da Tuttoscuola
Valeria Caricaterra
Si parla sempre con maggior frequenza di valutazione nel sistema scolastico. Il binomio valutazione/qualità è, di fatto, ai primi posti in un’ipotetica top – ten del pedagogically correct. Sembra che nessuna azione educativa, nessun percorso di insegnamento/ apprendimento possa essere significativo senza un’adeguata valutazione, ma siamo sicuri di sapere realmente di cosa si stia parlando?
In effetti a scuola si valuta da sempre. Dalla Casa delle Tavolette sumera fino ai giorni nostri, l’apprendimento è stato oggetto (mai soggetto, poiché l’allievo non aveva voce in capitolo) di valutazione. È vero sono cambiate le modalità, gli stili, gli strumenti, le ricadute della valutazione, ma l’azione in sé ha accompagnato e continua ad accompagnare la vita delle giovani generazioni.
Valutare dal punto di vista etimologico non significa solo stimare ma anche attribuire valore. È proprio questa seconda accezione che dovrebbe guidare l’azione valutativa dei docenti. Fare la stima, infatti, comporta un atteggiamento statico, quello di un osservatore che, in quanto esperto, “a occhio”, cioè in modo soggettivo, tira le somme di quanto sapere è passato al discente. Attribuire valore invece, rimanda a un atteggiamento dinamico in cui l’esperto non si limita a osservare e quantificare, ma in primis conosce l’allievo, le sue caratteristiche, i suoi stili di apprendimento, i suoi punti di forza e le sue criticità e, alla luce di tutto questo, predispone modi e strumenti valutativi congrui a rilevare la qualità, oltre che la quantità, dei saperi che il discente ha acquisito. Non solo, l’attribuzione di valore comporta anche la consapevolezza e la partecipazione attiva del soggetto valutato, perché l’atto del valutare è, in questa accezione, uno strumento formidabile di potenziamento dei costrutti di autostima e di autoefficacia, fondamentali per la motivazione ad apprendere.
Intesa in questo senso la valutazione è per sua natura inclusiva, poiché risponde allo stesso tempo sia all’istanza di individualizzazione che a quella di personalizzazione. Nell’accezione di attribuzione di valore, in effetti, la valutazione si connota più che mai come premessa, base, supporto, certificazione e rendicontazione dei processi di insegnamento/apprendimento. Ciò significa che l’atto valutativo non può prescindere dalle caratteristiche specifiche del contesto, sia per quel che riguarda l’autovalutazione d’istituto, che per quel che riguarda la valutazione degli studenti. È soltanto in questo modo, infatti, che essa mutua, assumendoli come criteri, i concetti che ispirano l’azione didattica, ovvero come si diceva, il principio di individualizzazione e quello di personalizzazione. È proprio nel tener conto di tali principi che le due istanze prioritarie da essi rappresentate: uguaglianza sociale, attraverso la garanzia di pari opportunità educative, come stabilito dalla Costituzione, e centralità della persona, nella sua complessa e molteplice unicità non replicabile, vengono rispettate e concretizzate. In tal modo si rendono di fatto i processi valutativi processi inclusivi, ancorati al paradigma della complessità auspicato da Morin. Appare quindi chiaro come, in questa ottica, l’atto valutativo si faccia estremamente delicato, poiché si articola in una pluralità di sfaccettature senza “appiattirsi” sulla monodimensionalità del mero controllo quantitativo, di per sé utile, ma certamente non sufficiente ed esaustivo. Ecco allora che i diversi livelli valutativi: dalla valutazione dell’apprendimento a quella d’istituto e di sistema, assumono realmente le caratteristiche delineate dalle norme, sia il DPR 122/2009 che il DM 254/2012, per finire con la bozza dello schema di D lgs 384, riguardante appunto la valutazione e la certificazione delle competenze in base a quanto previsto dalla L 107/2015, in quanto diventano base per la progettazione, il miglioramento continuo e la riflessione critica sui processi messi in atto.
La valutazione dunque come alfa e omega dei processi di insegnamento/apprendimento, in una logica certamente non meramente lineare, come purtroppo accade ancora oggi, ma che potremmo definire a spirale in quanto consente il monitoraggio costante e dunque l’aggiustamento continuo della progettazione educativo – didattica, non solo per garantire l’efficacia dei processi, ma soprattutto per garantire lo sviluppo integrale di ciascuno nel rispetto di ogni diversità. Avremo una scuola realmente inclusiva solo quando questa logica sarà pervasiva dell’intero sistema d’istruzione, perché, solo allora, il valutare sarà funzionale al progetto di vita di ciascun discente e al suo benessere e non sarà più soltanto un atto dovuto o, peggio, un’arma impropria con cui tenere a bada i ragazzi.