Le associazioni di scuole autonome

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Le associazioni di scuole autonome

di Gian Carlo Sacchi

 

L’autonomia delle scuole continua ad essere considerata il pensiero debole nel riordino del sistema dell’istruzione. Alla fine del secolo scorso era iniziato un processo di decentralizzazione della pubblica amministrazione che prevedeva il riconoscimento dell’autonomia e della personalità giuridica alle istituzioni scolastiche. Non era ancora completato quando è sopraggiunta la riforma del titolo quinto della Costituzione che riformulava in modo piuttosto deciso le competenze dello Stato e delle Regioni, facendo salva l’autonomia scolastica. Nemmeno questo ulteriore pronunciamento ha trovato applicazione, ma fin dall’inizio si è diffusa la preoccupazione della fragilità  delle scuole a svolgere un’attività a tutto campo, sia sul piano didattico, sia su quello amministrativo, sia nel rapportarsi, con una propria politica, con gli enti territoriali, nonché di questi ultimi ad assumere in modo efficace la propria azione di programmazione.

Per decreto si è cercato di identificare le caratteristiche dell’autonomia didattica e organizzativa, ma sul piano della governance i rapporti con le autonomie territoriali sono sempre stati tenuti dall’amministrazione scolastica: alla conferenza stato-regioni le scuole autonome non hanno mai avuto rappresentanza, così come tra la programmazione dell’offerta formativa e la gestione del personale.

La debolezza e la polverizzazione delle autonomie scolastiche hanno di fatto condizionato la funzione delle reti, strumenti introdotti per il potenziamento dell’attività didattica, con particolare riferimento all’autonomia di ricerca e sviluppo. Su di esse sono state eseguite numerose ricerche che hanno evidenziato una destinazione prevalentemente orientata a problematiche organizzative e amministrative; l’evoluzione della normativa fa propendere verso un’ulteriore accentuazione di tale impostazione fino ad arrivare a reti obbligatorie con compiti di assegnazione e gestione del personale. Bisognerà vedere se il così detto “organico di rete” sarà un segnale di autonomia oppure un modo per ricollocare una funzione amministrativa oggi svolta dagli uffici ministeriali provinciali e regionali  ai quali magari potranno aggregarsi anche i funzionari per rimpiazzare a lungo andare i dirigenti delle scuole capofila della rete stessa, che l’esperienza ha già dimostrato essere in difficoltà ad operare per conto di tutti gli altri istituti e che potrebbero quindi far ritornare dalla finestra quelle strutture amministrative a rischio di abolizione ormai da molti anni. Di questo si era già parlato più volte, dai tempi del ministro Falcucci nel distretto scolastico e con i Centri di Servizi (Butera 1999).

Insomma torniamo ad un’autonomia concessa, diversa dal quel riconosciuta contenuta nel decreto 233/1998, che si vede meglio praticata dalle associazioni di scuole autonome, create spontaneamente sotto la spinta della richiesta di rappresentanza, nei rapporti con gli enti territoriali, per intervenire direttamente nella politica scolastica, come agli inizi del novecento avvenne per l’associazione dei comuni italiani.

Di queste associazioni si hanno notizie frammentarie, sono nate anch’esse con l’autonomia, ma si sono distinte per un’azione di valorizzazione delle prerogative e di salvaguardia dai rischi connessi con l’autonomia stessa, a partire dai dirigenti scolastici. Non funzionari delegati, come nel caso delle reti, ma manager in campo aperto, alla ricerca di luoghi di confronto ma anche di tutela.

Una rappresentanza delle scuole autonome (l’ANCI delle scuola ?!), ma non un sindacato.

La prima occasione per diffondere dati sulla loro presenza ed attività sull’intero territorio nazionale è stata la ricerca dell’Università di Bolzano-Bressanone realizzata sotto la guida del prof. Mario Falanga, di cui si è discusso in un recente convegno svolto presso l’ateneo alto-atesino.

Si sono approfondite le ragioni a fondamento della prassi associativa e il comportamento dell’amministrazione centrale periferica nei confronti delle associazioni. Mentre le reti, come si è detto, passano attraverso il così detto canale istituzionale, nessuna assistenza è stata fornita dagli uffici ministeriali alle associazioni, se si eccettuano le Intendenze della provincia autonoma. Secondo l’amministrazione scolastica anche le associazioni trovano la loro natura giuridica nell’art. 7 del DPR 275/1999, come le reti, mentre la maggior parte di loro si è costituita con atto pubblico, di natura civilistica e in certi casi in tempi antecedenti il predetto decreto.

Le associazioni più attive sono a livello provinciale, prevalentemente al nord: Lombardia ed Emilia Romagna; si sono costituite più vicine alla realtà in cui operano e che vogliono rappresentare: i presidenti e gli organismi agiscono in maniera volontaria. Meno presenti sono quelle regionali e solo due sono le federazioni nazionali, una delle quali è nella stessa sede dell’ANCI.

Le attività prevalenti riguardano la politica del territorio, la consulenza, lo sviluppo dell’autonomia e la formazione del personale; in quelle regionali entrano in campo anche il supporto ai dirigenti scolastici, il potenziamento dell’offerta culturale e l’attenzione agli organici, la ricerca e l’innovazione ordina mentale.

I punti di forza delle associazioni  consistono nell’aumento del numero delle scuole aderenti, che, come si è detto, sono libere di farlo, attraverso una delibera del consiglio di istituto. La rete associativa favorisce lo scambio di esperienze, di risorse e la formazione. Esse migliorano l’ interlocuzione e la contrattualità con gli enti territoriali, la capacità progettuale; tendono a costruire un sistema terzo autonomo. Le criticità sono innanzitutto il mancato riconoscimento formale. C’è chi propone organismi di diritto privato, “non riconosciute”, costituite con atto notarile, oppure è giunto il momento di inserire tale riconoscimento nella proposta di legge sull’autogoverno delle istituzioni scolastiche recentemente approvata dalla Camera e in via di discussione al Senato.

La debolezza delle associazioni di scuole autonome è una constatazione che accomuna anche le reti, ma la soluzione prospettata sembra diversa: tenere o recidere il cordone ombelicale con l’amministrazione scolastica. Si sa che quest’ultima mantiene una vocazione centralistica e si sono notate nella ricerca le ostilità degli uffici periferici.

Non è però ancora matura la cultura dell’associazionismo anche a causa dell’individualismo dei dirigenti scolastici e la diffidenza nei confronti delle altre associazioni.

La ricerca ha messo in evidenza che l’associazionismo è funzionale alla governance, ormai non solo italiana ma anche europea in cui prevale sempre di più il dialogo bilaterale e non un impianto piramidale. Il contesto internazionale nelle politiche per l’istruzione è decentralistico, tende a privilegiare un servizio sempre più vicino all’utenza.

E’ dunque necessaria un’azione coordinata e collaborativa tra enti e organismi; l’autonomia benché garantita è ancora molto vincolata da norme gestionali di natura pubblicistica, mentre essa deve essere sempre più autodeterminazione pur all’interno delle finalità del sistema : norme generali, principi fondamentali, livelli essenziali delle prestazioni di cui parla l’inascoltata riforma costituzionale.

Il messaggio che riceviamo ancora una volta anche da questo importante contributo di studio e di discussione è che “non serve fissare le norme per la scuola, ma vanno fissate quelle che favoriscono lo sviluppo della scuola” (Potosching).