L’ultrafilosofia eroica

L’ULTRAFILOSOFIA EROICA

di Tommaso Montemagno

Nell’ottica leopardiana l’esperienza poetica è un’esperienza universale, in cui il soggetto, cioè l’Io, attua una riflessione sul dolore comune a tutti gli uomini e una meditazione sull’impossibilità di conseguire la felicità. Di fatto, la poesia di Leopardi viene considerata altissima forma di conoscenza, perché salda perfettamente il momento riflessivo con il momento lirico-immaginativo. La sua poesia si attua, quindi, in un connubio perfetto tra il linguaggio poetico e il linguaggio filosofico-riflessivo, alimentato dal sentimento e dall’immaginazione.

Egli propone un modello di pensiero che si allontana da una riflessione meramente filosofica realizzando una poesia basata sul rapporto tra la ragione e il sentimento. Egli contrappone alla fredda disamina della natura un modello di pensiero in cui la ragione è completata dall’immaginazione e dal sentimento. In questo senso egli dà vita ad una sorta di ultrafilosofia. E questa assumerà una forte tensione all’eroismo negli ultimi anni di vita del poeta, ai quali giungerà alla fine d’un processo di riflessione filosofica che avrà contrassegnato tutte le varie fasi della sua vita. Per definire la componente eroica della sua poesia è, dunque, necessario enunciare prima le diverse fasi del suo pensiero.

Innanzitutto, l’intero pensiero leopardiano parte dall’analisi critica dei principali concetti della cultura Illuministica, i quali ruotano attorno alla superiorità della Scienza rispetto alle altre forme di conoscenza. Di fatto il Settecento aveva attribuito alla ragione il ruolo di mediatrice privilegiata dell’esperienza umana e di rivelatrice di verità. In questo modo, il regno del fantastico della poesia, intesa in senso lato, che comprende il sentimento e l’immaginazione, veniva bandito dalla sfera del mondo letterario. In reazione a quest’impostazione, Leopardi assume un atteggiamento critico nei confronti del mondo moderno, tanto da arrivare a mettere in discussione il mito della perfettibilità del genere umano. Egli, infatti, crede che ciò che i moderni considerano “Progresso” non è altro che un processo di modificazione dell’uomo, nel tentativo di adeguarsi alle diverse situazioni storico-culturali, che non contiene in sé un perfezionamento della specie.

Possiamo dire che Leopardi assume una posizione che si trova all’incrocio tra Illuminismo e Romanticismo. Rispetto al primo, infatti, da una parte accoglie la funzione di analisi critica della ragione Illuministica, dall’altra è convinto che la mera conoscenza scientifica non sia sufficiente per cogliere appieno il senso della vita; sull’altro fronte, egli accetta la sfida romantica di realizzare una poesia che sia allo stesso tempo soggettiva e universale, quindi una poesia che abbracci varie discipline, ma si allontani definitivamente dall’ottimismo, dallo spiritualismo e dall’idealismo romantico, dal momento che rivendica la necessità d’uno sguardo critico sul presente volto a svelarne la reale condizione.

Prima di giungere alla poetica carica d’eroismo degli ultimi anni, la prima fase del suo pensiero è contraddistinta dalla definizione di una Natura benigna e benevola. Infatti il poeta, se pur consapevole della condizione illusoria della felicità, crede che la Natura abbia donato all’uomo delle illusioni, figlie dell’immaginazione, per alleviarne le pene. Ma il Progresso e l’attitudine crescente di considerare la conoscenza scientifica come principale chiave d’interpretazione della realtà hanno incrinato l’incanto del mondo antico, distruggendo le illusioni e rivelandone la natura ingannevole.

In questo terreno si attua la superiorità degli antichi rispetto ai moderni. Gli antichi, grazie alle illusioni, erano in grado di “velare di speranza” la condizione umana, impegnandosi in azioni eroiche e magnanime e conducendo una vita intensa perché in armonia con la natura. Quest’ultima oggi invece non è più in grado di soddisfare i bisogni nuovi e accresciuti dell’uomo moderno, il quale si allontana da essa nel nome del progresso. L’io moderno sente, quindi, il bisogno di credere in un ordine artificiale, da cui deriva un senso d’insoddisfazione e tormento. Prende così forma il cosiddetto “Pessimismo Storico”. A seguito della conversione filosofica di Leopardi, avvenuta nel 1819, e del suo successivo avvicinamento alle tesi del materialismo meccanicistico e alle tesi sensistiche, entra in crisi l’immagine d’una natura benigna. In questo modo, viene definito un sistema della natura intesa come macchina regolata da leggi immutabile deterministiche e dal principio di conservazione delle specie e dell’ordine cosmico. Si tratta quindi di una natura capace di sacrificare il bene dell’individuo per l’equilibrio del tutto. Una natura indifferente ai mali dell’uomo e che si configura come principale responsabile della sua infelicità.

In questo modo il poeta giunge al cosiddetto “Pessimismo Cosmico”. Ed è proprio dopo aver constatato la natura ingannevole delle illusioni, dopo aver scardinato le certezze e i falsi miti che velano di speranza la condizione dell’uomo e dopo aver accertato la perenne condizione d’infelicità dell’uomo causata involontariamente da una natura indifferente e cieca, che la sua poesia assume una virtuosa tensione eroica, mirata ad un preciso intento pedagogico.

Massima espressione di tale tendenza e aspirazione all’eroismo è il canto della “Ginestra”, il cui tema fondamentale è la contrapposizione tra la potenza distruttiva della natura e la fragilità dell’uomo e delle sue costruzioni. Il canto è caratterizzato, inoltre, da una profonda contrapposizione tra la natura che egli identifica con il Vesuvio, strumento di una natura distruttiva, e il fiore della ginestra che osserva la rovina intorno a sé, proiezione fisica del nulla dell’esistenza. La ginestra accetta la verità e non le si sottrarre, pur essendo consapevole della propria fragilità. Dopo un’invettiva al proprio secolo, e un appello agli uomini, invitati ad abbandonare il loro infondato orgoglio e ad unirsi in una “Social Catena” contro la Natura, Leopardi giunge alsuperamento dell’”antropocentrismo”, causato dalla totale indifferenza della Natura.

Leopardi, quindi, indica come unica soluzione a tale condizione drammatica dell’uomo l’esile resistenza della ginestra che cosparge il deserto col proprio profumo, pur consapevole del momento in cui verrà travolta. La Natura è forse una metafora dello stesso Leopardi che costruì il suo stesso pensiero e la propria riflessione, sempre consapevole della fugacità di ogni ideologia, di ogni corrente nell’eterno deserto delle idee.