Diseducazione digitale

da Corriere della sera

di Valentina Santarpia

Digitale a scuola, dopo la sbornia si fa marcia indietro. E si punta sugli aspetti umani. Sono le incredibili conclusioni di una ricerca condotta dall’università Bocconi assieme all’associazione ImparaDigitale, che verrà presentata domani agli Stati generali della scuola digitale a Bergamo: condotta su 1.499 studenti, 848 genitori, 80 consigli di classe, 134 insegnanti, che hanno portato oltre 600 mila risposte, dimostra che di digitale ce n’è fin troppo nella vita dei bambini e dei ragazzi, e che quindi la scuola deve concentrarsi su altro.

«È la prima volta che vengono incrociate le risposte dei figli con quelle dei genitori, e che si ha la percezione netta di come madri e padri non siano abbastanza consapevoli dell’uso che i figli fanno dei mezzi tecnologici», spiega Francesco Sacco, curatore della ricerca. Persino sull’età a cui i ragazzi hanno avuto accesso a un cellulare le risposte divergono: il 30% dei figli dice di averlo ricevuto tra i 6 e gli 8 anni, ma solo il 19% dei genitori ammette di averlo concesso a quell’età; lo 0,5% dei ragazzi dice di averlo avuto prima dei 3 anni, cosa che risulta solo allo 0,2% dei genitori. Sul tempo di utilizzo si tende al ribasso: le tre ore dichiarate in media a settimana non tornano con il resto delle risposte. Alle primarie tutti dicono di non portare il telefonino in classe, ma gli insegnanti testimoniano di averlo visto: a scuola il 23% lo usa di nascosto, per lo più per copiare. «C’è un gap generazionale che condiziona il rapporto docente-alunno. Ma non esiste più un controllo reale da parte dei genitori — spiega Dianora Bardi, professoressa e presidente di ImparaDigitale —. Esiste la mamma virtuale, che pensa con i messaggini di poter controllare i propri figli, mentre il padre autorevole/autoritario non esiste più, sostituito dal padre simbolico, che punta sul dialogo». Che però non sembra sempre funzionare. Persino sulle regole di utilizzo della tecnologia ci sono reazioni diverse: i genitori sono convinti di aver messo paletti (81%), ma solo una parte degli studenti (69%) li riconosce, e l’11% dice di non rispettarli.

Lo schermo è pervasivo nella vita dei ragazzi, anche dopo cena: i bimbi della primaria usano il telefono fino alle 23.10, i ragazzi delle medie fino alle 23.40, quelli delle superiori fino a oltre mezzanotte. E questo nonostante il 52% dei genitori dica di non averli autorizzati. «Portare il telefono in camera aumenta il numero di ore di sonno perdute», sottolinea nelle sue considerazioni Daniela Lucangeli, esperta di psicologia dell’apprendimento e prorettore dell’università di Padova. E la stanchezza va a braccetto con ansia fisiologica, irrequietezza: insonnia, mal di testa, stanchezza, nausea che, come ricorda Lucangeli, sono correlati all’uso delle tecnologie.

Lo studente trascura le attività per usare le tecnologie, prende brutti voti, dà risposte brusche mentre usa tablet o telefonino. E non è vero che, come vorrebbero credere i genitori, il cellulare è alleato dello studio: il 68% lo usa poco o mai per i compiti. Conseguenze? L’ambizione degli studenti è sempre più modesta, il 58% fa il minimo.

Ma allora, il digitale va usato a scuola, sì o no? «Dobbiamo ricrederci. Non si può parlare di innovazione focalizzandoci solo sul digitale senza un contesto progettuale ampio — conclude Bardi —. Il cambiamento si potrà attuare se il docente non avrà paura di ascoltare gli studenti, far sviluppare i talenti, supportarli rispettando i tempi di apprendimento, renderli davvero liberi di scegliere e sbagliare, per diventare autonomi. Per salvare il digitale, insomma, dobbiamo dimenticare il digitale».