Intervista al segretario generale

Pino Turi, segretario generale della Uil Scuola, riflette con noi in questa intervista sulla pesante situazione connessa alla diffusione dell’epidemia del temibile Coronavirus

Le attività didattiche sono state sospese in tutta Italia fino al 3 aprile prossimo, ora ci si interroga sul futuro. Intanto le scuole si sono attrezzate con la didattica a distanza. La situazione è una sorta di foto mossa. Alle scuole più attrezzate si accompagnano gli istituti dove si fa maggiore fatica a partire con le tecnologie. Il dato comune è che si è stati presi alla sprovvista da un’emergenza inattesa e dalle proporzioni inaspettate.

La scuola, prontissima sul piano delle emergenze da incendio e terremoti, non lo era sul piano del contenimento della rapida diffusione e del contagio di un virus sconosciuto e contro il quale non esistono farmaci.

Eppure le iniziative, che si sono strutturate in poche settimane nelle scuole italiane, stanno dando una mano agli studenti, parte dei quali è a casa ormai dal 21 febbraio scorso. Ma può essere questa un’alternativa alla didattica tradizionale? “E’una strategia educativa, non un’alternativa didattica – osserva Turi – altrimenti raccontiamo cose non vere, né credibili. Nell’emergenza si fa quel che si può e speriamo che finisca al più presto, ma vedo una superficialità e una corsa alle piattaforme private che definisco una fiera delle vanità”.

Pino Turi, torniamo all’emergenza. Alla fine si è arrivati alla sospensione dell’attività didattica fino al 3 aprile prossimo per tutta Italia…

“Sì, questa emergenza sanitaria si sta dimostrando più ostica del previsto, almeno a giudicare dai provvedimenti davvero drastici che hanno portato alla sospensione delle lezioni fino al 3 di aprile e speriamo che basti”.

E non si era preparati

“Nessuno era preparato. La scuola non era preparata. Non c’è mai stato un progetto del genere e nessuno si poteva aspettare una cosa del genere che la scuola sta affrontando con le armi che ha”.

Comunque il virus non ha fermato la scuola. I ragazzi sono a casa, le tecnologie stanno dando una mano a tenere i contatti.

“C’è un costante contatto con gli strumenti informatici, anche per non tenere i ragazzi in un senso di abbandono. E’ una strategia educativa, non un’alternativa didattica, altrimenti raccontiamo cose non vere e né credibili. E’ quello che si sta facendo con grande difficoltà anche da parte delle famiglie perché anche loro non erano preparate, come non lo erano gli studenti. Nell’emergenza si fa quel che si può e speriamo che finisca al più presto”.

Qualcuno paventa il rischio che con questa esperienza la didattica a distanza possa un giorno sostituire la didattica di presenza.

“Chi pensa questo narra qualcosa che non ha attinenza con la realtà. Superiamo la crisi e poi facciamo discussioni serie sull’argomento, questo sì. Se qualcuno vuole invece fare sciacallaggio in questa situazione se ne assuma le responsabilità”.

A chi si riferisce?

“Vedo una grande superficialità nel proporre piattaforme private, che certo possono avere un loro significato in un quadro generale. Questa corsa che io ho definito fiera della vanità non aiuta a superare le emergenze. Penso anche ai presidenti delle Regioni e ai sindaci, o a tanti dirigenti scolastici che si affrettano a mettere in evidenza la propria scuola invece che le altre su quello che stanno facendo. Io dico che si sta insieme, si fa comunità e poi si discute. Questa situazione mette in evidenza che la realtà virtuale non può superare le vere esigenze di comunità che sono insite nella natura umana”.

Dalle notizie che arrivano sembra che molti studenti non si stiano collegando alle piattaforme per le lezioni online. Del resto molte famiglie hanno più figli e non sempre in casa c’è il doppio pc, magari ci sono gli smartphone ma non è la stessa cosa. Non si rischia di perpetrare una nuova odiosa forma di digital divide?

“Questa è un’emergenza mai vista. E’ la prima della storia. In tutte le altre catastrofi l’emergenza si poteva delimitare. In un terremoto si sa che ci sono mille ragazzi coinvolti, i loro docenti, si potrebbe trovare una alternativa davanti a numero definito di persone, di edifici crollati o da evacuare e mettere in sicurezza. La nostra emergenza è totale. I numeri sono impressionanti. Sono coinvolti 800.000 docenti, 7 milioni di alunni, 14 milioni di genitori, aggiungiamoci i nonni. Ottomila istituti scolastici, con 45.000 plessi. Si tratta di interventi tampone che non possono essere risolutivi e garantire il diritto allo studio di tutti? Come si può pensare in maniera seria di surrogare la didattica di fronte a questi numeri? Occorre fare una riflessione seria, però dopo l’emergenza, ben sapendo che abbiamo bisogno di avere la garanzia della tutela della libertà di insegnamento che questi strumenti potrebbero mettere in discussione: una piattaforma privata non può sostituire la scuola. La tecnologia non può sostituire il pensiero e il pensiero non può essere gestito dagli algoritmi. Il rischio è che una piattaforma privata possa gestire la formazione dei cittadini, stiamo attenti agli sciacalli – insisto – che approfittano per affermare, a caldo, i loro principi. Le emergenze possono portare elementi positivi ma anche negativi. Noi vediamo delle piattaforme private – non ne abbiamo di pubbliche, nessuno le ha mai create – che detengono gli strumenti di formazione. Stiamo parlando della formazione, ma scherziamo? Si apre un mondo di cui non è possibile discutere in uno stato di emergenza come quello in cui ci troviamo. Successivamente si aprirà un dibattito e si coinvolgeranno i valori costituzionali, poiché stiamo parlando del futuro dei nostri nipoti. La libertà si può perdere in ogni momento e peraltro si sta creando una distinzione tra chi può e chi non può. Tanti alunni non riescono ad accedere alla didattica a distanza, come detto. La scuola pubblica invece deve fornire garanzie a tutti”.

Non c’è davvero nulla da salvare?

“Le tecnologie aiutano a vincere meglio. Ma occorre vedere se aiutano le persone o se le sostituiscono. Sono un mezzo, non un fine. Io non voglio spegnere gli entusiasmi ma ho paura dei facili entusiasmi. Perché possono portare a scelte non ragionate che mettono in discussione i valori fondanti sui cui il paese si tiene e che sono nella Costituzione. E se si va a toccare la sanità e l’istruzione si intuisce la delicatezza degli argomenti. Davvero si pensa che si possa parlare di questo in una fase di emergenza: ma stiamo scherzando? Oggi il sindacato per effetto di questa emergenza non può nemmeno incontrare i lavoratori. E’ venuto meno il rapporto diretto con le persone, che non può essere surrogato da strumenti propagandistici. Ecco perché gli entusiasmi vanno bene ma non bisogna farsi prendere la mano. In ogni crisi c’è chi ne può approfittare: c’è chi si arricchisce e chi si impoverisce. Quando si parla di formazione e di istruzione gli effetti hanno un respiro di dieci, vent’anni e quindi non si può affrontare un argomento di questo genere tra chi è favorevole e chi è contrario”.

E voi siete completamente contrari?

“Noi abbiamo dimostrato di aver collaborato, poi però ci si ferma e si discute bene sapendo che dopo la crisi sarà un mondo diverso sul piano dei rapporti sociali e politici e dobbiamo fare in modo che dalla crisi venga fuori una società migliore, la quale non viene fuori con degli automatismi ma per volontà politica. Sa cosa le dico? Prima usciamo dalla crisi, poi creiamo subito delle sedi di garanzia di libertà di insegnamento e di libertà in generale per avere una tecnologia al servizio della libertà e non il contrario. Noi cerchiamo di collaborare sapendo quali sono le problematiche. Ci auguriamo che la responsabilità dimostrata da noi corrisponda alla responsabilità della politica che non sempre è all’altezza di questa emergenza in termini di responsabilità. Intanto seguiamo ciò che ci dicono gli scienziati”.

Torniamo per un attimo a scuola. I docenti sono a casa come gli studenti. Il personale Ata invece è rimasto là. E dice di non capire perché. Perché?

“Si è creato un clima di contrapposizione che non va bene. Nessuno ha spiegato al personale Ata il motivo per il quale loro sono a scuola mentre la scuola è vuota. Si sentono discriminati”.

Proviamo a dirlo noi. Docenti e alunni stanno a casa perché è meglio evitare che dieci milioni di persone ogni giorno affollino le aule e le corriere consentendo al Covid 19 di espandersi con estrema facilità.

“Ecco. Ma nessuno ha spiegato al personale Ata queste motivazioni, e perché dovrebbero stare a scuola, qui si parla di tutela della salute, e loro sono risentiti. Se si chiede di collaborare si collabora, il personale collabora sempre con l’amministrazione. Ma se si vuole creare di contrapposizione, questa non giova a nessuno. Le amministrazioni hanno la responsabilità di verificare e garantire la salubrità dei luoghi di lavoro e impedire che le infezioni possano riversarsi sulla popolazione. Se un lavoratore va a lavorare e sa di poter ammalarsi non ci va tranquillo. Comunque, ci sono delle leggi all’avanguardia, ci sono i responsabili della sicurezza richiamati dal recente Dpcm che faranno i sopralluoghi per verificare il rispetto delle norme igieniche indotte dall’emergenza, quale la distanza minima tra le persone”.

Le fanno?

“Le verifiche devono essere fatte luogo per luogo e scuola per scuola. I responsabili sicurezza che valutano le situazioni e poi le segnalano al dirigente affinché rimuova le situazioni di rischio e di pericolo. Dopo di che ci vuole il buon senso, che significa non seguire la pedissequa lettera della norma ma capirne la ratio”.

Faccia un esempio.

“Per esempio, a luglio e agosto i lavoratori non sono tutti a scuola. Quindi perché non utilizzare lo stesso buon senso, con la turnazione e la flessibilità? In una scuola dove non ci sono attività, a che cosa serve la gente a scuola? Si può fare lo smart working da casa. Magari nei convitti oppure negli istituti agrari è necessario esserci, ma nelle altre? Basterebbe fare i turni, adottare la flessibilità Dopo la crisi ci sarà una regolamentazione anche di tutto questo. E faccio un appello: siccome siamo in emergenza è inutile fare riunioni, si può recuperare anche la didattica nei mesi di giugno e di luglio, faremo quel che serve”.

Sta dicendo che gli insegnanti potranno essere chiamati a proseguire le lezioni a giugno e metà luglio?

“E’ solo una considerazione ed una preoccupazione che l’anno scolastico possa slittare per garantire il diritto allo studio per tutti e, in particolare, per coloro che sono impegnati negli esami di maturità che si potrebbero tenere anche a settembre. I docenti si adoperano per gli altri. Oggi sono vittime di una situazione, non l’hanno certo provocata. Sarebbero stati molto contenti a continuare a lavorare”.

Intanto avete avuto un incontro al Ministero. Che cosa vi siete detti?

“Siccome siamo in emergenza, non se ne può parlare altrimenti sarebbe fatto in maniera viziata. Quando si parla di queste cose occorre normalità, non si può fare in emergenza. Non siamo in grado di parlare con i nostri iscritti, come ho già detto. Siccome le chiuse sono chiuse, non possiamo fare assemblee. Ci parliamo solo attraverso i canali social. In situazioni come queste ci sono dei rischi. C’è chi potrebbe voler eliminare i corpi intermedi, alla ricerca dell’uomo forte”.

Molti docenti chiedono notizie sui concorsi. Ne avete parlato nella riunione con il Ministero?

“La vicenda dei concorsi si è purtroppo incrociata in un periodo che non ha precedenti nella storia: mai si sono chiuse le scuole in tutto il paese, a meno di non considerare il periodo bellico. La vicenda dei concorsi ha subito un brusco rallentamento. I 24.000 posti per la stabilizzazione del concorso riservato sono il risultato dell’azione sindacale, svolta con tre ministri e due governi. Serviva e serve ancora qualche aggiustamento – questo aveva determinato la proclamazione di uno sciopero –  che non ha ancora trovato la disponibilità dell’attuale ministro. I motivi di dissenso restano tutti. Siamo in attesa del parere del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione e delle decisioni del ministro, che mi auguro voglia riaprire il confronto sindacale per condividere il percorso”.

Torniamo agli studenti. Siamo a marzo ormai inoltrato e i professori si stanno chiedendo che ne sarà della valutazione. La recentissima Nota 279 del ministero recita testualmente che la normativa di riferimento, “al di là dei momenti formalizzati relativi agli scrutini e agli esami di Stato, lascia la dimensione docimologica ai docenti, senza istruire particolari protocolli che sono più fonte di tradizione che normativa”. Vuol dire che finora i docenti hanno valutato gli studenti sulla base di criteri basati sulla tradizione e non su norme precise?

“La formulazione è criptica, ma penso sia riferita alla cosiddetta didattica a distanza, cosa diversa dalla strategia educativa di supporto alla comunità scolastica, propria di questa fase emergenziale. Molti si chiedono,nei casi di attivazione della didattica a distanza, secondo parametri e procedure tracciabili, come e se sia possibile codificare assenze e valutazione degli alunni, ai fini della valutazione finale, al pari della lezione tradizionale. Inoltre, la valutazione periodica che è propedeutica a quella finale, realizzata nella didattica a distanza, in questo periodo di emergenza, risponde a principi giuridici e percorsi molto circostanziati nelle fasi di scrutinio e di esame?
Se così fosse, anche la valutazione periodica, con interrogazioni e compiti di verifica, fatta con gli strumenti informatici e a distanza, deve avvalersi della tradizionale esperienza professionale del docente che la quantifica di volta in volta, nella sua dimensione docimologica, come accade nei processi valutativi in presenza”.

Un’altra questione poco dibattuta riguarda la privacy dei docenti, che nelle lezioni online non è poi tutelata al massimo. Chi assicura gli insegnanti che le immagini non siano un giorno manipolate e messe in rete?

“Questa ed altre implicazioni di carattere giuridico investono aspetti  di  privacy anche riferiti agli studenti per la grande mole di dati che possono essere gestiti e profilati da piattaforme anche private, molte volte quelle stesse che detengono il monopolio dell’informazione e che potrebbero acquisire quello della formazione. Un rischio di privatizzazione della scuola ben presente in altre esperienze al mondo che hanno già attivate queste procedure di didattica alternativa che deve  indurre alla prudenza”.

Quali altre gradi questioni si nascondono dietro alla grande emergenza sanitaria e scolastica che abbiamo di fronte?

“Io sono convinto che questa emergenza ponga due questioni. Condanna chi ha fatto tagli a sanità e scuola e chi ha considerato questi elementi come beni da utilizzare con il sistema del mercato e non come valori fondanti di ogni persona libera di questo paese. La libertà non si può barattare con nulla. Sanità e istruzione sono elementi che costituiscono il nuovo umanesimo che ci auguriamo sia scevro da elementi di propaganda e di convenienza politica. Abbiamo bisogno di statisti, non di politici”.