La Scuola dopo il Covid-19

La Scuola dopo il Covid-19

di Paolo De Nardo

Da sempre le grandi crisi (guerre, catastrofi naturali, epidemie, carestie) costituiscono il terreno di coltura di innovazioni che, in seguito, entrano a far parte della vita quotidiana. A solo titolo di esempio: la Vespa nacque sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale e la Protezione Civile su quelle del Terremoto del 1976 in Friuli.

Il sistema scuola sta reagendo in maniera straordinaria all’emergenza COVID-19: dopo i primi giorni, nei quali sono proliferate le più disparate iniziative, le istituzioni scolastiche si stanno organizzando per dare coerenza e sistematicità agli interventi di didattica a distanza per un tempo che non si prevede essere breve. 

Ciò che sta accadendo nelle scuole sarà motivo di analisi per molti anni. Già da ora però possiamo azzardare alcune riflessioni che ci proiettino al dopo, a quanto si tornerà alla normalità. Una normalità che, auspicabilmente, non sarà la stessa di prima.

L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo e che ha imposto la sospensione delle attività didattiche in presenza, sta imprimendo una accelerazione a processi innovativi attesi da anni ma che non riuscivano a farsi sistema. Tra questi, per ovvie ragioni, emergecon evidenza l’impiego del digitale per realizzare percorsi didattici efficaci anche a distanza. Dopo i primi entusiasmi però emergono anche i limiti: impossibilità di sostituire la didattica in presenza con quella digitale, difficoltà a raggiungere tutti, riprodursi e accentuarsi di differenze sociali (chi può se la cava anche in questa situazione, chi vive in contesti disagiati non può trarre vantaggio dalla didattica digitale), difficoltà tecniche, e altro.

La sensazione però è che il momento, pur nella sua drammaticità, sia occasione per un profondo e diffuso ripensamento delle pratiche didattiche anche, ma non solo, attraverso l’uso del digitale. Di questi aspetti si sono già occupati, anche su questa testata, altri colleghi con ampie e significative riflessioni.

Ci si è chiesti, giustamente, “cosa” stia accadendo nella scuola italiana. Credo però sia necessario chiedersi anche “come” questo stia avvenendo. La tesi che sostengo è che sia nel Paese sia nella scuola, dopo moltissimo tempo, si avverta il senso di essere tutti protagonisti di un’impresa collettiva di dimensioni storiche.Paradossalmente l’isolamento cui siamo costretti sta facendo emergere la necessità di una socialità solidale cui forse non eravamo più abituati o che, forse, era ottenebrata dagli eccessi dei “leoni da tastiera”. Che implicazioni ha tutto ciò, nell’immediato e per il futuro, per la scuola? Ritengo che stia emergendo in questo tempo difficile una nuova professionalità docente di cui cercherò di delineare le caratteristiche.

Assisto e conduco con frequenza quasi giornaliera riunioni in videoconferenza nel corso delle quali si sviluppano processi collaborativi contraddistinti da efficacia (riunioni brevi – al massimo di venti minuti – nel corso delle quali si addiviene a decisioni rapide, condivise attraverso strumenti digitali e cooperativi), condivisione delle competenze (non sono infrequenti dialoghi quali: “come si fa ad avviare la videolezione?” “nel pomeriggio vi mando il tutorial che ho preparato, è spiegato tutto. Se hai ancora dubbi mi chiami”), assunzione comune di responsabilità, riflessioni a sfondo didattico e pedagogico come non si vedevano da tempo. Lo schermo del computer inoltre –questo a mio parere l’elemento più importante – mi restituisce volti di docenti soddisfatti del lavoro che stanno facendo … insieme!

Sembra quasi che l’emergenza epidemiologica in corso stia facendo emergere il desiderio di superare la visione impiegatizia della docenza a favore di una nuova professionalità docente contraddistinta da responsabilità, collegialità e valorizzazione delle competenze. Proverò a delineare per sommi capi gli elementi essenziali di questa nuova professionalità.

Il primo aspetto attiene alla responsabilità. La sospensione delle attività didattiche potrebbe offrire (e in alcuni casi purtroppo offre) una buona occasione per esimersi dalla prestazione lavorativa. Stiamo invece assistendo ad un fenomeno inatteso dai denigratori della categoria: la stragrande maggioranza degli insegnanti si sta adoperando per buttare il cuore oltre l’ostacolo e raggiungere in ogni modo i propri allievi e allieve. Lo sta facendo con dedizione, a dimostrazione che l’essere insegnante è vissuto come impegno etico-professionale, come ruolo fondamentale per garantire il diritto costituzionalmente garantito all’istruzione, come atto di cura che non si ferma di fronte alle difficoltà, anzi proprio nelle difficoltà trova ragioni di essere ancora più profonde.

Il secondo elemento riguarda la dimensione collegiale. Da diversi anni si disquisisce in merito alla modifica degli organi collegiali. Costituiti a metà degli anni Settanta del secolo scorso, rappresentano il residuato di una stagione superata, contraddistinta da un assemblearismo vuoto e inconcludente. Ne è testimonianza la sempre discendente percentuale di partecipazione alle rispettive elezioni. Ma la critica agli organi collegiali così come disegnati dal D.lgs. 297/1994 non significa volontà di isolamento. Tutt’altro. L’esperienza di questi giorni testimonia al contrario il desiderio di dar vita a nuove forme di “collegialità professionale”più agili, più efficaci. L’insofferenza è rivolta ai vuoti riti assemblearisti ma la disponibilità, nei confronti di modalità collaborative che consentano di integrare le competenze e di innovare la didattica, è piena da parte della migliore e maggioritaria componente dei docenti.

Il terzo aspetto attiene alla necessità di riconoscere e valorizzare le professionalità. In questi giorni gli insegnanti “smanettoni” stanno facendo la parte del leone, supportando i colleghi, creando tutorial, offrendo le più diverse forme di collaborazione. I più tecnologicamente arretrati, ma animati da sincero desiderio di non mollare, si lasciano guidare e, a loro volta, offrono il loro aiuto per curare quanto attiene maggiormente alle loro competenze. Si intravvede in questo fermento, la necessità di riconoscere, all’interno della professione docente, delle figure di sistema stabili da assegnare alle diverse aree da presidiare (innovazione didattica, valutazione, inclusione, integrazione con il territorio, valutazione di sistema, formazione del personale, solo per offrire qualche esempio). 

Mentre scrivo un episodio illumina ulteriormente queste riflessioni. Il Ministero dell’Istruzione emana la nota n. 388 fornendo le “prime indicazioni operative per la didattica a distanza”. Immediatamente le organizzazioni sindacali emanano un comunicato con il quale chiedono il ritiro della stessa contestando la mancata consultazione del sindacato in merito all’organizzazione del lavoro e sostanzialmente attribuendo alla bontà d’animo dei docenti l’enorme lavoro di queste settimane.

La linea di frattura sta tutta qui: da un lato il considerare l’essere insegnate come un impiego (prestazione a fronte di un compenso) oppure come una vera e propria professione contraddistinta da un obiettivo da perseguire (il diritto all’apprendimento) e dalla corrispondente responsabilità che, adeguandosi alle contingenze, non si lascia imbrigliare in cavilli e norme.

Ritengo che la gran parte dei docenti si riconosca maggiormente nella visione professionale rispetto a quella impiegatizia.

Se è così, finita l’emergenza, sarà necessario farsi carico di questo sentire. Come? Indico alcune possibili opzioni sulle quali quanto meno avviare una riflessione:• Costituzione di un ordine professionale degli insegnanti con relativo codice deontologico e organi interni di controllo del rispetto dello stesso.• Obbligatorietà effettiva della formazione con un sistema di crediti simile a quello delle altre professioni (medici, psicologi, ecc.) in modo da garantire la preparazione di tutti gli insegnanti su una serie di temi ritenuti cruciali per lo sviluppo della scuola (digitale, integrazione, formazione disciplinare, didattiche innovative, ecc.).• Superamento del concetto di contratto collettivo nazionale della scuola che mette insieme figure completamente diverse le une dalle altre con l’effetto perverso che, nelle contrattazioni decentrate, capita spesso che una maggioranza di collaboratori scolastici rappresenti (rappresenti?) le istanze del corpo docente.• Istituzione di un sistema di progressione di carriera all’interno della professionalità docente in modo da stabilizzare figure di sistema che si collochino nell’intersezione tra dimensione didattica e dimensione organizzativa.• Riforma degli organi collegiali definendone compiti e composizione in maniera funzionale alla professionalità docente come sopra delineata.

Segnalo infine un aspetto non secondario che emerge con forza in questi giorni. La collaborazione scuola-famiglia, realizzata spesso tra reciproche diffidenze, si sta rivelando un canale fondamentale per raggiungere anche coloro che sono collocati ai margini dal digital divide. La nuova professionalità docente sarà un elemento di forza per reimpostare su nuove basi anche questa dimensione fondamentale del fare scuola.

In conclusione: il COVID-19 sta drammaticamente mettendo alla prova il nostro Paese ma, al contempo, si sta rivelando un’occasione di innovazione profonda del sistema scolastico italiano. Ritengo che, tra gli elementi maggiormente interessanti,emerga con forza da questa situazione il bisogno di ridisegnare il profilo della professionalità docente. La maggior parte degli insegnanti dimostra di aver già superato, nei fatti, la visione impiegatizia del ruolo docente a favore di una professionalità responsabile e relazionale fondamento di una scuola che si connoti veramente come “comunità educante”. Auspichiamo che, finita la crisi determinata dall’epidemia, se ne facciano carico i decisori politici, le organizzazioni sindacali e soprattutto gli insegnanti stessi.