Il Nobel a Mo Yan
di Antonio Stanca
Il Premio Nobel 2012 per la Letteratura è stato assegnato al cinquantasettenne scrittore cinese Mo Yan perché “… con un realismo allucinatorio fonde racconti popolari, storia e contemporaneità”.
Molto ha scritto alla sua età Mo Yan, ha scritto romanzi, racconti e storie brevi e sempre nella sua Cina ha ambientato le opere perché ha sempre inteso rappresentare quanto è successo nella storia antica e moderna del suo Paese, quanto si è sofferto, si è lottato da parte dei deboli, dei poveri per vedere riconosciuti i propri diritti da chi era al potere.
Era nato nel 1955 a Gaomi, provincia di Shandong, nella parte nord-orientale della Cina. La sua era stata una famiglia contadina e aveva dovuto abbandonare gli studi per lavorare nei campi. Li aveva poi ripresi e nel 1976 si era arruolato nell’Esercito popolare di liberazione. Nel 1984 era stato ammesso alla Facoltà di Lettere dell’Accademia dell’Esercito. Dopo la laurea, nel 1991 aveva conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università Normale di Pechino. Dal 1981 già scriveva, all’inizio per giornali, e nel 1987, quando lascerà l’esercito, era ormai uno scrittore noto anche all’estero poiché tradotte erano le sue opere in lingue straniere. Dopo i primi racconti venne, in quell’anno, il romanzo Sorgo rosso che sarebbe diventato il suo più famoso e dal quale il regista Zhang Yimou avrebbe tratto un film di successo. Nell’opera Mo Yan ricostruisce la storia della sua famiglia mentre avvengono gli scontri tra i contadini dei suoi luoghi d’origine e i giapponesi.
Dopo una fase durante la quale sarebbero comparse opere di genere diverso da quello delle prime lo scrittore nel 1996 avrebbe ripreso a scrivere nella maniera iniziale, cioè in uno stile carico d’immagini e volto a dire dell’uomo cinese, della sua vita, della sua storia, dei suoi drammi con toni molto espressivi, intensi, che a volte diventano lirici, altre assumono carattere fantastico, visionario. Avrebbe continuato in questo modo fino ai giorni nostri, avrebbe scritto altre storie brevi, altri racconti, altri romanzi. Tra questi ultimi si sarebbero distinti Grande seno, fianchi larghi del 1996, dove MoYan dice del coraggio di una madre cinese e dei suoi nove figli, Il supplizio del regno di sandalo del 2001, che narra di una rivolta contadina avvenuta nella Cina del primo ‘900 e diventata emblematica della storia della nazione, ed il recente Le rane contro la legge del figlio unico che nella Cina moderna è stata in vigore per oltre trent’anni.
Il maggiore scrittore cinese contemporaneo è da tempo considerato Mo Yan e premiato è stato nel 1997 col “China’s annual writer’s award”, il più alto riconoscimento letterario cinese, e nel 2005 col Premio Internazionale Nonino.
Ovunque, nelle opere dello scrittore, viene riportata la realtà della Cina antica o moderna e in particolare quella di alcuni momenti attraversati da larghe fasce della sua popolazione per rivendicare i diritti umani e sociali che per secoli le erano stati negati. Ovunque i protagonisti sono persone comuni, del popolo, che giungono ad interpretare la volontà, le aspirazioni di intere comunità, che diventano gli eroi di queste perché impersonano i loro bisogni materiali e morali. E’ una realtà, quella di Mo Yan, che procede insieme ad un’idealità, che da questa è mossa, a questa si affida per ottenere quanto cerca. E’ una forma espressiva la sua che ad entrambe aderisce, entrambe rende nella loro verità, nel loro interminabile confronto.
Fin da bambino lo scrittore ha saputo, ha letto, ha visto quanto in una nazione così grande come la Cina, in una storia millenaria come la sua, era successo e succedeva ai danni dei poveri, quanti abusi avevano dovuto subire da parte della classe dirigente vecchia e nuova, quanto era stato proibito ad un popolo che più di tutti era stato povero poiché più di tutti era stato numeroso e la povertà aveva assunto forme tanto diverse quanti erano stati i luoghi dove si era manifestata in uno stato così esteso. In molti modi ci si era adattati ad essa, molti tipi di riscatto erano stati cercati e tanto aveva sofferto Mo Yan quando aveva conosciuto queste vicende da sentire il bisogno, il dovere di scriverne, di cogliere lo spirito che le aveva animate. Arte ha fatto Mo Yan della storia cinese, una dimensione superiore a quella contingente ha fatto assumere alle azioni, ai movimenti che in essa si sono verificati al fine di ottenere giustizia, uguaglianza, libertà, ai sacrifici anche di vite umane che sono costati. L’uomo che aveva sofferto per il popolo, per le sue pene, era diventato lo scrittore di esse ed oltre alla realtà di tante situazioni aveva colto l’idea animatrice, aveva espresso lo spirito di chi non aveva temuto i pericoli in vista di un bene comune. Non solo una ricostruzione ma anche una rivalutazione della storia della sua gente compie Mo Yan con le opere, un recupero dei valori morali, spirituali che sono stati propri di una popolazione, di una cultura. E di tale spiritualità ritiene ancora capaci i cinesi dal momento che in opere recenti e di recente ambientazione come Le rane li mostra decisi a contrastare provvedimenti quali quelli dell’obbligo del figlio unico. Nell’opera costruisce vicende dalle quali fa emergere come anni fa in Cina non sia stata sopportata una tale limitazione poiché ritenuta contraria ai principi fondamentali dell’essere e causa degli orrori dell’interruzione forzata della vita dei nascituri. Per dire di una simile situazione Mo Yan ha scritto un romanzo, ancora una volta la sua è stata la voce di un popolo così vasto da diventare quella di un’opera.
Tanta ampiezza ha inteso riconoscere il Nobel, tanta storia, tanta vita, tanto valore ha voluto premiare!
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