Ragazzi, che Storia è?

da la Repubblica

Viola Ardone

La scrittrice, insegnante di un liceo napoletano, spiega agli studenti l’importanza del passato. E perché le risposte di Alexa non bastano

In che anno è crollato l’Impero romano di Occidente? Quando è avvenuta la battaglia di Lepanto? Tra chi sono stati stipulati i trattati di Utrecht e Rastatt e per quale motivo? I miei alunni di un liceo dell’hinterland di Napoli sospirano con condiscendenza, poi fanno uno sforzo di memoria per venire incontro alle mie esigenze di insegnante cresciuta nel secolo scorso. L’altro giorno una delle più brave mi ha fatto notare che Alexa, l’assistente vocale di Amazon, non avrebbe alcuna difficoltà a rispondere a queste domande. Basta chiedere al telefonino, ha sintetizzato un altro, con maggiore pragmatismo.

È vero. Il modo di studiare è cambiato: potremmo dividere l’umanità in a.I. e d.I., avanti e dopo Internet. Immagazzinare date, nomi e informazioni era il nostro modo di tracciare coordinate in cui collocare idee, relazioni tra i fatti, di edificare architetture in cui far abitare eventi e protagonisti storici. Ma oggi? Ho sentito qualche mese fa alcuni miei alunni canticchiare Bella ciao durante l’intervallo; pensavo che l’avessero imparata dai nonni, invece ho scoperto che per loro era solo la colonna sonora di una nota serie su Netflix.

Come convincere, allora, i ragazzi che ricordare è una forma di sapere? Che gli avvenimenti di oggi sono connessi con quelli di ieri e di ieri l’altro e degli anni addietro, in una lunga catena di cause ed effetti che ha le sue fondamenta dentro un passato sempre più remoto?

Secondo un’indagine condotta dall’Università Ca’ Foscari di Venezia e dall’Università di Padova negli anni tra il 2013 il 2016 sugli studenti delle scuole superiori del Veneto, i giovani sono interessati alla Storia ma faticano a mettere in rapporto gli avvenimenti del passato con il presente, non ne percepiscono, in definitiva, l’utilità. «A che cosa serve studiare la Storia?» mi ha chiesto, con timidezza, la mia alunna brava, temendo di mettermi in imbarazzo e di minare il senso stesso del mio lavoro.

A che cosa serve studiare il greco antico, il latino, la letteratura delle origini? La scuola ha il dovere di immaginare una risposta a questa domanda ed è necessario che sia convincente in termini epistemologici e metodologici. Il pericolo, altrimenti, è la «crisi della presenza» di cui parlava Ernesto De Martino, anticamera della perdita di identità.

I più giovani rischiano di vivere in un presente destoricizzato, un tempo senza radici e, di conseguenza, senza prospettiva; di essere fragili e indifesi di fronte ai tentativi di manipolazione della Storia e al revisionismo. Le fake news, le battute razziste, xenofobe o antisemite diffuse sui social possono essere disinnescate solo da chi ha assimilato i meccanismi e le dinamiche di fondo del passato: la Grecia arcaica dominata dalla «cultura della vergogna» illumina la contemporaneità laddove al giudizio della comunità si sostituisce la ricerca compulsiva del like sui social; le lotte di potere tra i triumviri nella Roma repubblicana sono un’attualissima lezione sulle insidie della politica; le orazioni di Cicerone contro Verre, amministratore in Sicilia accusato di concussione e peculato, sono una chiave di lettura per comprendere la Tangentopoli degli anni Novanta; i resoconti delle invasioni barbariche ci ricordano quanto antico sia il pregiudizio sulle popolazioni straniere; i regimi totalitari del Novecento sono (dovrebbero essere) un allarme contro il populismo e l’uso aggressivo e cinico della propaganda.

Questo ho detto alla mia alunna brava: che studiare la Storia è emozionante perché produce nuove idee, perché genera turbamento, perché ci fornisce la consapevolezza che l’oggi diventerà parte di un flusso che sarà il domani. Non siamo condannati a un ripetersi eterno degli eventi, ma conoscere il passato ci è indispensabile per costruire la nostra identità.

La mia alunna brava ha annuito. L’avevo convinta, anche se non del tutto. «La Storia», ha replicato, «dovrebbe essere studiata più “da vicino”. Come nei romanzi, nei film, nelle serie tv. Una Storia a colori e non in bianco e nero, la storia delle persone. Dove sono, nelle pagine del manuale, le donne, i bambini, i ragazzi? Mio cugino, che è all’università, mi ha fatto leggere le lettere che Gramsci scriveva dal carcere ai suoi familiari. Lì si capiscono tante cose: si vedono le sue paure, i suoi sentimenti. Un paio di mesi fa abbiamo partecipato a una manifestazione per l’ambiente: milioni di studenti in tutto il mondo. Lei pensa che questo ci sarà, un giorno, nei libri di Storia? Ci sarà la foto di Greta Thunberg o dei giovani che hanno organizzato il movimento delle “sardine” e convinto tante persone a scendere di nuovo in piazza?» La mia alunna brava ha smesso di parlare, ha spiato la mia reazione. Il suono della campanella mi ha salvata, stavolta risposte non ne avevo. Sono rimasta sola nella classe ormai vuota e ho pensato che sarebbe bello se un giorno, sul manuale di Storia, ci fosse anche il suo, di nome.