Media Education e Cittadinanza attiva

Media Education e Cittadinanza attiva

di Maria Grazia Carnazzola

Il 3 febbraio scorso si è svolto a Roma, presso la nuova aula dei gruppi della Camera dei Deputati, il Convegno “Media Education: più consapevolezza, più opportunità, più futuro”. Tema molto in voga, iniziativa in sé lodevole, effetto “vetrina” compreso.  Cosa ne deriverà, dipenderà dalle azioni conseguenti che il Ministero concretamente porrà in essere perché dal dichiarato si passi all’agito.  Probabilmente seguiranno indicazioni alle scuole in modo che le affermazioni di principio non rimangano, come troppo spesso è accaduto negli ultimi anni, appunto affermazioni di principi validi e condivisibili, ma senza seguito pratico. La domanda di formazione, quale formazione, viene dalla società e alla società deve tornare la risposta, nella forma di un progetto politico che si raccorda con un sistema giuridico e si esplicita in un impianto didattico-metodologico-organizzativo per l’attuazione. Ma il cambiamento lo attuano le scuole.

Per Media Education, generalmente, si intendono tutte quelle attività educative e didattiche consapevolmente finalizzate alla comprensione critica e alla gestione personale dell’informazione e della comunicazione attraverso i media, nella prospettiva della cittadinanza attiva e responsabile. E’ perciò cosa ben diversa dall’uso didattico delle tecnologie: il focus si sposta dall’uso dei mezzi alla consapevolezza dei modi, dei linguaggi, degli scopi della comunicazione- non sempre prevedibili e controllabili- di tali mezzi e alla loro funzione di medium. L’attenzione è posta sull’obiettivo delle informazioni veicolate , sulla grammatica, sulla sintassi , sul lessico  che vengono utilizzati e che connotano la comunicazione ; tutto questo per contribuire a contrastare   la  “mezza cultura” di massa, come sosteneva  U. Cerroni già nel 1991 “È  la modernizzazione delle diseguaglianze tipica della società postindustriale: le masse, istruite dalla scolarità dell’obbligo, partecipi del consumo economico, culturale, tecnologico, sono ormai messe in condizione di avvertire bisogni, consumare beni, recepire convinzioni e posizioni cui adeguarsi: è la tendenza a dividere verticalmente il corpo sociale in una oligarchia tecnocratica che possiede grammaticalmente i nuovi linguaggi e le nuove tecnologie, e in una massa che utilizza tali linguaggi sotto forma di consumo… E’ la barbarie della mezza cultura”.

 Diventare cittadini attivi.

Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”?  Riprendendo il motto reso celebre da Antonio Gramsci, che in un editoriale pubblicato su Ordine Nuovo nel 1920 lo attribuisce a Romain Rolland, bisogna dirsi forte e chiaro che questo nostro tempo ha un estremo bisogno dell’una e dell’altra cosa. Se la scuola deve aiutare a comprendere il presente e a immaginare il futuro come potrebbe essere, servono nel contempo spirito realistico e critico, fondato sulla rappresentazione del mondo così come ci appare nel qui ed ora – sapendo che è una delle rappresentazioni possibili- e la fiducia nel domani che fonda sul dovere sì, ma anche sulla passione e sul desiderio.  Le tecnologie, i social mediano la nostra rappresentazione del mondo e della realtà, ne sono parte integrante; chiediamoci, come adulti e come insegnanti, e aiutiamo i ragazzi a chiederselo, in che modo agiamo e agiscono l’uso dei media, quali sono gli svantaggi e i vantaggi che apporta il loro utilizzo, pervasivo, massiccio e acritico.  Insegniamo loro a scegliere, dopo aver valutato secondo criteri che rimandano a valori come il pluralismo e il pensiero critico. I valori, lo sappiamo bene, si pongono tra l’affettivo/emotivo e il cognitivo: i nostri modelli interni della realtà guidano le nostre azioni, influenzando il sorgere degli stati emotivi che guidano altre risposte. Non sono le situazioni ambientali che creano le emozioni, ma le interpretazioni che se ne danno, come la teoria dell’attribuzione ha ampiamente dimostrato.   La scuola deve rendere conoscibile la contemporaneità, oggetto centrale di studio e di prova di quanto appreso, indagandola con razionalità e con competenza scientifica, utilizzando il pensiero critico-argomentativo che si fonda sull’elaborazione dei dati raccolti, sulla riflessione, sulla sequenzialità del pensiero, sul confronto delle ambiguità insite nelle diverse risposte possibili. Il diritto ad esprimere il proprio pensiero deve essere garantito sempre, nel rispetto dei modi e con le regole del linguaggio e della comunicazione.  Questo si intende quando si parla di educazione civica. Educazione civica e cittadinanza non sono propriamente sinonimi, ma entrambe fanno riferimento alla competenza sociale e ad abilità e atteggiamenti non sempre facilmente riferibili a regole da rispettare. La cittadinanza attiva presuppone senso di appartenenza ed esercizio di democrazia e se democrazia è contrapposizione, prima, e mediazione poi , il linguaggio, l’uso delle parole, la correttezza del dire sono fondamentali e irrinunciabili. Comportamenti corretti quali parlare uno per volta, parlare a voce bassa, esprimere dissenso senza disprezzare, essere gentili, criticare le idee e non chi le esprime, riconoscere il valore degli altri, controllare l’impulsività e la rabbia, comunicare gli stati d’animo e i sentimenti quando necessario, andrebbero promossi e sostenuti. Di cosa si parla altrimenti quando si parla di valutazione del comportamento? E il comportamento non è quell’insieme di tratti che ci permette di partecipare coscientemente e responsabilmente alla vita sociale? Gli adulti dovrebbero riflettere su questi aspetti, a cominciare dai politici e da tutti quelli che offrono spettacoli pietosi in televisione o sui social.

Se non si passa di qui, da questi comportamenti che manifestano il livello di sensibilità alla dimensione interpersonale -che si rilevano ma difficilmente si sanzionano, come fossero dettagli – è giocoforza passare direttamente a manifestazioni eclatanti come il bullismo, che un tempo si chiamava in altro modo, e alla sua amplificazione attraverso i social. I bulli possono essere tali anche perché si confonde il diritto con la rivendicazione, la trasparenza con l’ingerenza. La manomissione dei concetti e delle parole sono passaggi obbligati nella distorsione dell’informazione. Sempre, anche a scuola. E quando mancano le parole giuste per dire, si agisce, anche aggredendo.

Media Education: questione di insegnanti, di allievi, di valori, di etica.

Da sempre gli adulti insegnano quello che i giovani non sanno: le conoscenze, i metodi, le tecniche; oggi le nuove generazioni hanno accesso a una quantità di informazioni come mai nella storia: possono cercarle con estrema rapidità o riceverle senza cercarle. Ma le informazioni vanno collegate, selezionate, sistematizzate, contestualizzate: bisogna dare loro una forma perché diventino conoscenza.  Questo i giovani non lo sanno fare, perché gli strumenti che usano non hanno questo scopo; tocca agli adulti insegnare come si costruisce la conoscenza, come si collegano e si contestualizzano le informazioni, come si verificano e si valutano.

La generazione digitale è diversa dalla generazione Gutenberg, nei modi e nei tempi di apprendimento. Basta partire da lì.  Sostiene Carlo Sini “(Heidegger)…non si è mai chiesto il senso delle operazioni concrete che veniva esercitando, nel far lezione…Queste pratiche le esercitava come “ovvie” e ovviamente importanti, anzi epocali. Ma noi siamo le pratiche che esercitiamo”. (L’alfabeto e l’occidente, pag.132).

La scuola può continuare ad essere strumento per lo sviluppo sociale e per la crescita del Paese solo se saprà intercettare le trasformazioni in atto e gestirne le complessità, compito di difficoltà elevata che si scontra con il progressivo impoverimento degli strumenti professionali degli insegnanti sotto il profilo culturale e psicopedagogico. La qualità dell’istruzione delle giovani generazioni dipende ancora in buona misura dal sapere degli insegnanti, dalla loro cultura psicopedagogica e dalla loro professionalità che sono altro e molto di più del sapere disciplinare, indispensabile ma non sufficiente. Professionalità dedicate e competenti che tengano insieme le innovazioni con le radici storico-culturali.

Dopo aver parlato tanto di apprendimento significativo, della necessità che ogni nuovo apprendimento si innesti sulla rete degli apprendimenti precedenti, forse è tempo di parlare di insegnamento significativo, che ridisegni, in una visione integrata e non lineare-sommativa, le varie Educazioni, Discipline, Progetti. Tutte le innovazioni, tutti i dibattiti, hanno senso solo se al centro ci stanno la professionalità del docente, che passa anche attraverso le modalità di reclutamento, la formazione in ingresso e i percorsi “di manutenzione” della formazione in servizio che dovrebbe essere obbligatoria e strutturale. Solo così, ritengo, sarà possibile la costruzione e il mantenimento di una solida professionalità docente, valutata e riconosciuta dal contesto sulla base di chiari indicatori di professionalità e di dichiarati sistemi valoriali di riferimento. Senza questo passaggio, nessun cambiamento, nessuna innovazione porterà risultati significativi, sia che si tratti di includere le diversità sia che si tratti di contrastare il degrado culturale anche attraverso l’uso consapevole dei media. Non basta enunciare principi: bisogna delineare il cambiamento, monitorarlo e valutarlo. A volte chi dentro la scuola ci lavora ha la sensazione di essere in un permanente cantiere aperto, dove si susseguono le richieste e i progetti più disparati, a volte richieste e progetti vecchi presentati con parole nuove ripetute come slogan che, svuotandosi di significato, generano disorientamento o convinzione di essere già allineati con l’innovazione. Ben venga la Media Education, con un percorso che attraversi tutte le discipline, un principio ispiratore che orienti e finalizzi l’insegnamento di tutti i saperi e chieda alle scuole una seria riflessione su quello che già si fa e su ciò che di nuovo va messo in campo. Riflettere è il primo passaggio della ricerca per il miglioramento continuo, indispensabile per contrastare la caduta del ruolo e per il riconoscimento dello status di docente. La scuola è un servizio: ha bisogno di professionisti che sappiano agire nella complessità tra vincoli e rischi, che sappiano occuparsi delle trasversalità e non solo degli aspetti specialistici della propria disciplina, perchè in questo caso sarebbero semplicemente dei prestatori d’opera.

Docenti padroni del sapere e del saper fare, esempi di comportamenti deontologici eticamente orientati, perché la correttezza, il rispetto e la responsabilità non si insegnano solo con le parole.

BIBLIOGRAFIA

N. Postman, Ecologia dei media, Armando Editore, Roma 1981;

U. Cerroni, La cultura della democrazia, Mètis, Bari 1991;

P. Cesare Rivoltella, Relazione, Convegno “Media Education”, Roma 3 febbraio 2020;

P.H. Lindsay, D.A. Norman, L’uomo elaboratore di informazioni, Giunti Barbera, 1983;

C.Sini, Pratica del foglio mondo, Jaca Book, Milano 2004;

        Id; L’alfabeto e l’occidente, Jaca Book, Milano 2012.