Cibo da casa nelle mense scolastiche, sì se c’è la giusta vigilanza. sentenza

da Orizzontescuola

di Avv. Marco Barone

Lo si potrebbe chiamare l’ennesimo dilemma amletico che si scaglia nella nostra scuola. Si può o non si può consumare il cibo portato da casa, nella mensa scolastica? Dipende. Questa potrebbe essere la risposta.

La Cassazione a Sezioni Unite è stata superata dalla giustizia amministrativa

Sembrava che la Cassazione Sezioni Unite con sentenza n. 20504/2019 avesse messo fine alla questione del consumo del cibo portato da casa nella mensa scolastica. Così si pronunciava nella sua massima di diritto: “il principio secondo cui un diritto soggettivo perfetto e incondizionato all’autorefezione individuale, nell’orario della mensa e nei locali scolastici, non è configurabile e, quindi, non può costituire oggetto di accertamento da parte del giudice ordinario, in favore degli alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado”. Ma le cose non stanno proprio così. Per ultimo, una sentenza del TAR Lazio del 25 ottobre 2019 N. 06918/2019 REG.PROV.CAU. N. 11834/2019 REG.RIC ha così affermato: “Ritenuto che il ricorso appare assistito da elementi di fumus boni iuris avuto riguardo ai precedenti giurisprudenziali (Cons. Stato sent. n. 5156/2018, Tar Lazio Sez III Bis ord. 5305/2019) che hanno riconosciuto il diritto degli alunni di consumare presso il locale refettorio della scuola il cibo portato da casa nelle scuole nelle quali è istituto il servizio di refezione scolastica”.

Dunque, si continua a fare riferimento alla sentenza del Consiglio di Stato n. 5156 del 3 settembre 2018. Sentenza che trattava il caso del Comune di Benevento che ha previsto l’obbligatorietà, per tutti gli alunni delle scuole materne ed elementari, del servizio di ristorazione scolastica, stabilendo altresì che nei locali in cui si svolge la refezione scolastica non è consentito consumare cibi diversi da quelli forniti dall’impresa appaltatrice del servizio. Ciò sul presupposto che “il consumo di parti confezionati a domicilio o comunque acquistati autonomamente potrebbe rappresentare un comportamento non corretto dal punto di vista nutrizionale, oltre che una possibile fonte di rischio igienico sanitario”. Il divieto di consumare pasti diversi da quelli forniti dall’impresa appaltatrice del servizio di refezione scolastica, introdotto con tale regolamento, era immediatamente operativo: ed incideva di per sé, in senso manifestamente limitativo nella sfera giuridica dei ricorrenti, come si legge nella sentenza ed era, come tale, idoneo ad arrecare agli stessi una lesione attuale e diretta: vuoi nella qualità di legali rappresentanti (art. 320 Cod. civ.) dei minori immediatamente toccati, quali alunni, dalla disposizione; vuoi nella qualità propria di genitori, come tali titolari della primaria funzione educativa ed alimentare nei confronti dei figli e non solo dell’inerente formale obbligazione (art. 433, n. 3), Cod. civ.) Per i giudici, Da un altro lato, per ciò che concerne la proporzionalità e la necessità della misura, occorre rilevare che la sicurezza igienica degli alimenti portati da casa non può essere esclusa a priori attraverso una regolamento comunale: ma va rimessa al prudente apprezzamento e al controllo in concreto dei singoli direttori scolastici, mediante l’eventuale adozione di misure specifiche, da valutare caso per caso, necessarie ad assicurare, mediante accurato vaglio, la sicurezza generale degli alimenti.

Con l’adeguata vigilanza si può evitare la contaminazione del cibo

Nella sentenza del 21 ottobre 2019 del Consiglio di Stato numero 5305 2019 Reg. Prov.Caut – e 77994 2019 Rec.Ric che è stata segnalata a questo sito si affronta in via cautelare il caso di una scuola dove su 1200 alunni, solo due studenti consumavano il pasto domestico e solo due alunni erano portatori di allergie segnalate con “codice rosso” ed emerge che il divieto assoluto di consumare il pasto domestico assieme ai compagni di scuola, i quali abbiano optato per il servizio mensa, nei locali a ciò destinati, può essere illegittimo. Nel caso concreto, “l’amministrazione non ha dimostrato che tale obiettivo non fosse conseguibile attraverso un mezzo non limitativo della naturale facoltà dei minori ricorrenti alla scelta alimentare e del relativo esercizio nel consueto contesto socio-educativo, in particolare attraverso l’attività di vigilanza da svolgere dall’istituzione scolastica, mediante il proprio personale, nel momento di consumazione del pasto nell’ambito dello stesso refettorio, al fine di evitare rischi di contaminazione di cibi dei due alunni in “codice rosso” e al contempo assicurare la necessaria integrazione de due alunni consumatori di pasti domestici in un momento di particolare rilevanza socio pedagogica.”

Da ricordare che le Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica prevedono che il corpo docente o chi assiste al pasto deve essere maggiormente coinvolto negli interventi per lo sviluppo di corrette abitudini alimentari del bambino e delle famiglie e che “È opportuno prevedere interventi di formazione e aggiornamento per tutti i soggetti coinvolti nella ristorazione scolastica, mirati sia agli aspetti di educazione alla salute che a quelli più strettamente legati alla qualità nutrizionale ed alla sicurezza degli alimenti.”