione insiste su un modello che non esiste più”

da la Repubblica

“La verità è che l’organizzazione scolastica continua a contare su un modello di famiglia in cui le mamme sono a casa e le nonne sono infinitamente disponibili. Invece spesso queste ultime abitano in città diverse dai propri nipoti, hanno anche altro da fare nella propria vita e magari lavorano”.

La professoressa Chiara Saraceno tiene oggi una lezione magistrale in piazza, a Carpi, sul tema della disparità di genere, all’interno del Festival della Filosofia e parlerà anche di calendario scolastico. In qualità di sociologa, ma anche di nonna.

Professoressa, tre mesi di scuole chiuse sono tanti da riempire per famiglie dove entrambi i genitori lavorano. Lo ripetono tutti, eppure non cambia niente.
“Io lo dico da anni e infatti mi sono attirata le ostilità degli insegnanti, che sono prevalentemente donne. Il punto non è fare meno vacanze ma organizzarle in maniera diversa: bisognerebbe farle più spezzettate, come succede in altri Paesi, evitando un’interruzione così lunga. Anche i nonni sarebbero più disponibili a dare una mano per una settimana a febbraio o a novembre, piuttosto che tre mesi di fila in estate”.

La replica di solito è: ma la scuola non è un parcheggio.
“Io non dico che bisogna prolungare il tempo della scuola, dico che va organizzato in maniera diversa, con più flessibilità. È vero che non possiamo tenere i bambini a scuola tanti mesi, ma è altrettanto vero che le scuole stesse potrebbero organizzare altre attività. Non si può immaginare un tempo scolastico identico al tempo lavorativo, ma fratture così radicali non fanno bene né all’organizzazione familiare né ai bambini. È un vuoto che in Italia si cerca di compensare coi compiti delle vacanze, che diventano l’incubo dei nonni. È come se la scuola dicesse alla famiglia: io non ci sono, pensaci tu. Senza contare il fatto che si finisce per svantaggiare ancora di più chi è già svantaggiato e durante questa lunga interruzione non può permettersi di trovare altri stimoli. Chi non parla italiano come prima lingua, o chi ha già delle difficoltà, se non ha risorse familiari, a settembre rischia di trovarsi in difficoltà anche dal punto di vista dell’apprendimento. La verità è che non c’è nessun rispetto per le esigenze del bambino, oltre che per quelle del genitore”.

In quest’ultima settimana prima dell’inizio della scuola si vedono bambini un po’ dappertutto: dai bar, ai saloni di parrucchiere, fin dentro ai negozi. Chi lavora li porta con sé.
“Lo so benissimo. La mia nipotina fa la quarta elementare a Torino e di solito fa il tempo pieno, ma questa settimana il tempo pieno non c’è quindi i nonni sono di nuovo precettati al pomeriggio. E questo dopo aver fatto il campo estivo, aver passato una settimana con la zia e tre coi nonni. A parte il costo aggiuntivo, c’è il fatto che non sempre tutte queste esperienze sono di qualità”.

In che senso?
“In sé il campo estivo può essere anche molto formativo: i bambini non stanno solo coi propri compagni di classe e imparano cose nuove, ma è diffiicile trovarne di qualità per tutte queste settimane. E le attività più modeste rischiano di diventare parcheggi, più o meno noiosi. Poi c’è il tema della povertà educativa: anche tra i compagni delle mie nipoti ci sono bambini che per tutta l’estate non fanno niente e magari non vanno neanche in vacanza. A Carpi mi hanno chiesto di parlare di disuguaglianza di genere e lo farò, ma devo dire che ultimamente quella che davvero mi angoscia è la disuguaglianza tra bambini”. c. gius.