Laurea abilitante e formazione obbligatoria per

da Il Sole 24 Ore

di Andrea Gavosto*

Nell’intervista al Sole 24 Ore del 16 dicembre , la sottosegretaria all’Istruzione Lucia Azzolina tocca due punti importanti per il futuro della scuola.
Il primo riguarda i meccanismi di formazione e assunzione dei nuovi docenti, con l’istituzione di una laurea abilitante anche per chi vuole lavorare nelle scuole secondarie (oggi esiste già per quelli dell’infanzia e primaria). Perché rivedere i criteri di ingresso nella professione insegnante? L’attuale sistema – basato su concorsi, di fatto da 20 anni poco regolari nel tempo, e su graduatorie a esaurimento – è ormai fallimentare: in ogni area del Paese non si trovano i docenti da mettere in ruolo in materie fondamentali (scientifiche, ma non solo); al tempo stesso, sono ormai quasi 200 mila i supplenti annuali. I governi hanno provato a intervenire con soluzioni estemporanee – di fatto, spesso sanatorie – assumendo insegnanti senza valutazione delle loro capacità, così impoverendo la qualità dell’insegnamento.

Per attenuare la distanza fra domanda delle scuole e offerta dei docenti, evitando un ulteriore degrado qualitativo, occorrerebbe un meccanismo di accesso continuo alla professione con una valutazione severa delle competenze e una voce in capitolo dei singoli istituti nella scelta di chi serve loro davvero. Sebbene le strade possibili siano più d’una (commissione permanente di abilitazione, concorso, laurea a numero chiuso, chiamata diretta eccetera), la proposta di Azzolina ha il merito di reintrodurre il fondamentale principio che, per diventare insegnante, occorre soddisfare standard professionali elevati. Inoltre, abilitazione e assunzione in ruolo vanno considerati due passaggi distinti: per potere insegnare tutti devono essere abilitati, ma ciò non dà – come è stato per molti decenni – diritto all’assunzione, che dipende dai bisogni delle scuole.

Il secondo punto innovativo dell’intervista riguarda la struttura del corso di laurea abilitante e si ispira a un concetto semplice, perfino ovvio, ma spesso ignorato: sapere bene una materia non significa saperla insegnare. Così, dopo una triennale di preparazione disciplinare, la proposta è una laurea magistrale che si concentri sulla formazione pedagogica e didattica, come pure sulle capacità di lavorare in squadra con gli altri colleghi e relazionarsi con efficacia con i ragazzi. È positivo che – come Azzolina sembra pensare – il percorso preveda anche, come in molti altri paesi europei, fasi di tirocinio in vere classi scolastiche, prima del conseguimento della laurea.

Vedremo se questo governo saprà dare gambe a una buona idea, che, però, da sola non basta a dare una svolta. Infatti, se riformare la formazione iniziale per i nuovi professori delle secondarie è necessario, altrettanto lo è occuparsi della formazione in servizio e dell’aggiornamento degli insegnanti già in cattedra.
Per capirlo, basta riflettere sul calo demografico: entro il 2030, in Italia ci saranno 1.100.000 studenti in meno. A regole invariate, dunque, meno classi e meno insegnanti. È prevedibile che il flusso di giovani docenti neoassunti non sarà così importante; dovremo, semmai, fare funzionare al meglio la scuola con i docenti che già ci sono, offrendo loro e pretendendo da loro una costante manutenzione della qualità di insegnamento. La questione in gioco qui è certo di contenuti, ma anche giuridica: la formazione in servizio deve essere obbligatoria. In una società nella quale saperi, competenze e tecnologie hanno un passo sempre più veloce, è inconcepibile che un insegnante non sia tenuto a conoscere le innovazioni nella didattica e naturalmente anche le evoluzioni nelle diverse discipline.

La legge della Buona scuola di Renzi aveva previsto l’obbligatorietà della formazione in servizio e dell’aggiornamento: l’ultimo contratto di lavoro nazionale della scuola sottoscritto da Miur e sindacati l’ha invece riportata a un’ambigua opzionalità. In queste settimane sono partite le trattative per il nuovo contratto. Sarebbe grave se – per rincorrere le ventate di populismo che attraversano la scuola – la necessità di rendere obbligatoria e verificabile la formazione in servizio restasse di nuovo lettera morta.

Direttore della Fondazione Agnelli