Informazioni protette negli istituti scolastici

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno e Claudio Tucci

Niente impronte digitali per i presidi e per il personale amministrativo scolastico. La novità introdotta dalla legge 56/2019 (legge concretezza) emanata dal primo governo Conte doveva scattare quest’anno, già a settembre, ma con il Dl 126/2019 (decreto precari), licenziato a metà ottobre e pubblicato in Gazzetta Ufficiale la settimana scorsa, è stata cancellata.

Parere negativo del Garante

A pesare sulla scelta di esonerare una fetta del personale della scuola dalle nuove regole (i docenti erano già stati esclusi) sono state, oltre alle proteste dei diretti interessati, una serie di ragioni tecnico-pratiche, tra cui un parere negativo del Garante della privacy secondo il quale le misure approntate dal precedente ministro della Pubblica amministrazione per contrastare il fenomeno dell’assenteismo – e che consistevano nel ricorso all’accoppiata di rilevazioni biometriche (come le impronte digitali) e sistemi di videosorveglianza – erano «di dubbia compatibilità» con le regole della privacy europea e nazionale (tra i nodi sollevati, l’eccesso di sorveglianza, la difficile tutela dei dati sensibili, la mancata proporzionalità nel trattamento dei dati personali).

Le scuole, infatti, ogni giorno sono frequentate da circa 8,5 milioni di persone, fanno sapere dal Miur, e l’obbligo previsto dalla legge concretezza si sarebbe applicato solo a circa 200mila soggetti. A complicare il quadro c’è pure il fatto che gli edifici scolastici hanno, normalmente, un solo punto di accesso; sarebbe quindi diventato ingestibile – a tratti impossibile – organizzarsi in maniera tale da poter prevedere un varco con rilevazione biometrica assieme a un accesso libero. Da qui la scelta del nuovo esecutivo giallorosso di cassare il tutto.

Del resto, che la privacy rappresenti nella scuola un tema sensibile e centrale lo dimostrano le attività e gli ambiti interessati. Che, come raccontano gli esperti del nostro giornale nelle pagine che seguono, spaziano dal registro elettronico, i cui dati inseriti nell’apposito campo, sono visibili soltanto ai docenti del consiglio di classe, alle certificazioni e diagnosi, il cui contenuto è strettamente riservato.

Tra smartphone e social media

Un tema caldo è la tutela della riservatezza degli alunni collegata all’uso di strumenti elettronici (in primis, tablet e smartphone) e dei social media in ambito scolastico. La regola base, qui, è che eventuali registrazioni possono essere effettuate esclusivamente nell’ambito di un progetto didattico-educativo e potranno riguardare soltanto momenti positivi della vita scolastica. In più, come sottolineato dal Garante della privacy, gli studenti e gli altri membri della comunità scolastica, «in ogni caso, non possono diffondere o comunicare sistematicamente i dati di altre persone (ad esempio, pubblicandoli su internet) senza averle prima informate adeguatamente e averne ottenuto l’esplicito consenso».

Sul tema privacy, negli anni, è intervenuta anche la magistratura. Tra le pronunce più recenti, quella che ha stoppato la pubblicazione sul sito scolastico di sanzioni disciplinari e il divieto di pubblicare dati legati alla salute nelle graduatorie di istituto. E cosa succede se l’istituto diffonde lo stato di disabilità di uno studente? Deve risarcire i familiari. Così almeno si stanno esprimendo i Tar italiani. Un motivo in più per leggere e conservare questa guida.