La Storia vince e torna alla maturità

da la Repubblica

Simonetta Fiori

La traccia storica sarà ripristinata nelle prove scritte della maturità. Non potevo ignorare il Manifesto firmato da una parte rilevante della società italiana. E ne ho condiviso la preoccupazione di fondo: solo la conoscenza del passato può permetterci di costruire il futuro ». Il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti annuncia a Repubblica la nuova clausola che reintroduce all’esame di maturità il tema storico, cancellato dal precedente governo. Un primo passo verso la ridefinizione dell’insegnamento della storia all’interno dei vari cicli scolastici, con nuovi programmi e nuove periodizzazioni.

È una vittoria significativa per la campagna sostenuta da Repubblica con Il Manifesto per la Storia, scritto da Andrea Giardina – insieme a Liliana Segre e Andrea Camilleri – e sottoscritto da oltre cinquantamila tra accademici, professori di liceo e maestri elementari, professionisti delle più varie competenze, sindacalisti, politici, scrittori, artisti, scienziati, cantautori, registi. Quarantadue anni, romano cresciuto a Tor Bella Monaca, figlio di un medico e di un’insegnante, Fioramonti insegna Economia politica all’Università di Pretoria. I media l’hanno incoronato come grillino “sub specie toninelliana”, ma sia il linguaggio che i ragionamenti sembrano smentire la caricatura.

Ministro, avremo di nuovo la traccia storica?

«Sì, siamo riusciti a reintrodurla sotto la prova di tipo B, che prevede l’analisi e la produzione di un testo argomentativo. La nostra nuova clausola dispone che una delle tre tracce incluse nella prova di tipo B sia obbligatoriamente dedicata alla storia. Prima la commissione poteva scegliere se dedicare le tracce alla storia o alla filosofia, all’economia o alla tecnica, alla letteratura o all’arte.

La storia era facoltativa; ora diventa obbligatoria».

È importante sul piano simbolico, ma non può restare solo una bandierina. Bisogna risolvere il problema per il quale solo il 3 per cento degli studenti sceglieva il tema storico.

«Questo è solo il primo passo di un percorso che prevede il rafforzamento dello studio della storia nelle scuole di ogni ordine e grado. La prima questione che dobbiamo affrontare è il modo in cui si insegna la disciplina. La storia non può essere solo una sequela di date e di battaglie da mandare a memoria, mail racconto di una evoluzione umana in ambiti che ancora ci riguardano come il progresso sociale, la conquista dei diritti civili, la partecipazione democratica».

Sì, ma la dimensione sociale è entrata nell’insegnamento storico da svariati decenni.

«Bisogna insistere in questo percorso.

Anche i libri di testo dovrebbero cercare di essere meno didascalici per offrire strumenti stimolanti agli occhi di un insegnante invogliato a essere più dinamico. Ma l’editoria non incoraggia una manualistica che spiazza i docenti, rassicurati da un’impostazione più tradizionale».

C’è un problema di formazione degli insegnanti: è giusto sollecitarli alla “dinamicità”, ma bisogna creare le condizioni favorevoli. La proletarizzazione del ceto docente non va in questa direzione.

«Sulla valorizzazione sociale ed economica dei professori stiamo puntando molto: le considero figure fondamentali della comunità scolastica e territoriale. Per questo occorre investire nella formazione».

Uno dei problemi più avvertiti riguarda il programma di storia dell’ultimo anno: dovendo cominciare dal XIX secolo – tra Restaurazione e processo di formazione dello Stato nazionale difficilmente si arriva alla seconda guerra mondiale. Così anche le testimonianze sulla Shoah mancano di una cornice storica. Non sarebbe il caso di intervenire sulla periodizzazione, introducendo anche una nozione diversa di storia contemporanea? Alcuni storici fanno partire il Novecento dal 1914.

«Sì, questo è un terreno su cui vogliamo aprire un dialogo con gli storici. Mi riferisco alle diverse società di studi storici – non solo contemporaneisti, ma anche antichisti, medievisti, modernisti – e mi riferisco a figure come il professor Andrea Giardina, artefice del Manifesto pubblicato su Repubblica, o il professor Alessandro Barbero, un bravissimo divulgatore che ho avuto la fortuna di avere come docente quando ero studente all’Università di Tor Vergata. Il mio obiettivo è ottenere una periodizzazione diversa che consenta agli insegnanti dell’ultimo anno di dedicare le lezioni di storia all’intero Novecento: non solo le due guerre mondiali con fascismo, comunismo e nazismo, ma anche il periodo che resta sempre nell’ombra ossia il secondo dopoguerra, il processo di industrializzazione, il boom economico, la globalizzazione».

Quindi lei vuole mettere mano all’architettura complessiva dell’insegnamento della storia, dalla primaria alla secondaria superiore?

«Sì, ho chiesto un tavolo di confronto perché tutti i vari cicli vengano integrati in un disegno unitario.

Nell’ultimo anno il Novecento deve acquistare centralità, ma non può essere trascurato il percorso storico precedente».

Un altro problema molto avvertito è l’oscurità che ha caratterizzato in passato la formulazione del tema storico.

Pensate di renderlo più chiaro e intellegibile?

«Sì, darò indicazioni in questo senso. E vorrei anche entrassero nelle tracce i testi dei grandi storici italiani. Gli studenti dell’Ultimo anno spesso non sanno chi sono Benedetto Crocee Gaetano Salvemini. Resto convinto che basterebbe un brano di Salvemini sulla scuola italiana per spingere gli studenti verso una disciplina che troppo spesso viene vissuta come una pesante enciclopedia estranea alla vita».

Pensa di aumentare le ore dedicate alla storia?

«Questo è un argomento spinoso. Per ora cerchiamo di utilizzare al meglio le ore che già ci sono, magari valorizzandola conoscenza storica come asse portante di tutte le discipline scolastiche».

Tra le conseguenze concrete del nostro Manifesto c’è stata anche l’istituzione di corsi universitari di storia in ambiti scientifici come è accaduto a Roma Tre.

«Occorre lavorare per una estensione trasversale della disciplina.

All’università vige l’autonomia e quindi io posso fare poco rispetto alla caduta verticale delle cattedre di storia. Ma è evidente che più peso diamo all’insegnamento della storia a scuola e più richiesta di storia vi sarà nella fase dell’alta formazione. E anche coloro che scelgono corsi disciplinari diversi avvertiranno la necessità di una base storica».

Questo che lei delinea è un

percorso lungo.

«Ora partiamo con il confronto con gli studiosi, poi passeremo a una fase attuativa. E a partire dal 2022 conto di consegnare alla scuola italiana una nuova periodizzazione e una nuova modalità di studio della storia».

La conoscenza storica è anche bussola civile. Il suo predecessore, l’ex ministro Bussetti, il 25 aprile è restato a casa, in ossequio alle direttive del segretario della Lega che ha liquidato la festa della Liberazione come un derby tra rossi e neri.

«Vuole sapere cosa farò il25 aprile? Lo trascorrerò come sempre ho fatto: in piazza, insieme a coloro chela considerano una data fondativa della democrazia italiana, ossia la liberazione di un popolo dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista. Ogni Paese ha il suo calendario civile: rinnegare questi legami significa disintegrare una comunità».