L’importanza di guardarsi negli occhi

L’importanza di guardarsi negli occhi, scarica l’app della tua vita

di Laura Cascianini *

L’atrio di una scuola, come tante forse, fa spesso bella mostra di macchinette per snack e circolari appese alle pareti ignorando le più semplici regole dell’accoglienza. Chi collocherebbe all’ingresso di casa la dispensa delle provviste o la lista delle cose da fare, piuttosto che un divano? Da qui l’idea di acquistare dei tavolini colorati, delle sedie confortevoli e intonare con un bel color arancio la parete retrostante. Messo a disposizione dei docenti e degli alunni il nuovo angolo dove discorrere, nessuna nota ufficiale si è resa necessaria e tutti hanno dimostrato apprezzare il nuovo arredo. Comodamente seduti quattro studenti delle forestali si guardano negli occhi, guardano me e mi chiedono “e ora che si fa Preside? Parliamo o giochiamo a carte?” La domanda esplode come un detonatore fra gli ingranaggi del mio cervello ancora agganciati al D.lgs 81/2008, metto in stand-by i pensieri relativi alla sicurezza e sottovoce mi chiedo: “i ragazzi sanno gestire il loro tempo libero?” Certo, hanno a disposizione i loro cellulari, le chat, i social, i videogiochi!

In fin dei conti glieli abbiamo messi in mano noi questi dispositivi.

Chi della nostra generazione, se avesse potuto scegliere, avrebbe rinunciato ad un tablet in cambio dell’enciclopedia dei quindici? Io per prima credo non avrei saputo cedere al fascino di uno strumento che prometteva di connettermi con il mondo; il destino ha però voluto che fossero gli anni in cui per parlare con i miei coetanei dovevo uscire, fare una passeggiata per “il corso”, andare al cinema, in discoteca (rigorosamente di pomeriggio) o, nei casi più fortunati, telefonare al fisso… sperando che chi stavo chiamando non fosse a sua volta in discoteca, per il corso o al cinema, facendomi rimpiangere di non esserci andata anch’io. Insomma esisteva un “fuori” che mi aspettava e come me aspettava gli altri per farsi luogo d’incontro, reale e non virtuale.

Pochi decenni sono passati ma i due mondi faticano a riconoscersi e dobbiamo fare appello ai nostri ricordi per spiegare ai nostri studenti cosa significa passare ore a parlare tra compagni, attendere con ansia la cartolina di un amico lontano, bagnarsi fuori dalla cabina telefonica con l’ombrello in una mano ed il gettone pronto nell’altra, sudata per l’ansia di poterlo presto infilare nella fessura dell’apparecchio.

Ed in tutto ciò cosa ha fatto la scuola?

Ci siamo occupati di LIM, tablet, PC (e ne avevamo davvero bisogno per molte ragioni che meritano un capitolo a parte) ma non possiamo trascurare un’azione educativa che va oltre l’apprendimento. Il nostro istituto ha annessi un convitto femminile e uno maschile, la scuola si trova quindi amplificate le azioni di delega in termini di educazione che è e resta in capo alle famiglie. Questa riflessione ha occupato pochi secondi, quelli che hanno preceduto la mia risposta: “Volete un mazzo da 40 o parlare dell’uscita nel bosco di ieri? Il caffè ve lo offro io” – mentre le macchinette ascoltavano silenziose per una sorte che temevano minacciata.

Salendo le scale, sapevo già il messaggio che avrei lasciato sopra i tavolini.


* Dirigente Scolastico Istituto Omnicomprensivo “Fanfani Camaiti” Pieve Santo Stefano (AR)