L’emergenza lettura, un problema da affrontare

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da Corriere della sera

di Giuseppe Antonelli

«Occorre che i giovani non solo apprendano la lingua, ma ne raggiungano una coscienza sociale e culturale, siano cioè portati a riflettere su questo strumento di comunicazione che essi adoperano ogni giorno, senza pensarci». Così scrivevano Maria Corti e gli altri autori di una grammatica scolastica significativamente intitolata Una lingua di tutti (1979). Nell’Italia di quegli anni, ricordava Tullio De Mauro nel suo Le parole e i fatti (1977), c’erano «oltre due milioni e mezzo di analfabeti (5,2% della popolazione) ed oltre tredici milioni e duecentomila semianalfabeti (27,2%)». E c’erano già quelle grandi differenze — tra Nord e Sud, tra licei e scuole professionali — che si ritrovano nei dati dell’indagine Ocse-Pisa resi noti l’altro ieri (Pisa sta per Programme for International Student Assessment).

Oggi la situazione è diversa, certo; ma meno di quello che si possa pensare. Le difficoltà di lettura infatti non riguardano soltanto i quindicenni: riguardano la società italiana nel suo complesso e anzi la situazione degli adulti risulta anche un po’ più grave. Indagini recenti ci dicono che in Italia i cittadini «low skilled in literacy» (che hanno, cioè, scarse competenze di lettura) sono quasi 11 milioni: il 28% della popolazione compresa tra 16 e 65 anni, a fronte di una media Ocse pari al 15,5%; molti di questi (il 72,6%) vengono — non a caso — da una famiglia in cui erano presenti meno di 25 libri (Focus PIAAC: i low skilled in literacy. Profilo degli adulti italiani a rischio di esclusione sociale, a cura di S. Mineo e M. Amendola, 2017).

Alla luce di questi dati, è possibile fare alcune considerazioni.

La prima è che le gravi carenze nella lettura e nella scrittura non sono affatto una novità. Non si può dire, dunque, che la colpa sia degli smartphone, dei messaggini o dei social network. D’altronde, i cosiddetti «nuovi media» hanno avuto e stanno avendo un loro ruolo: quello di creare una sorta di illusione ottica, saturando l’ambiente con una miriade di microtesti frammentari e atomizzati, sempre più asserviti alle immagini. Anche la sconfinata disponibilità di banche dati interrogabili ha favorito l’affermarsi di una lettura per spezzoni, contribuendo a modificare almeno in parte i nostri schemi mentali. Questa destrutturazione, rivolta a intelligenze sempre più abituate a guardare che a leggere, va di pari passo con la progressiva divaricazione tra il nostro quotidiano digitare e lo scrivere testi di una sia pur minima complessità.

Il che, scrive Massimo Palermo nel suo Italiano 2.0 (Carocci, 2017), porta a «fare della scuola il santuario del testo lineare»: il luogo di conservazione e tutela di «un’eredità culturale minacciata». Ma ci riporta anche al fatto che leggere e scrivere sono attività che richiedono un insegnamento specifico. Per Leggere, scrivere, argomentare, dice Luca Serianni in un libro di qualche anno fa (Laterza, 2013), bisogna imparare a smontare e rimontare ogni tipo di testo, selezionando e organizzando in modo coeso e coerente le informazioni necessarie. Un ottimo esercizio è, in questo senso, il riassunto.

Rispetto al passato, abbiamo oggi numerose e più precise rilevazioni (pensiamo anche alle prove Invalsi), da cui risulta che questa è — come spesso accade in Italia — un’emergenza cronica. Quelle che ancora mancano sono le conseguenti reazioni: interventi concreti e adeguatamente finanziati che diano impulso ai corsi d’aggiornamento per insegnanti, ai programmi di educazione degli adulti e individuino misure urgenti per le aree rimaste più indietro. In queste indagini internazionali, la competenza di lettura è definita come «la capacità di interagire con l’informazione scritta per poter sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità e svolgere nella società un ruolo attivo». Il nesso tra livelli di alfabetizzazione e tessuto socioeconomico che questi dati confermano va letto, allora, invertendo i termini della questione. Solo migliorando le competenze alfabetiche degli italiani si possono creare le condizioni per evitare che tutto il sistema Italia continui a perdere terreno.