Sul merito e altri miti italici

Sul merito e altri miti italici

di Mario Maviglia

Il precedente nostro articolo (Come ti sistemo il concorso ispettivo), pubblicato su Edscuola il 14/02/2020, ha suscitato parecchie reazioni non solo tra docenti e dirigenti scolastici, ma anche tra persone non operanti nel mondo della scuola. In quell’articolo davamo conto di alcuni emendamenti al decreto legge “milleproproghe” in discussione in Parlamento, proposti da rappresentanti di diverse forze politiche e tesi a stabilizzare in maniera definitiva la posizione di quei dirigenti di seconda fascia nominati in base all’art. 19, commi 5 bis e 6, del D.Lvo 165/2001. Dal nostro punto di vista queste proposte di modifica – se approvate – non sarebbero altro che una “sanatoria” nei confronti di chi è stato beneficiario di incarico dirigenziale in seguito a una procedura comparativa dei curricula, e dunque senza aver superato un vero e proprio concorso. Peraltro queste forme di reclutamento sovente sono un espediente – formalmente corretto – per collocare in posti di un certo rilievo persone vicine all’establishment, senza alcuna seria valutazione sul piano del merito professionale. Oltre tutto, in questo modo verrebbe vanificato il previsto concorso per il reclutamento di 146 dirigenti tecnici, pur previsto dal Decreto-Scuola (DL 126/2019 convertito dalla legge 159/2019).

Alcuni lettori hanno sottolineato che in realtà anche il concorso tradizionalmente inteso (con la ritualità delle prove scritte, orali ecc.) non garantisce la selezione di persone professionalmente adeguate al ruolo da svolgere; e d’altro canto in altri sistemi scolastici il reclutamento di figure di questo tipo non avviene tramite concorso ma attraverso altre forme di reclutamento come colloqui, analisi dei curricula ecc. In fondo una procedura così concepita avvicinerebbe maggiormente l’Italia ai Paesi più avanzati. Anzi, secondo questo ragionamento, questa forma di reclutamento dovrebbe essere utilizzata anche per l’individuazione e la scelta dei dirigenti scolastici.  Il ragionamento non sembra fare una piega, almeno sulla carta. Tralasciamo gli aspetti organizzativi della questione; ci interessa puntare l’attenzione sulla sostanza del problema. Non dobbiamo trascurare che l’Italia è, tra i Paesi più avanzati, quello con il più alto tasso di corruzione: nella classifica internazionale 2019 stilata da Transparency International sull’Indice di percezione della corruzione l’Italia occupa il 51° posto, mentre risulta essere il 6° Paese più corrotto in Europa. Pensare che una procedura così fortemente discrezionale come quella prevista dall’art. 19 commi 5bis e 6 del D.Lvo 165/2001 non sia fortemente condizionata da criteri che nulla hanno a che fare con il merito, è segno di grande ingenuità, se non di malafede. 

Si eccepisce però che nel settore privato il reclutamento delle figure apicali avviene secondo questa procedura; si ci dimentica però di aggiungere che i manager del settore privato quando operano scelte sbagliate, anche nella selezione del personale, ne pagano direttamente le conseguenze, cosa che avviene rarissimamente nel settore pubblico. Peraltro la procedura comparativa dei curricula per la scelta dei dirigenti tecnici e amministrativi secondo quanto previsto dai citati commi 5bis e 6 dell’art. 19 D.Lvo 165/2001 è una delle forme più ipocrite di comportamento della PA, almeno per quanto riguarda il sistema scolastico (settore dove abbiamo operato per 46 anni). Negli ultimi anni è invalso l’uso di istituire commissioni ad hoc, nel MIUR e negli USR, per l’analisi e la valutazione dei curricula presentati dai candidati, per dare in questo modo una parvenza di correttezza e legalità alle varie operazioni. In questo modo i responsabili delle nomine (di solito i direttori generali) hanno facile gioco a dimostrare davanti agli organismi di controllo che le operazioni si sono svolte rispettando i crismi della legalità. In realtà tutti all’interno della struttura (e sottolineo tutti) sanno già chi saranno i prescelti prima dell’avvio della procedura comparativa. (Ovviamente questi pronostici vengono sistematicamente confermati). D’altro canto, in un Paese in cui la raccomandazione, la conoscenza personale, l’affiliazione politica e altre amenità del genere, esercitano un ruolo fondamentale nella possibilità di ricoprire determinati posti anche meno prestigiosi di quelli di cui ci stiamo occupando, perché ciò non dovrebbe avvenire nelle procedure inerenti i commi 5bis e 6?

Molti affermano che nemmeno un concorso classicamente inteso è immune da questi vizi, con l’aggravante che i continui contenziosi allungano oltremodo i tempi di svolgimento e creano situazioni fortemente stressanti negli interessati, come è avvenuto in questi anni con le vicende dei concorsi per il reclutamento dei dirigenti scolastici. In fondo – si obietta – un concorso non garantisce che vengano scelti i migliori tra coloro che vi partecipano e quindi in ogni caso non viene salvaguardato il merito. A queste obiezioni si può rispondere parafrasando Winston Churchill: “E’ stato detto che il concorso è la peggior forma di selezione, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate fino ad ora”. Al di là delle battute, il concorso consente a tutti di cum-currere per un particolare obiettivo, anche se non si è stati amici d’infanzia del potente politico di turno, anche se non si è amico dell’amico del manager pubblico, anche se non si appartiene allo stesso partito del presidente di commissione. Il concorso consente a ogni uomo e donna di provare a misurarsi per raggiungere un obiettivo professionale ritenuto più gratificante o interessante. La preparazione al concorso richiede tempo, studio, fatica, risorse economiche, ma permette a tanti “signor nessuno” di far valere la propria preparazione. La vera democrazia si nutre di queste forme di “raccomandazioni”.