La tecnologia c’è ma la formazione è ancora in ritardo

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno

Trasformare l’emergenza in un’opportunità. È lo slogan che abbiamo sentito ripetere più spesso in questi giorni di scuole chiuse, lezioni sospese, ragazzi a casa e famiglie costrette a riorganizzare i tempi e gli spazi di vita e di lavoro a causa dell’epidemia di coronavirus.

L’ha coniato la ministra Lucia Azzolina per invitare le scuole a impegnarsi nella didattica a distanza, l’ha rilanciato il capo dei presidi e con lui molti dirigenti scolastici, l’hanno usato (seppur con qualche distinguo) i sindacati e perfino i singoli docenti. L’idea di dedicare un’intera guida alla sfida dell’e-learning e della smart education nasce da proprio da lì. E le pagine seguenti vogliono essere un primo “termoscanner” della temperatura che si registra in questi giorni nel sistema di istruzione italiano. Chiamato a uno stress test non da poco per un Paese che è sempre rimasto affezionato al caro vecchio insegnamento frontale e che – in generale – non ha mai brillato per l’utilizzo delle nuove tecnologie, come conferma il 24esimo posto su 28 nell’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (Desi). E non è un caso che lo stesso ministero abbia sentito la necessità di ricordare che la teledidattica, soprattutto per gli alunni più piccoli, non può essere solo l’invio da remoto dei compiti da svolgere a casa.

La (buona) dotazione digitale

In teoria la dotazione tecnologica delle scuole italiane dovrebbe fare ben sperare. Come confermano le ultime statistiche (aggiornate a febbraio 2020) sull’attuazione del Piano nazionale scuola digitale avviato dalla Buona Scuola del 2015. Rispetto a 5 anni fa, infatti, la quota di istituti che comunicano online con le famiglie attraverso, ad esempio, il registro elettronico è passato dal 50 al 97%; al tempo stesso le aule dotate di Lim o di schermi digitali sono il 91% anziché il 26 mentre quelle dotate di connettività arrivano al 93% (contro il 35). Senza dimenticare quel 78% e più di classi dotate di scenari didattici innovativi (robotica, pensiero computazionale, storytelling eccetera). Anche il confronto con il resto del Vecchio continente dovrebbe contribuire a confortarci. Stando all’ultimo «Survey of schools: Ict in education», aggiornato però al 2019, sia per strumentazione digitale in classe sia per velocità di connessione siamo spesso al di sopra della media europea. Fin qui le buone notizie.

La formazione a metà

Se passiamo ad analizzare quanto e come le nuove tecnologie – le stesse che in questi giorni dovrebbero garantire l’annullamento della distanza tra insegnanti e allievi – vengono usate in classe arrivano le prime ombre. Soprattutto nelle scuole superiori. Mentre alle medie l’uso di strumenti elettronici risulta in linea con gli altri Paesi Ue, alla secondaria di secondo grado la forbice invece si allarga. Solo il 12% dei nostri alunni usa il laptop (contro il 15% di media) e il 49% (anziché il 53%) si serve dello smartphone. Ma a preoccupare è soprattutto il livello di formazione raggiunto dal corpo docente italiano, con il 47% che si è formato nell’uso degli strumenti digitali (il 48% alle superiori). Percentuali in linea con il resto d’Europa ma forse un po’ basse per affrontare la sfida a cui sono chiamati in questi giorni.

La pagina web dedicata

Al ministero hanno ben presente questi numeri. E non è un caso che la ministra Lucia Azzolina, già prima dell’emergenza coronavirus, avesse annunciato di voler rivedere la formazione dei prof. Se ne parlerà più avanti. Per adesso si procederà con i mezzi che abbiamo a disposizione. A cui si è aggiunta la pagina web dedicata alla didattica a distanza che il ministero ha lanciato il 2 marzo e che viene implementata quasi quotidianamente. Secondo una logica di contaminazione e di orizzontalità del sapere e delle esperienze che presuppone però la buona volontà dei docenti ad attivarsi in prima persona o a seguire l’input dei presidi.

Il team di innovatori

Sempre nell’ottica di mettere in contatto domanda e offerta di innovazione, nel frattempo, il ministero è intervenuto di nuovo sul tema. Con la circolare del 6 marzo ha chiamato a raccolta tutti gli esperti formati negli anni scorsi per aiutare le realtà rimaste indietro: i referenti del Piano nazionale scuola digitale (Pnsd) attivi presso gli Usr, le équipe formative territoriali, i ”Future labs” e altre professionalità che possono supportare (da remoto) le iniziative dei singoli istituti.
Un plotone nutrito di esperti se consideriamo che i referenti del Pnsd presso gli Usr sono 18, le équipe formative sono 120 in tutta italia, i “Future labs” sono 28. A cui si aggiungono gli 8.220 animatori digitali (uno per ogni scuola) e i 24.000 docenti dei team per l’innovazione digitale. Tutti a disposizione dei dirigenti scolastici e poi degli altri professori. Che potranno e dovranno usare di più – come si legge nella nota del 6 marzo – le potenzialità del registro elettronico, le classi virtuali, i canali digitali per produrre e condividere contenuti. Cercando, soprattutto alle elementari, di non limitarsi a inviare compiti ed esercitazioni senza accompagnare con alcun contatto (se possibile visivo) a distanza, è l’invito giunto con un’altra circolare dell’8 marzo. Dal canto suo, viale Trastevere ha messo a disposizione anche una casella di posta elettronica dedicata all’help desk (supportoscuole@istruzione.it). Sperando che basti.