La maturità si decide alle medie

da Italiaoggi

Emanuela Micucci

Lacune, difficoltà accumulate alla fine delle medie non si riescono più a superare alle superiori. Così troppi studenti terminano il secondo ciclo con livelli di preparazione di base non in linea con quanto previsto dalla Indicazioni nazionali e dalle Linee guida, quelli che un tempo erano i programmi. Un’analisi longitudinale realizzata dal coordinatore area prove Invalsi Roberto Ricci, basandosi sui dati Invalsi del percorso da 515.000 studenti dall’esame di terza media, svolto nel 2014, alla maturità, conseguita nel 2019, mostra che i risultati delle superiori sono fortemente influenzati da quelli in uscita dalle medie. Non solo. Dallo studio, pubblicato in un editoriale su InvalsiOpen, emerge anche che 1 alunno su 5 non è riuscito a concludere il percorso di studi in regola, perché ha ripetuto uno o più anni o si è addirittura disperso. «Le prove Invalsi», spiega Ricci, «oltre a fornirci gli esiti dell’apprendimento, sono costruite in modo da riuscire anche a seguire il percorso degli studenti nella scuola italiana». Oltre il 45% degli alunni in difficoltà al termine delle medie rimane in questa situazione anche alla fine delle superiori. Con punte fino al 60% in italiano per gli studenti che in terza media avevano un risultato inferiore a quello previsto per la licenza media anche in V superiore non raggiungono almeno il livello minimo che si dovrebbe conseguire al termine delle superiori. Dati preoccupanti, che in matematica diventano allarmanti con la percentuale che sale al 50%.

Con punte vicine al 70% degli alunni in difficoltà in terza media lo rimango anche alla maturità. I risultati che gli alunni ottengono alle prove Invalsi di seconda e quinta superiore, quindi, sono molto influenzati da quelli conseguiti in terza media.

Anche considerando solo gli alunni che sono riusciti in 5 anni a terminare le superiori, si è portato a livello almeno di sufficienza solo la metà di quelli che erano in difficoltà alla fine delle medie. Un fenomeno su cui pesa anche il livello di studio dei genitori che, anche dopo 13 anni di scuola, continua ad essere un fattore molto influente sui risultati degli studenti e penalizza notevolmente quelli che provengono da famiglie meno colte.

«Questo legame così forte tra esiti scolastici e contesto familiare», insiste Ricci, «suggerisce che qualsiasi azione di miglioramento non si dovrebbe limitare a intervenire solo sugli studenti, ma dovrebbe coinvolgere anche le loro famiglie e i contesti di vita nei quali gli allievi sono inseriti, favorendo quindi l’innalzamento più generale del livello culturale». I dati Invalsi in uscita dalla terza media, inoltre, sono in grado di identificare piuttosto bene gli alunni a forte rischio insuccesso. «Per le superiori», sottolinea Ricci, «è possibile avere immediatamente a disposizione queste informazioni e intervenire tempestivamente con azioni a supporto mirate per permettere a tutti di raggiungere il pieno successo formativo».

A svolgere le prove Invalsi nel 2019, in V superiore, prima della maturità, sono stati 350.621 alunni. «Restano 165.000 studenti di cui non si sa più nulla, mancano i risultati», sottolinea Ricci. Una parte è ancora all’interno del sistema di istruzione come ripetenti, un’altra è entrata nel circuito della formazione professionale ma in una quantità difficile da stimare. Tutti gli altri, però, sono dispersi.

La maggioranza erano quegli studenti con risultato basso o molto basso alla fine della terza media, nel 2014. «Decisamente troppi», commenta Ricci, osservando che «anche secondo le stime più prudenti, oltre 100.000 studenti o sono ripetenti o hanno abbandonato il percorso formativo sena più farvi rientro».