La scuola di domani e la tecnologia «Il digitale dev’essere uno strumento, non la finalità del sistema educativo»

da Il Corriere della Sera 

Il 65% degli studenti attualmente nelle scuole, finito il loro periodo di formazione andranno a fare un lavoro che al momento non esiste. Una sorta di salto nel buio, raccontato dal World Economic Forum, con una certezza: qualunque mestiere i ragazzi del mondo andranno a fare, alla base di questo ci sarà il digitale. Software e hardware, e competenze trasversali – le cosiddette soft skills – che permetteranno alla forza lavoro di domani di destreggiarsi in un mercato probabilmente gravido di buone aspettative ma che, altrettanto probabilmente, la scuola di oggi fatica a codificare nei propri percorsi educativi. Questo è il motivo per cui secondo diversi analisti il settore della smart education arriverà entro 5 anni a valere la bellezza di 500 miliardi di dollari.

La ricchezza di questo mercato in rapido, e necessario, sviluppo è stata ben rappresentata la scorsa settimana dall’incredibile folla che animava l’ExCel di Londra, l’enorme centro conferenze che ha ospitato l’edizione 2020 del Bett, il British Educational Training and Technology Show. Una fiera che da anni ha perso il solo accento britannico per diventare un riferimento mondiale per chi si occupa a vari livelli di traslare i percorsi formativi (anche) nelle nuove tecnologie. Non come scopo o solo contenuto dell’apprendimento ma come strumento, a prescindere dalle materie del proprio percorso formativo. Tra le 850 aziende presenti a Londra, a fianco di 34 mila educatori, si trovano i nomi che contano dell’universo delle tech company. Lenovo, Hp, Google ovviamente, anche qualche sprazzo di Apple. E Microsoft, che con il suo Office 365 gratuito per le scuole sta coltivando le basi di un nuovo settore dell’azienda con premesse di grande crescita. Non ha dubbi su questo Anthony Salcito, newyorchese del Bronx, che è il vicepresidente di Redmond dedicato al settore Education. Il Corriere l’ha incontrato tra i padiglioni del Bett per capire cosa possiamo aspettarci dalla scuola del futuro.

La divisione Education di Microsoft riveste un ruolo sempre più importante all’interno dell’azienda. E sposa uno dei pilastri della direzione assunta con Nadella, ossia quella dell’inclusione, della tecnologia come tramite per fornire a ognuno pari opportunità di accesso. Perché per voi la scuola è un business?
Lavoriamo nell’educazione perché fa parte della nostra missione, che è empower every person and every organization on the planet to achieve more. Se sostituisci “person” con “student” ottieni lo scopo di dare gli strumenti a ogni studente sulla Terra per ottenere di più dal mondo dell’educazione che lo circonda. E capisci che siamo nel cuore del lavoro di Microsoft e in quella che è o dovrebbe essere la missione di ogni scuola e di ogni istituzione, pubblica o privata che sia. E la tecnologia in questo è fondamentale, nel sostenere l’intuizione e la collaborazione tra i soggetti. E poi noi abbiamo bisogno di loro, delle nuove generazioni che stanno crescendo. Ogni nazione ha bisogno di persone di talento che trovano nuove soluzioni a vecchi problemi, o soluzioni geniali ai nuovi problemi che si presentano in una società che sta crescendo molto velocemente. Abbiamo capito negli anni che se lavoriamo in una zona di conflitto, di qualunque conflitto si tratti, una guerra oppure contrasti sociali ed economici, ebbene in queste zone Microsoft non lavora bene, non ottiene i risultati economici che potrebbe ottenere. Quando gli studenti, i bravi studenti e la buona scuola creano una società sana attraverso l’innovazione, e la loro scintilla crea posti di lavoro, allora Microsoft così come le altre compagnie private ne traggono beneficio economico.

Il tema della smart education sta diventando un nuovo terreno di scontro tra le super-potenze della tecnologia. Come vede questa competizione negli anni a venire?
Non posso parlare per gli altri marchi, ma sono certo che risponderebbero allo stesso modo: c’è molto dibattito in questo periodo storico sull’educazione, l’opportunità di business è lì ed è visibile a tutti. Ma non è direttamente attraverso il sistema educativo, il vendere prodotti alle scuole. La vera opportunità si sviluppa insieme alle strutture che creano educazione, come detto: queste realtà, se illuminate e sane, creano nuove opportunità di lavoro, attivano crescita economica e sociale, in Italia così come nel resto del mondo. E ovviamente società commerciali come le nostre sono molto interessate a questo. E non siamo in competizione con Google e gli altri, siamo in competizione con l’abbandono scolastico, con le tante storie di studenti che non ce la fanno e che riducono le proprie aspettative perché il sistema scolastico non permette loro di coltivarle e di far crescere le loro capacità, siamo in competizione con insegnanti che si sentono sorpassati, che non credono più di potersi aggiornare a nuovi metodi di insegnamento. Alla fine succede che se vinciamo queste sfide e l’economia cresce, allora compagnie come la nostra funzionano meglio, hanno migliori risultati di mercato. Non c’è impegno più importante per la nostra azienda che mettere gli studenti di tutto il mondo nelle condizioni migliori di imparare e crescere. E per farlo cerchiamo di rispondere a questa domanda: come possiamo rendere gli insegnanti più meravigliosi agli occhi dei loro ragazzi?

Ci ha raccontato come, durante i suoi frequenti viaggi in aereo, sua fedele compagna di viaggio è una console (la Switch di Nintendo, ndr). Che ruolo possono avere i videogiochi nella scuola di domani?
L’esempio che faccio ovviamente su Minecraft (il videogioco in stile Lego acquisito da Microsoft nel 2015 per 2,5 miliardi di dollari, ndr). È una tela vuota dove gli studenti possono esprimere tutta la loro creatività, l’abilità di problem solving. I ragazzi attraverso il gioco non imparano il coding perché devono lavorare su Java, cioè su vero codice, lo fanno perché vogliono costruire una fattoria e devono organizzarla in modo da riuscire a mettere 20 mila piante da frutto nei loro campi. Facendo questo imparano il pensiero computazionale perché devono di fatto mettere in ordine un codice sequenziale di operazioni per ottenere quello che si sono posti come obiettivo. È il concetto alla base dell’apprendere facendo. Quando vuoi imparare il codice per costruirti una carriera allora le materie Stem possono essere difficili, un ostacolo. Quello che suggerisco alle scuole è di abbracciare la tecnologia indipendentemente dalle materia, come uno strumento per affrontare qualunque questione. E allora non avremmo questo gender gap che vediamo oggi nelle scuole.
L’esempio perfetto è appunto Minecraft, abbiamo strumenti nella versione Educational che si possono applicare a qualunque materia, per esempio alla chimica, nel mondo di Minecraft hai modo di capire come sono costruiti gli oggetti, quali componenti hanno al proprio interno così da poterli replicare trovando le materia prime. E questo lo puoi fare fin dalle elementari senza dover aspettare di essere alle superiori per dover affrontare la chimica come una materia a sé e di farlo solo sui libri o se sei fortunato in laboratorio. Minecraft non dipende dal genere, dal ragazzo o ragazza che ci si approccia. Ognuno crea il proprio metodo per arrivare all’obiettivo, si creano dei percorsi che poi replicano se sono funzionali oppure variano se non lo sono. E fanno progetti legati alla storia, alla religione fino ad arrivare appunto all’agricoltura che è un sistema complesso.Il lavoro nelle scuole, con i ragazzi in generale, è molto delicato perché basta una parola sbagliata per creare un disastro. Voi come vi approcciate?

Io passo la mia vita a viaggiare per conoscere scuole e studenti, mi connetto con loro ogni giorno per vedere cosa fanno e come usano i nostri strumenti. E in quelle occasioni non sono mai io a dover porre questioni, sono loro che mi sollecitano ad avere risposte su temi anche complessi. Io rispondo e non mi è mai capitato di rimanere deluso dalle loro reazioni, al limite è accaduto il contrario: un bambino o un ragazzo motivato riesce a darti sempre molto di più di quanti tu potresti aspettarti. Allora io li sfido ulteriormente, per dare ancora di più. E lo faccio attraverso due sollecitazioni: la prima è quella di domandare, domandare sempre, non accettare una risposta incompleta ma chiedere oltre, di non accontentarsi di studiare qualcosa ma chiedere perché la si sta studiando. E se la risposta non li soddisfa, di andare avanti finché chi hanno davanti non presenta loro un contesto entro il quale possono capire perché stanno studiando per esempio l’algebra. A volte gli insegnanti non sono contenti di questo mio approccio ma credo sia l’unico che possa permettere agli studenti di imparare davvero e quindi di capire come mettere in pratica quanto stanno imparando. La seconda cosa che chiedo loro è di inquadrare un oggetto che hanno nella loro classe, la bandiera, una cartina, una foto e che ogni volta che vedono questo oggetto ricordarsi dentro di loro di aspettarsi di più da quel contesto, aspettarsi di più dagli insegnanti, dalla scuola, dai genitori, dalla società in cui vivono, dal loro governo. E ovviamente da loro stessi. E questo vale per tutti, per gli studenti nelle parti più depresse del mondo, per quei ragazzi che hanno delle disabilità che li fanno sentire diversi dagli altri, che creano barriere nell’apprendimento. Questi ragazzi, come tutti gli altri, che siano in Africa o che abbiamo dei bisogni speciali, tutti loro hanno le stesse motivazioni e lo stesso diritto a collaborare per poter migliorare la loro situazione e quella della società in cui vivono.

Nel corso della nostra trasferta a Londra abbiamo avuto l’opportunità di visitare l’UTC Reading, un istituto tecnico per ragazzi e ragazze dai 14 ai 18 anni dove si respira un’aria diversa, molto professionale e un’educazione molto orientata al mondo del lavoro. Una scuola modello dove studenti in giacca e cravatta imparano a diventare i migliori nel loro campo, che sia ingegneria o programmazione. Non è un rischio, per i ragazzi stessi, lavorare con l’obiettivo di creare una scuola che si propone di creare studenti che sono – come dite voi – market ready?
In alcune scuole si trovano studenti molto seri, molto preparati e anche impostati da parte della scuola. Ma questo non vuol dire che non siano anche ragazzi, ragazzi “normali” si potrebbe dire, che escono con gli amici, si divertono. Hanno i propri spazi per essere “irresponsabili”, senza che questo tolga loro la possibilità anche di essere già impegnati nella società. Credo che i ragazzi abbiano tante energie e questo rende il loro spettro d’attività praticamente infinito. E va dalla scuola ai social media, dagli amici ai videogiochi. Serve ovviamente equilibrio come in tutte le cose, ma se non siamo noi per primi ad aspettarci qualcosa in più da loro, c’è il rischio poi che loro si fermino. E questo sarebbe un peccato.