Cyberbullismo, combatterlo partendo dalla “stupidità digitale”. Cosa può fare la scuola?

da Orizzontescuola

di Fabio Gervasio

Il bullismo e il cyberbullismo sono fenomeni in continua evoluzione, lo dimostrano le diverse ricerche che si susseguono su questi temi, come anche riportato in recenti articoli sul sito di orizzontescuola (leggi qui), dalle quali si registrano dati preoccupanti.

Nella ricerca svolta da Acli nella provincia di Roma è emerso che un ragazzo su tre ha ammesso di avere assunto comportamenti offensivi su internet.

Un’altra ricerca svolta nella regione Puglia, nell’ambito del programma #TeenExplorer, ha evidenziato che il 29% degli adolescenti pugliesi si è dichiarato vittima di episodi di bullismo, il 73% ha affermato di essere stato testimone di atti di bullismo e il 65% di aver cercato di difendere la vittima di tali atti.

A margine di questa ricerca il Garante regionale dei diritti del minore, dell’infanzia e dell’adolescenza, Ludovico Abbaticchio, ha rappresentato la necessità di una legge nazionale di educazione alla salute nelle scuole, affinché i temi del contrasto al bullismo e al cyberbullismo diventino materie essenziali.

Fondamentale, a questo punto, la realizzazione di un’azione sinergica tra scuola, famiglia e istituzioni al fine di mettere in campo azioni di prevenzione e sensibilizzazione verso questi fenomeni.

Un primo passo è stato fatto dal Parlamento con lo stanziamento in manovra di un milione di euro per la formazione dei docenti sul fenomeno del bullismo e del cyberbullismo (leggi qui).

In questo articolo ci soffermeremo in modo particolare sul fenomeno del cyberbullismo, su quali siano gli aspetti a monte che lo caratterizzano e come prevenirlo.

Alla base un’idea sbagliata di cittadinanza digitale.

Alla base del fenomeno di cyberbullismo possiamo indicare la cyberstupidity, una considerazione errata della cittadinanza digitale, ovvero delle regole da rispettare per un corretto utilizzo degli strumenti digitali.

La non presenza fisica e la percezione dell’anonimato portano i ragazzi a mettere in atto atteggiamenti scorretti, Albert Bandura parla di disimpegno morale, ovvero l’autoassoluzione di fronte ad atti che palesemente violino le norme sia giuridiche che morali.

Questo atteggiamento è un grave errore, va chiarito che la sfera digitale non è un porto franco nel quale poter fare tutto quello che vogliamo, bisogna maturare la consapevolezza che le azioni poste in essere in questo ambito hanno delle conseguenze che possono avere anche risvolti penali.

La legge 71/2017, Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo, nasce dalla tragedia di Carolina Picchio, a cui l’allora Presidente della Camera Laura Boldirini ha dedicato l’approvazione della legge.

Carolina è stata vittima di cyberbullismo, un video che la ritraeva priva di coscienza, mentre alcuni suoi coetanei giocavano con il suo corpo mimando atti sessuali, inizia a girare prima tra le chat dei presenti, poi sui social.

L’umiliazione di vedersi in quel video e gli insulti sui social erano un peso troppo grande, che non poteva più sopportare. Allora Carolina sceglie di mettersi tutto alle spalle, lo fa con un salto dalla finestra della sua camera, lasciando un messaggio potente: “Le parole fanno più male delle botte. Ciò che è accaduto a me non deve più succedere a nessuno”. Carolina aveva solo 14 anni.

Questa tragedia ci porta a riflettere e porre l’attenzione su quali siano gli aspetti che accomunano gli episodi di cyberbullismo.

Alla base c’è la scarsa consapevolezza del mondo digitale, la stupidità digitale. Prima di porre in atto qualsiasi azione è bene soffermarsi e riflettere su tre aspetti che caratterizzano episodi di cyberstupidity: l’intenzione, l’ignoranza e la superficialità.

L’intenzione consiste nell’essere consapevoli di quello che si sta facendo. Quando scrivo, posto o compio altre azioni in rete c’è la volontà di voler fare del male a qualcuno?

L’ignoranza consiste nel non valutare fino in fondo, in maniera consapevole, quali siano le conseguenze delle proprie azioni.

La superficialità sta nella banalizzazione delle conseguenze delle proprie azioni, “in fondo volevo solo scherzare” ne è un classico esempio.

Fermiamoci un attimo a riflettere.

La velocità del mondo digitale è impressionante, con un click si scatta una foto e con un altro la si pubblica in rete, pochi secondi per condividere con migliaia di persone i propri scatti.

Un periodo troppo breve per riflettere concretamente su quello che si sta facendo, è questo un aspetto importante che può portare ad atti di stupidità digitale.

Ma in fondo anche in passato accadevano atti simili, capitava, magari durante una gita scolastica, di fare qualche scatto fotografico compromettente. Ma allora qual è la differenza con episodi del moderno cyberbullismo? Principalmente sono due gli aspetti che li differenziano: la temporalità e la platea di riferimento.

Lo scatto fatto con la pellicola andava sviluppato, e dall’acquisizione dell’immagine al momento in cui si portava a sviluppare il rullino passavano anche dei giorni interi. Un periodo ampio per riflettere su quello che si era fatto e non lasciarsi trasportare dall’euforia goliardica del momento. Poi bisognava vincere l’imbarazzo nei confronti del fotografo che avrebbe visto i nostri scatti in fase di sviluppo, infine la platea di riferimento era enormemente inferiore a quella di un social media, era impensabile fare migliaia di copie dell’immagine da diffondere tra amici e conoscenti.

Il momento di riflessione è l’aspetto che manca alla sfera digitale. Come detto in precedenza, un doppio click e sei in rete. Ecco perché a questo punto diventa fondamentale la prevenzione e l’educazione ad un uso consapevole dei social media.

I fenomeni della cyberstupidity.

Sono diversi i fenomeni che caratterizzano la stupidità digitale, spamming, flaming, stalkig, happy slapping, cyber harassment, body shaming e sexting sono quelli più frequenti tra i giovani.

Usare in rete un linguaggio aggressivo che porta allo scontro nelle discussioni (flaming), pubblicare/scambiare testi, immagini e video dal chiaro contenuto di carattere sessuale (sexting), offendere un amico o un conoscente per l’aspetto fisico (body shaming), rappresentano i maggiori pericoli per i ragazzi, nei quali manca la netta distinzione tra la sfera pubblica e quella privata.

Prevenzione, senso di responsabilità e senso critico, cosa può fare la scuola.

La battaglia al cyberbullismo parte dalla prevenzione alla cyberstupidity. La scuola ha gli strumenti adatti da poter sfruttare per incidere nella formazione e maturazione dei propri alunni. Uno di questi è il patto educativo.

Il patto educativo rappresenta un accordo che dovrebbe scaturire dal confronto fra famiglie, scuola e studenti con l’intento di creare un’alleanza per una corretta formazione dei discenti. E’ importante che gli obiettivi siano condivisi e che il patto educativo sia un documento dinamico fondato sulle reali esigenze del territorio.

L’obiettivo è quello di formare ragazzi che siano in grado di sviluppare senso d’identità, appartenenza e responsabilità. I ragazzi devono essere consapevoli e in grado di comprendere l’importanza delle regole e dei diritti e doveri che riguardano la propria sfera e quella altrui.

Tutto questo passa dalla pedagogia del contratto, una strategia educativa che vede coinvolti tutti gli attori coinvolti nell’ambito educativo, in un costante confronto e negoziazione che li pone davanti a delle sfide o a dei temi.

Coinvolgere gli studenti nella costruzione delle regole li responsabilizza al loro rispetto sentendole proprie. Non si tratta di regole imposte, ma di regole alle quali si è contribuito a costruire. Non è la minaccia di punizione che porta a rispettarle, ma il senso di responsabilità, all’interno di una cornice condivisa nella quale crescere insieme.

In fondo è questo il ruolo della scuola, creare cittadini consapevoli dell’importanza delle regole e dei diritti e doveri, delle proprie azioni e delle loro conseguenze.