Iscrizioni, ecco le scuole passepartout per il lavoro

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno e Claudio Tucci

Le famiglie italiane hanno ancora 19 giorni per scegliere la scuola dei loro figli. Logica vorrebbe che li usassero tutti. Così da individuare la soluzione più adatta alle aspirazioni, ai sogni e perché no anche ai bisogni dei ragazzi che l’anno prossimo, ad esempio, andranno in prima superiore. Sebbene la procedura online del ministero dell’Istruzione sia partita già il 7 gennaio e si concluderà il 31 di questo mese non siamo davanti a un click day. L’ordine di priorità nella presentazione delle domande non rappresenta infatti alcun titolo preferenziale. I primi numeri che ci comunica il ministero dell’Istruzione testimoniano un buon avvio: in totale, sono interessati all’iscrizione al nuovo anno 1,5 milioni di famiglie e studenti. Alle ore 18 di venerdì 10 gennaio si sono abilitate al sevizio 374.729 utenze, di cui 36.491 tramite Spid. Le domande gestite sono state 358.393, quelle inoltrate 322.134

Prima di arrivare, pertanto, alla decisione definitiva vale allora la pena guardarsi intorno, approfondire, chiedere, studiare. Anche perché gli strumenti per informarsi e andare oltre il “passaparola” ormai non mancano. Come i dati contenuti nella mappa sugli sbocchi occupazionali dei diplomati che pubblichiamo qui accanto e che si aggiungono alla Guida di 96 pagine che Il Sole 24 ha pubblicato il 2 dicembre scorso.

La scuola che guarda al lavoro

Nonostante gli studenti italiani da anni preferiscano i licei in più di un caso su due, c’è tutto un mondo dell’istruzione superiore che merita di essere preso in considerazione. Stiamo parlando degli istituti tecnici e professionali, che spesso vengono ancora considerati una realtà di “serie B”. Erroneamente. Soprattutto se l’aspirazione del ragazzo è quella di acquisire un vero e proprio mestiere, ed entrare così nel mondo del lavoro il prima possibile. Il contesto generale è quello delineato dall’Istat nel suo annuario statistico di fine 2019. Dove è lo stesso Istituto di statistica a sottolineare che «la scelta del tipo di scuola superiore è determinante nella successiva partecipazione al mercato del lavoro». E giù i numeri: a 4 anni dal diploma chi è uscito da un professionale lavora nel 63% dei casi; chi ha frequentato un tecnico nel 58,5%; i liceali appena nel 26,1 per cento. Liceali che hanno invece una propensione molto più alta a iscriversi all’università (55,8%).

Gli indirizzi più gettonati

Pur essendo molto utili a delineare il quadro generale le statistiche ufficiali appena citate scontano però il difetto di essere datate visto che fotografano le conseguenze nel 2015 dei diplomati del 2011. Per trovare delle rilevazioni più recenti possiamo allora utilizzare il portale Eduscopio della Fondazione Agnelli che dal 2014 classifica le scuole italiane in base agli esiti universitari e occupazionali dei loro studenti. Una platea che riguarda 7.300 istituti e 1,25 milioni di ragazzi. In un’elaborazione ad hoc per il Sole 24 Ore dei dati sui diplomati del 2014, del 2015 e del 2016 già presenti nella loro banca dati scopriamo che in alcune aree del paese (tendenzialmente al Centro-Nord) i tecnici-tecnologici e i tecnici-economici – i due maxi settori dell’ultima riforma Gelmini del 2010 – si piazzano stabilmente al di sopra del 60 per cento. Punto più, punto meno, di anno in anno. Numeri che non sorprendono, e confermano il valore dell’istruzione tecnica italiana. Dove un neo-perito ha «stesse chance di trovare un lavoro di un laureato», per ripetere le parole dell’Ocse di settembre scorso, perché è forte l’interazione tra queste scuole e le imprese.

Chi sale e chi scende

Rinviando alla cartina qui accanto per i dettagli, in questa sede vale la pena sottolineare come, tra gli istituti tecnici, gli indirizzi economici da Roma in sù, siano veri e propri passepartout per il lavoro, con percentuali anche superiori al 70 per cento. Al Sud le percentuali scendono un po’, ma non mancano eccezioni, come la Puglia, dove la percentuale di occupati sfiora in questi indirizzi il 40%. Sugli scudi, sempre al Centro-Nord, anche il settore tecnico-tecnologico, che comprende più articolazioni, tra cui informatica, tlc, energia, meccatronica. Tra i professionali vanno molto bene gli indirizzi legati a industria e artigianato, come in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna. Dove sono elevatissime le chance di trovare lavoro per i ragazzi in uscita.

Le figure che mancano

Tutti questi numeri vanno tenuti ancora più in considerazione in un paese che è, contemporaneamente, quarto per dispersione scolastica (data al 14,5% ma che secondo l’Invalsi arriva addirittura al 20% se consideriamo quella implicita) e terzultimo per disoccupazione giovanile. Peggio dell’Italia ci sono solo Spagna e Grecia. Eppure, da noi, le richieste di lavoro non mancano. Come dimostrano le ultime tabelle Excelsior, targate Unioncamere-Anpal, riferite a questo mese. Le imprese vanno a caccia di oltre 170mila diplomati (7mila in più sul 2019), essenzialmente periti tecnico-economici, ma anche meccanici, elettronici ed elettrotecnici. Guarda caso tutte figure formate proprio negli indirizzi della nostra istruzione tecnica.

La scelta consapevole
Il punto, che purtroppo vale anche per l’inizio del 2020, è che circa un terzo di queste assunzioni programmate dalle aziende andranno, molto probabilmente, “a vuoto”. Come mai? Perché mancano candidati. L’istruzione tecnico-professionale (quest’ultima riformata un paio d’anni fa) sono anni che perde iscritti. Soprattutto perché non c’è un orientamento degno di questo nome. Un danno mortale per gli stessi ragazzi, ma anche, nell’immediato, per l’intero comparto manifatturiero. Da tempo ormai la stessa Confindustria lancia l’allarme su un “mismatch” dilagante, in tutti i principali settori industriali dalla meccanica all’alimentare, dal chimico-farmaceutico alla tessile-moda. E chissà che stavolta non venga ascoltata.