Imparare la storia!

Imparare la storia!

di Maurizio Tiriticco

Ciò che è accaduto in questi giorni, in coincidenza con le “giornate della memoria”, è assolutamente riprovevole! Sono apparse su muri e porte delle nostre città scritte contro gli ebrei e svastiche naziste! A volte disegnate anche in modo scorretto, rispetto alla svastica adottata da Hitler, che è quella negativa: una croce rotante da destra a sinistra. La svastica positiva, invece, di certe popolazioni indoeuropee, ruota da sinistra a destra: in senso orario, diremmo. Così i nostri nazistelli ignorantelli spesso disegnano la svastica positiva! Studiassero meglio la storia! Anche perché in effetti “imparare la storia è un diritto”: così si intitola un bell’articolo di Nicoletta Fiori su “la Repubblica” di oggi, 28 gennaio. Ma penso che per i nostri nazistelli studiare la storia sarebbe anche un dovere!

Un anno fa, esattamente il 25 aprile 1919, lo storico Andrea Giardina, la senatrice Liliana Segre e lo scrittore Andrea Camilleri lanciarono un manifesto al fine di restituire alla storia la dignità di materia di studio autonoma nelle nostre scuole. Il manifesto raccolse migliaia di adesioni. Questo è il testo: “La storia è un bene comune. La sua conoscenza è un principio di democrazia e di uguaglianza tra i cittadini. È un sapere critico non uniforme, non omogeneo, che rifiuta il conformismo e vive nel dialogo. Lo storico ha le proprie idee politiche ma deve sottoporle alle prove dei documenti e del dibattito, confrontandole con le idee altrui e impegnandosi nella loro diffusione. Ci appelliamo a tutti i cittadini e alle loro rappresentanze politiche e istituzionali per la difesa e il progresso della ricerca storica in un momento di grave pericolo per la sopravvivenza stessa della conoscenza critica del passato e delle esperienze che la storia fornisce al presente e al futuro del nostro Paese”.

In effetti, lo studio sistematico della storia – come del resto lo studio della lingua italiana – fu una delle prime preoccupazioni dei governi dell’Italia postunitaria! “Fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani”! E’ un’esclamazione attribuita a Massimo D’Azeglio, e stava a significare quante culture, tradizioni, lingue e dialetti fossero presenti in un Paese che fin dall’ormai lontana caduta dell’Impero Romano – eravamo al 476 d. C.  – aveva perduto la sua unità. E che era necessario ricostriore.

Va ricordato che dopo l’Unità quei primi maestri, e maestre, di scuola, se da un lato cercavano di estirpare la mal’erba dialettale, dall’altro facevano leggere i nostri poeti ed anche Dante, quel tale che di una lingua volgare aveva fatto una lingua che tutti potevano leggere perché trasversale – potremmo dire – a tutti i dialetti di un giovane Paese alla ricerca di una sua identità. E facevano leggere anche il Foscolo, che non solo aveva tratto Dante dal dimenticatoio di secoli, in quanto considerato “oscuro e barbaro” dai vari saccenti di turno, ma aveva anche parlato tra i primi di patria… però non ditelo ai leghisti! E aveva scritto: “Il sacrificio della Patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure e la nostra infamia”. Chi non ricorda l’incipit dello Jacopo Ortis?

Ugo Foscolo, ottenuta la cattedra di eloquenza all’Università di Pavia (precedentemente era stata di Vincenzo Monti), il 22 gennaio 1809 pronunciava l’orazione inaugurale “Dell’origine e dell’ufficio della letteratura”. Ecco l’inizio: “O Italiani, io vi esorto alle storie, perché niun popolo più di voi può mostrare né più calamità da compiangere, né più errori da evitare, né più virtù che vi facciano rispettare, né più grandi anime degne di essere liberate dalla obblivione da chiunque di noi sa che si deve amare e difendere ed onorare la terra che fu nutrice ai nostri padri ed a noi, e che darà pace e memoria alle nostre ceneri. Io vi esorto alle storie, perché angusta è l’arena degli oratori…”. Ma va anche ricordato che l’esperienza accademica del Nostro durò solo per poche lezioni perché Napoleone, ormai sospettoso di ogni libero pensiero, gli soppresse la cattedra.

Mi piace ricordare un altro nobile discorso! Quello che Concetto Marchesi tenne all’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Università di Padova il 9 novembre 1943, in uno dei periodi più oscuri della nostra storia. Occorre ricordare che il 25 luglio era caduto il regime fascista; e che poi, il 23 settembre, era stata istituita nell’Italia occupata dai tedeschi la cosiddetta “Repubblica Sociale Italiana”, meglio nota come Repubblica di Salò, perché a Salò ebbe sede il governo repubblichino.

MI piace riportare l’excipit di quel discorso: “Signori, in queste ore di angoscia, tra le rovine di una guerra implacata, si riapre l’anno accademico della nostra Università. In nessuno di noi manchi, o giovani, lo spirito della salvazione; quando questo ci sia, tutto risorgerà, quello che fu malamente distrutto, tutto si compirà, quello che fu giustamente sperato. Giovani, confidate nell’Italia. Confidate nella sua fortuna se sarà sorretta dalla vostra disciplina e dal vostro coraggio: confidate nell’Italia che deve vivere per la gioia e il decoro del mondo, nell’Italia che non può cadere in servitù senza che si oscuri la civiltà delle genti. In questo giorno 9 novembre dell’anno 1943 in nome di questa Italia dei lavoratori, degli artisti, degli scienziati, io dichiaro aperto l’anno 722° dell’Università padovana.”

La conoscenza, la lingua, la cultura, la storia! Sono gli assi portanti di un Paese che abbia consapevolezza e coscienza della sua identità. Andrea Giardina afferma tra l’altro, nella citata intervista: “Bisogna avvicinare la storia ai ragazzi. E lo si può fare solo rispondendo alle domande di una società multiculturale. Mi piace che questo elemento del pluralismo sia sottolineato dalla Ministra Azzolina. Sostiene il sociologo tedesco Ulrich Beck che il problema è nel divorzio tra la dimensione cosmopolitica in cui viviamo e la nostra  reale consapevolezza di questo respiro internazionale”.