Nessun vero programma per la Scuola

DUE GOVERNI, TRE MINISTRI, NESSUN VERO PROGRAMMA PER LA SCUOLA

di Gian Carlo Sacchi

Giallo-verde o giallo-rosso, per la scuola pari sono. Proclami in libertà che vanno dall’abolizione delle classi pollaio all’obbligo scolastico fino a 18 anni, ma nulla è prossimo a realizzarsi, ammesso che si tratti di problemi ancora di attualità. Dopo il decreto sull’autonomia didattica infatti le classi costituisconoun’entità amministrativa, così come non serve obbligare gli studenti ad andare a scuola fino a 18 anni, dato il tasso di dispersione sarebbe interessante sapere come si farà, ma l’obbligo deve essere per il sistema ad investire adeguatamente e a porre rimedio alle numerose falle che tutte le indagini ci imputano relegandoci alla fine delle diverse classifiche.

Il protocollo sottoscritto dall’ex ministro Fioramonti con i sindacata è dunque da rifare, al MIUR mancano nove direttori generali, oltre ad altri dirigenti, se si vuol continuare, cosa sulla quale potrebbe essere utile riflettere, a gestire centralisticamente il servizio; il ritorno ai due ministeri oltre a penalizzare il rapporto tra scuola e università, riserverà a quest’ultima le risorse finanziarie fresche, lasciando indietro l’altra ingabbiata dai costi fissi.  

Due governi un solo decreto, iniziato dal precedente e concluso dall’attuale, solo per cercare di sistemare alcuni (pochi) precari, senza fermare il turnover dei docenti cui sono sottoposte ogni anno le scuole. Non si è fatto in tempo a sostituire nemmeno i pensionati e quelli di quota 100, mantenendo un’ enorme quantità di supplenti, a molti dei quali manca anche l’abilitazione: un record per chi aveva promesso una stabilizzazione di massa. L’annuncio di concorsi riservati, per un numero di posti di gran lunga inferiore alle disponibilità, senza parlare di quello ordinario, che dovrebbe rappresentare la stagione della normalità, soprattutto per i giovani, per poter entrare in tempi brevi, senza attendere annidi precariato. La recente nomina dei nuovi dirigenti scolastici poi attende ancora una conferma da parte della magistratura amministrativa.

Per quanto riguarda il reclutamento dei docenti, se la “buona scuola” aveva previsto una procedura troppo complicata, il ritorno proposto dalla Lega al solo titolo di laurea sembrava aver scarsa considerazione della dimensione professionale; si è salvato in corner il ministro Fioramonti con un esame al termine del periodo di prova, ma i due passaggi appaiono alquanto scollegati e l’ultimo finirà per essere poco più che un passaggio burocratico. Di altro non si parla, quando si sa della necessità di intervenire ad esempio sulla componente psicologica per l’esercizio responsabile delle relazioni tra i diversi protagonisti del progetto educativo. Ma questo sarà relegato nei 24 crediti di cui si occuperà in totale solitudine l’università ?

Sarà possibile assicurare la continuità didattica per almeno cinque anni ? Non ci è mai riuscito nessuno prima d’ora ed anche questa norma viene già tacciata di incostituzionalità, cosi che il balletto potrà continuare.

Se com’è auspicabile l’organizzazione della scuola andrà resa più flessibile in diverse esperienze europee si cerca di superare le singole discipline per valorizzare la diversificazione degli ambienti di apprendimento e favorire i contatti con il territorio edil mondo del lavoro, da noi le ore di alternanza sono molto diminuite. Tale flessibilità potrà meglio adeguarsi alle esigenze dei diversi contesti, in particolare quelli più disagiati e a rischio di dispersione.

Si fa un gran parlare di avvicinare le retribuzioni del personale scolastico a quelle degli agli altri Paesi europei, ma per ora niente impegni precisi, lasciando aperta la possibilità di  integrazioni salariali provenienti da enti territoriali e realtà produttive. La diminuzione del numero degli alunni per effetto del decremento demografico, che si protrarrà per un certo numero di anni, era l’occasione per un maggiore riconoscimento economico e professionale del personale, ma i risparmi ritorneranno nel calderone della spending review.

La politica scolastica di questo anno e mezzo non ha avuto una sede legislativa specifica,  il che rivela l’assenza di un’idea complessiva di nuova scuola e dove c’è stato un ritorno al passato è avvenuto senza una verifica dei difetti delle precedenti riforme, ma per una supposta convenienza elettorale. Piccoli interventi a pioggia inseriti in una miriade di provvedimenti soprattutto economici. L’unico vero impegno riguarda l’edilizia scolastica, per ragioni di sicurezza sismica o strutturale. Ma anche qui si cercano risorse dall’8 per mille.

Presa di mira l’educazione civica che dilazionata la sua entrata in vigore al prossimo anno è già stata integrata con la sostenibilità/ambiente e l’educazione finanziaria; viene indicata una nuova materia, il coding per migliorare l’alfabetizzazione digitale. Si da anche alla scuola dell’infanzia l’organico di potenziamento, insieme al bonus per i nidi e viene reintrodotto l’abbonamento delle scuole ai quotidiani.

Ma ciò su cui si è particolarmente cimentato il governo giallo-verde è stato smontare la buona scuola di Renzi di cui il giallo-rosso sembra non avere nostalgia. Togliere di mezzo qualsiasi  attività valutativa nei confronti del personale è stato il primo atto, ponendosi così al di fuori del confronto internazionale, ma la valutazione delle scuole sarà significativa ed accettata se andrà di pari passo con una reale autonomia professionale e istituzionale. Dovrà rispondere dei risultati chi potrà compiere scelte autonome e mettere in atto piani di miglioramento decisi in loco, che possano avere ricadute sulla gestione, per poter raggiungere standard nazionali  e internazionali e soddisfare la domanda sociale del proprio territorio. Mentre eventuali incentivi economici sono demandati alla contrattazione sindacale rimane una visione da “pubblico impiego” che avrebbe avuto la pretesa di un controllo biometrico della presenza.

La legge di bilancio fa rilevare un taglio complessivo di risorse, calano i contributi per il funzionamento delle scuole e le somme giacenti nei loro bilanci devono essere restituite. Il Documento di Economia e Finanza (DEF) riduce l’investimento per i prossimi due anni per effetto del predetto decremento demografico. L’autonomia finanziaria non è stata mai completata ed ormai siamo incamminati verso forme di autofinanziamento con contropartite fiscali; l’ultimo decreto “crescita” prevedeva un bonus contributivo per un periodo massimo di un anno per quelle imprese che offrano almeno diecimila euro per i laboratori dellesecondarie superiori ed assumano i diplomati con contratti a tempo indeterminato.

Le risorse per il sistema scolastico però devono venire dal PIL del Paese, e nel DEF siamo al 3,4%, tra gli ultimi in Europa e nell’area OCSE. Ci si aspettano sempre maggiori contributi di privati. Il diritto allo studio rischia di essere compromesso daicosti sempre più alti; vanno quindi incrementati gli appositi fondi regionali nella prospettiva di una loro maggiore autonomia.

Uno sguardo volto alle emergenze e soprattutto un tentativo di accattivarsi il consenso politico del personale che nelle recenti elezioni ha rotto con i suoi tradizionali riferimenti. Per quanto riguarda invece le così dette riforme strutturali, di cui nessuno parla più, restano comunque necessari:- l’incremento dei servizi per l’infanzia, d’intesa con gli enti locali, che arrivino fino alla scuola primaria – la generalizzazione degli istituti comprensivi, per porreattenzione alla formazione delle competenze di base- il maggiore coinvolgimento dei giovani nella definizione dei piani di studio del secondo ciclo, mantenendo un’ampia autonomia e flessibilità dei curricoli, che potranno terminare al diciottesimo anno- l’alternanza scuola – lavoro, da far ritornare nella sua originaria configurazione, impegnando adeguatamente docenti e tutor aziendali. Tale impostazione potrebbe avere una ricaduta sulla valutazione degli studenti, anche all’esame finale- un’intesa tra Stato e Regioni sull’istruzione e formazione professionale dovrà  portare ad un canale unico  e proseguire nell’istruzione superiore non universitaria.

Dal ministero dell’Interno sono arrivati invece fondi per l’installazione delle telecamere nelle scuole. Non è ben chiaro se queste servano a tutelare gli utenti, specie i più piccoli, da educatori stressati che hanno perso il controllo o i docenti, in particolare nelle superiori, che vengono oltraggiati dagli studenti ed a volte anche dai genitori. Il tentativo di trasformare ogni luogo di relazione in una questione di ordine pubblico ha caratterizzato l’operato del precedente governo; si spera di tornare a considerare la scuola un processo in cui i conflitti possano essere affrontati nell’ottica della crescita e non della repressione. Un patto educativo tra le diverse componenti può essere messo alla base di reti di adulti dentro le mura scolastiche e nei territori. Ma anche qui tutto tace.