Il MIUR ora rischia la paralisi

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da Italiaoggi

Alessandra Ricciardi

Da ieri è ufficiale, Lorenzo Fioramonti non è più ministro dell’istruzione, università e ricerca. Le dimissioni del pentastellato sono state accettate con decreto dal capo dello stato, Sergio Mattarella. Parte in questi giorni un breve interim che vede le funzioni ministeriali in capo al premier Giuseppe Conte. La prossima settimana, probabilmente già il 7 gennaio, il consiglio dei ministri dovrebbe approvare il decreto legge che spacchetta il ministero tra Istruzione, assegnata a Lucia Azzolina, già sottosegretario M5s all’istruzione, e Università e Ricerca, con alla guida Gaetano Manfredi, rettore della Federico II, presidente della Crui, dato in quota Pd.

Due dicasteri dunque, che richiederanno per essere pienamente funzionanti una serie di atti successivi al decreto legge: un decreto della presidenza del consiglio dei ministri di ricognizione del personale e un successivo decreto della presidenza della repubblica per la vera e propria riorganizzazione. Nuovi dipartimenti e nuove direzioni da creare, bilanci da dividere e senza i quali le relative risorse dei vari capitoli non possono essere assegnate. Più in generale poi i direttori da nominare. E pure i capi dipartimento: Istruzione, Personale e Risorse e Università e Ricerca. È notizia di queste ore, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, che la Corte dei conti non abbia ancora registrato nessuna delle nomine volute dall’ex ministro (rispettivamente Carmela Palumbo, Giovanna Boda e Fulvio Esposito). La conseguenza è che non ci sono più i vecchi capi dipartimento del governo Lega-M5s ma neppure i nuovi che aveva voluto Fioramonti. E che quelli della nuova era Azzolina-Manfredi, a bocce ferme, non potranno essere nominati prima che scatti la nuova riorganizzazione.

Tra l’altro nei giorni scorsi si è chiuso l’interpello per la nomina dei nuovi responsabili delle direzioni generali. Operazione che a questo punto andrà rifatta a tempo debito. I direttori in carica (alcune direzioni sono scoperte) dovrebbero poi decadere con lo spacchettamento. Insomma, i due ministri si troverebbero alla guida di una macchina amministrativa bloccata.

Le voci di viale Trastevere parlano di una paralisi che non è pessimistico stimare durerà per alcuni mesi. Ecco perché tra palazzo Chigi e il gabinetto del Miur, guidato da Luigi Fiorentino, fervono interlocuzioni nel tentativo di trovare una soluzione che consenta di evitare il caos: allo studio gli istituti della reggenze, della proroga e surroga. Intanto alle porte ci sono scadenze e impegni che i neo ministri dovranno onorare. Una situazione che fa dire a Francesco Sinopoli, segretario della Flc-Cgil, che non era questo quello di cui il settore aveva bisogno. «Più che raddoppiare i ministri, andavano raddoppiate le risorse per la Ricerca». Ricerca che con la creazione dell’agenzia nazionale voluta dal governo presso palazzo Chigi di fatto uscirà dal perimetro dell’Università. La Flc-Cgil risponde per le rime anche al segretario Pd, Nicola Zingaretti, che chiede di adeguare gli stipendi degli insegnanti alla media Ue, di aumentare l’obbligo scolastico da tre a 18 anni: «Noi lo sosteniamo da tempo. La domanda ora è: queste intenzioni sono espresse oggi da Zingaretti per tenere banco mediaticamente dopo le dimissioni di Fioramonti o si tradurranno in atti concreti?… Non dimentichiamo», continua Sinopoli, «che il Pd ha votato l’Agenzia che rischia di far venire meno la libertà della ricerca» .

Nel caos riorganizzazione, è il neo ministro Manfredi che avrà meno emergenze da gestire nell’immediato: il capo dipartimento Giuseppe Valditara prima di lasciare ha firmato tutti i decreti in scadenza, dalla ripartizione del fondo di funzionamento ordinario alle risorse per le università private. Più delicata la situazione per la Azzolina, che deve definire le regole del nuovo concorso straordinario e di quello ordinario, il regolamento per le supplenze e la mobilità. Oltre che il rinnovo del contratto scuola. E i sindacati chiedono che sia garantita celerità e continuità rispetto agli impegni presi, a fronte dei quali c’è stata anche la revoca di uno sciopero.