La composizione musicale nella scuola primaria e dell’infanzia

La composizione musicale nella scuola primaria e dell’infanzia

di Stefano Maviglia *

La composizione musicale è ancora poco diffusa a scuola, anche se molti studi ne hanno messo in risalto i benefici che ne derivano e i processi mentali coinvolti. “Creare musica a scuola consiste nel produrre creativamente della nuova musica con tecniche quali l’improvvisazione e la composizione” (Biasutti, 2015, p.81). “La composizione prevede l’elaborazione di brani con vari tipi di eventi sonori con processi di pianificazione e revisione del materiale” (Biasutti, 2007, p.30). In questo contesto, il termine composizione non si riferisce esclusivamente alla composizione tradizionale, che non avrebbe senso far eseguire ai bambini, ma comprende anche una vasta gamma di attività più informali, che possono essere semplici attività creative con suoni. A livello più elementare, queste possono essere intese come “possibile combinazione dei suoni, frutto delle sperimentazioni creative di manipolazione”. In seguito si possono proporre esercizi più strutturati utilizzando forme di notazione musicale (Biasutti, 2007).

Per lungo tempo la composizione musicale è stata associata a forme di “ideazione geniale” derivanti da doti innate, maturate senza forti interventi esterni. Per questo motivo si è trascurato l’aspetto della creatività musicale e tanto più quando questa veniva riferita a dei bambini (Zucchini, 1984). Oggi invece sappiamo come l’immaginazione risulti essere in diretta correlazione con la ricchezza e la varietà delle precedenti esperienze dell’individuo. Per questo motivo quanto più ricca sarà l’esperienza dell’individuo, tanto più abbondante sarà il materiale di cui la sua immaginazione potrà disporre (Vigotskij, 1972). Possiamo intendere oggi la creatività come “la rielaborazione aperta e libera di suggestioni, proposte e scoperte“ (Zucchini, 1984). Da ciò ne deriva che l’espressione creativa non appartiene solo agli artisti, ma è una pulsione dell’uomo (Zucchini, 1985).

Un ulteriore elemento che ha portato la scuola a trascurare per molto tempo questa componente fondamentale della musica è stato il “pensare alla creatività in musica come un elemento da realizzarsi – esclusivamente – dopo un più o meno lungo tirocinio esercitativo, trascurando completamente una dimensione volta maggiormente all’utilizzo di materiale sonoro per costruzioni originali, manipolazioni strutturate su percorsi più o meno vagamente musicali” (Zucchini, 1984, p. 31). Particolarmente interessante è notare anche come nella scuola si parli da lungo tempo di produzione e creazione per molte altre discipline, quali l’arte e la lingua ad esempio, mentre l’aspetto della creazione musicale venga spesso trascurato (Zucchini, 1984).

Forse il più importante compositore e studioso che ha dato un forte impulso alla produzione musicale nella scuola è stato Carl Orff (1895-1982) che, insieme a  Dorothee Gunther, nel 1924 creò la “Günther-Schule”, nella quale si praticavano contemporaneamente esperienze di tipo musicale, fisico e motorio. In seguito, nel 1948, il compositore tedesco realizzò una lunga esperienza radiofonica presso la radio bavarese, durata 5 anni. Nella trasmissione alcuni bambini suonavano e cantavano musiche scritte per loro dal musicista tedesco e dimostravano nella pratica la sua proposta educativa (Somigli, 2013). Da quelle esperienze, Orff, insieme a Keetman, scrisse lo Schulwerk, ovvero 5 volumi di esercizi parlati, ritmici, melodici, di improvvisazione e tanto altro ancora, che riscossero un grande successo. La diffusione della sua proposta si è delineata nel tempo come una sorta di work in progress tuttora in corso.

Una delle premesse fondamentali che diede vita allo Schulwerk consistette nella ricerca dell’elementarità e dell’unitarietà dell’esperienza musicale; il compositore tedesco per musica elementare non intendeva una musica semplificata, ma una musica innata e integrale, ricondotta ai suoi elementi fondamentali, che chiunque può apprendere, accessibile quindi anche ai bambini (Piazza, 1979). Questi elementi vanno da alcune figure ritmiche fondamentali fino alle prime strutture formali.  Nonostante quello che si è portati a pensare, lo Schulwerk non è da ritenersi un metodo “tradizionale”, come l’autore insisteva, “ma una serie di suggerimenti e di idee attraverso le quali sviluppare varie abilità fondamentali in campo musicale” (Biasutti, 2007, p. 109). Una delle ragioni per cui l’autore e il “criterio pedagogico generale” da lui ideato è rimasto così celebre negli anni è la creazione di uno strumentario originale: lo strumentario Orff, ossia un set di strumenti che si contraddistingue per il facile utilizzo e la chiarezza timbrica. Gli strumenti non dovevano essere dei giocattoli, ma dovevano responsabilizzare i bambini ed abituarli all’utilizzo di un vero e proprio strumento musicale (Biasutti, 2007). Questa idea venne sviluppata in quanto, come lo stesso autore dichiara nell’opera originale, si ricercava “una attivazione dell’allievo attraverso un far musica autonomo e cioè attraverso l’improvvisazione e l’ideazione di musica propria. Così non mi interessava che esso venisse avviato a strumenti d’arte altamente evoluti, quanto a strumenti orientati preferibilmente al ritmo, relativamente facili d’apprendimento, primitivi, vicini al corpo”  (Piazza, 1979).

Allo strumentario, ma non solo, spettava l’arduo compito di permettere al bambino di fare da solo la propria musica. Nello Schulwerk si fa anche un ampio riferimento a due risorse a disposizione di tutti: la voce e il corpo. La voce viene utilizzata principalmente attraverso giochi di parole; il corpo invece viene utilizzato come sorgente sonora così come avviene nella body percussion (Somigli, 2013).

Già da quanto appena esposto possiamo intuire quanto il bambino, in questa metodologia, sia il protagonista e partecipi alla propria educazione in maniera attiva. Attraverso l’invenzione il bambino sperimenta ed apprende in prima persona, inoltre questo approccio stimola il bambino a indagare, scegliere, decidere e dedurre in maniera autonoma. In altre parole rende il bambino protagonista di esperienze musicali attive e non mero destinatario delle stesse. Possiamo dire che Orff è il primo che avvicina il bambino alla musica facendogliela fare. Considerato tale scopo, risulta ovvio anche il perché la maggior parte dei materiali musicali non siano finiti, ma grezzi ed incompleti (Piazza, 1979). Il ruolo dell’insegnante nello Schulwerk è quello di mediatore tra la materia educativa e il bambino. Egli deve lasciarlo libero di fare, di agire, ma allo stesso tempo deve instaurare un colloquio con esso al fine di farlo riflettere criticamente su ciò che ha fatto. Inoltre, lo Schulwerk esige dall’insegnante una partecipazione consapevole e creativa, sollecitando il suo contributo personale (Piazza, 1979).

Entrando un po’ più nel merito della composizione musicale a scuola, secondo Delalande (1993) esiste un’attività spontanea di esplorazione sonora che inizia fin dal primo mese di vita e va avanti fino all’adolescenza ed assume diverse forme a seconda dell’età. Per spiegare questi cambiamenti Delalande riprende le tre forme di attività ludica elaborate da Piaget per applicarle ai giochi musicali dei bambini e alla loro evoluzione.

  1. I giochi senso-motori sono dominanti fino ai 2, 3 anni.  In questo periodo il bambino fa conoscenza del mondo attraverso l’esperienza sensoriale e motoria. Tramite queste esperienze egli amplia anche il numero di schemi di movimento a sua disposizione. Questi gesti non vengono compiuti per raggiungere una finalità specifica, ma sono eseguiti in quanto producono piacere nell’esecuzione. Questo schema viene anche impiegato per esplorare a livello sonoro ciò che ci circonda (graffiare, picchiettare, sbattere ecc.). Il musicista adulto continua ad adottare questa condotta esplorativa quando vuole ottenere dal suo strumento un determinato suono (Delalande, 2004).
  2. Il gioco simbolico, tipico del bambino nel periodo nella scuola dell’infanzia, riguarda i giochi basati sul “far finta di…” (Frapat, 1994). In questi giochi è presente l’utilizzo del suono che viene utilizzato per evocare personaggi, movimenti e situazioni. Esso non è più l’esito della sperimentazione di uno schema senso-motorio ma il risultato della volontà di esprimersi attraverso i suoni. L’esperienza del gioco simbolico per Delalande è presente anche nel musicista: “Il musicista imita la vita proprio come la bambina fa finta di essere la mamma” (Delalande, 2004, p. 35).
  3. I giochi con regole compaiono soprattutto durante la scuola primaria (Frapat, 1994) e sono caratterizzati dal piacere di applicare regole ai propri giochi e di crearne di nuove. Questo processo si riflette nelle produzioni musicali dei bambini, interessati ad organizzare i suoni entro determinate regole. Essi sono largamente presenti anche nella musica adulta, tanto che ogni cultura musicale ha un proprio stile (Delalande, 2004).

Anche Swanwick e Tillman (1986) hanno compiuto uno studio molto importante in merito allo sviluppo della produzione musicale facendo riferimento alla teoria piagetiana. Nella loro ricerca hanno coinvolto bambini di età compresa tra i 3 e i 15 anni ai quali è stato chiesto di comporre una musica individualmente e talvolta anche in gruppo, rispettando differenti richieste (ad esempio: comporre un pezzo utilizzando le maracas, uno xilofono di scala pentatonica, ma anche ripetere la musica precedentemente prodotta e molti altri compiti). Inoltre al termine della performance sono state poste ai bambini delle domande che insieme a tutte le performance prodotte sono state registrate ed analizzate dai due studiosi. In totale i due ricercatori hanno considerato 745 lavori tra improvvisazioni e composizioni. Il modello di sviluppo da loro proposto sulla base dello studio descritto, si basa su tre dimensioni interconnesse: padronanza, imitazione e gioco immaginativo. La padronanza consiste nella conoscenza del materiale sonoro, e quindi comprende la capacità di discriminare, riconoscere gli stimoli sonori e la capacità di saperli utilizzare per creare musica. L’imitazione, la seconda dimensione, consiste nella capacità di immedesimarsi ed esprimersi attraverso la musica. Il gioco immaginativo riguarda invece la capacità di creare relazioni tra i vari elementi musicali. Per i due studiosi lo sviluppo musicale prevede il potenziamento di tutte queste tre componenti, che si influenzano reciprocamente.

Hargreaves (1996) si chiese se nella competenza artistica del bambino (non solo musicale, ma anche di altri tipi di arte) siano individuabili delle tappe condivise. Egli cerca di rispondere a questa domanda integrando due diverse prospettive: da una parte quella di Piaget, dall’altra l’ipotesi di Gardner sulle intelligenze multiple. Egli analizza differenti fonti, quali ad esempio disegni, produzione di giudizi estetici, abilità musicali, e le confronta tra loro. Egli giunge ad individuare 5 fasi per quanto riguarda le abilità musicali, studiate in riferimento a 4 aree distinte: canto, forme di notazione, percezione melodica e composizione. Di seguito le cinque fasi da lui trovate.

  1. La fase senso-motoria copre i primi due anni di vita. In questo periodo il bambino reagisce all’ascolto musicale prima con reazioni motorie, associate successivamente a vocalizzazioni. Per quanto riguarda la dimensione della percezione melodica l’aspetto più interessante risulta essere quello del profilo melodico: i bambini sembrano mostrare una precoce sensibilità all’acculturazione indotta dall’ambiente. In particolare, essi sembrano registrare performance migliori rispetto alla discriminazione di strutture musicali tonali.
  2. La fase figurale avviene dopo i 18 mesi di vita. La simbolizzazione è una forma di pensiero rappresentativo che rende possibile la sostituzione di un oggetto o di un’azione con un segno (simbolo). In questo periodo, questa capacità è in fase di sviluppo ma non ancora del tutta padroneggiata, questo si evidenzia soprattutto nella produzione delle note inventate. In questa fase, il canto originale e imitativo si uniscono nelle cosiddette canzoni “pot-pourri” e migliora progressivamente la capacità nella riproduzione accurata delle note. 
  3. La fase schematica si estende dai 5 agli 8 anni. In questa fase le convenzioni degli adulti sono presenti ma non pienamente assimilate: il bambino adatterà le regole che ha percepito dal contesto in modo da poterle applicare. Questo fenomeno lo si nota anche nella produzione linguistica quando il bambino adotta in modo schematico le regole convenzionali (ad esempio dice “aprito” invece di aperto, applicando schematicamente la regola generale che vuole il participio passato della terza declinazione dei verbi finire in “ito”). In campo musicale, le notazioni infantili evolvono in maniera significativa rappresentando dapprima solo il ritmo, o comunque una sola dimensione musicale, ed integrando poi le altre dimensioni. I bambini in questa fase completano l’acquisizione tonale. Questo è evidenziato da vari aspetti quali ad esempio: la preferenza attribuita ad accordi consonanti, la capacità a riconoscere modulazioni appropriate e a riprodurre intervalli scalari. Per quanto riguarda i canti, quelli inventati acquisiscono una struttura maggiormente organica e quelli imitativi diventano più accurati.
  4. La fase dei sistemi di regole si estende dagli 8 ai 15 anni. In questa fase si stabilizza l’adozione di alcune convenzioni degli adulti. Rispetto alla fase precedente, il bambino si distacca dalla “reazione egocentrica all’arte”, ovvero si distacca dal giudizio artistico sempre connesso al proprio vissuto, presente nella fase precedente ed inizia a formare le proprie preferenze e i propri gusti, dimostrandosi meno aperto all’ascolto di altri stili.
  5. La fase professionale prende avvio dopo i 15 anni. In questa fase l’individuo ha imparato a padroneggiare le regole di particolari forme d’arte. Alcuni soggetti sono anche in grado di andare oltre a queste giungendo al livello metacognitivo: essi sono capaci di prendere coscienza dei propri meccanismi di pensiero e dei propri processi creativi. Hargreaves distingue poi due ulteriori stadi del livello metacognitivo: nel simbolico gli artisti sono in grado di porre enfasi sugli aspetti espressivi ed emotivi e li comunicano agli altri; nello stadio sistematico gli artisti sono dotati di un grado di astrazione tale che permette loro di tradurre il materiale sonoro in nuovi stili.

In generale da queste ricerche emerge che negli anni della scuola primaria si rafforza l’abilità di produzione del materiale sonoro (Concina, 2015), anche se le abilità creative musicali nella scuola sono spesso trascurate nonostante i bambini, contrariamente a quanto si pensa, siano in grado di inventare musica. Ciò è legato al fatto che non tutti gli insegnanti hanno una preparazione adeguata in campo musicale e dunque non si sentono preparati ad affrontare questi aspetti, preferendo svolgere attività considerate più semplici, come quelle di ascolto o di esecuzione. Inoltre questo senso di ansia e di inadeguatezza nei confronti della disciplina musicale vale anche per gli insegnanti in formazione, segno che anche l’Università dedica ancora troppo poco tempo alle discipline musicali e alla formazione dei docenti in questo campo, e non solo in senso teorico. Infatti, per essere un bravo educatore si richiede non solo una conoscenza dell’ambito disciplinare considerato, ma anche e soprattutto specifiche competenze didattiche che garantiscano una efficace gestione dei processi di insegnamento-apprendimento. Gli insegnanti di musica di scuola secondaria, ad esempio, hanno una preparazione di base volta a diventare esecutori professionisti, ma viene dato poco spazio alla didattica (Biasutti, 2010), anche per questo motivo non sempre sono in grado di appassionare i ragazzi alla musica. Insomma, una preparazione di base in musica è indispensabile ma non basta; in effetti “per un adeguato svolgimento dell’educazione musicale nella scuola primaria, sono cruciali sia il grado di preparazione e le competenze degli insegnanti in relazione agli attuali obiettivi curricolari, ai contenuti e alle pratiche didattiche, sia il grado con il quale il programma ufficiale considera la formazione e la professionalità dei docenti” (Hennessy, 2010, p. 26).

* Tecnico del suono, Laurea in Scienze della Formazione Primaria, Università di Padova


Bibliografia

Biasutti, M. (2007). Creare musica a scuola: elementi di didattica per la scuola primaria. Lecce: Pensa Multimedia.

Biasutti, M. (2010). Educare a Educare: ricerche sulla formazione degli insegnanti in musica. Lecce: Pensa Multimedia.

Biasutti, M. (2015). Elementi di didattica della musica: strumenti per la scuola dell’infanzia e primaria. Roma: Carocci Faber.

Concina, E. (2015). Il bambino e il suono. Sviluppo delle abilità sonore e musicali nell’infanzia e nella preadolescenza. In M. Biasutti, Elementi di didattica della musica: strumenti per la scuola dell’infanzia e primaria. (p. 39-66). Roma: Carocci Faber.

Delalande, F. (1993). Le condotte musicali: comportamenti e motivazioni del fare e ascoltare musica. Bologna: CLUEB.

Delalande, F. (2004). La musica è un gioco da bambini. Milano: Franco Angeli.

Frapat, M. (1994). L’invenzione musicale nella scuola dell’infanzia. Bergamo: Junior.

Hargreaves, D. (1996). The development of artistic and muscial competence. In I. Deliege, & J. Sloboda, Musical beginnings: origins and development of musical competence (p. 145-170). Oxford: Oxford University Press.

Hennessy, S. (2010). La formazione musciale degli insegnanti nella scuola primaria. In M. Biasutti, Educare a Educare (p. 23-67). Lecce: Pensa Multimedia.

Piazza, G. (1979). Orff-Schulwerk Manuale. Milano: Suvini-Zerboni.

Somigli, P. (2013). Didattica della musica: un’introduzione. Roma: Aracne.

Swanwick, K., & Tillman, J. (1986). The sequence of music development: a study of chidern’s composition. British Journal of Music Education, 305-339.

Vigotskij, L.S. (1972). Immaginazione e creatività nell’età infantile. Roma: Editori Riuniti

Zucchini, G. L. (1984). Bambino e la musica: proposte di metodo e esperienze. Brescia: La Scuola.

Zucchini, G.L. (1985). Suoni e musica nella scuola dell’infanzia, Firenze: La Nuova Italia