La dimensione umana dello studio

da Corriere della sera

Nuccio Ordine

In tempo di coronavirus anche le scuole e le università si attrezzano per reagire all’emergenza e adeguarsi alla sospensione delle attività didattiche. In rete e nei media dominano sempre più parole-chiave che evocano l’universo dell’insegnamento virtuale. L’eccezionalità della situazione ci ha fatto anche capire l’importanza di un coordinamento nazionale e i pericoli che si potrebbero correre consegnando l’istruzione e il servizio sanitario all’arbitrio delle singole Regioni. Mi preoccupano, però, alcuni interventi che considerano l’epidemia come una straordinaria occasione per rilanciare l’«educazione digitale». Riconoscere l’indispensabilità della tecnologia è una cosa. Pensare, invece, che si possa fare a meno del libro e delle relazioni umane tra professori e studenti è una follia. Non è vero che leggere l’Orlando furioso in digitale è lo stesso che leggerlo in formato cartaceo (recenti studi sostengono che, pur essendo identico il testo, il dispositivo distrae e non facilita l’attenzione necessaria alla comprensione!). Così come non è vero che essere perennemente connessi favorisca i rapporti umani (il virtuale sta creando una nuova terribile solitudine!). Lo scopo dell’educazione non è l’acquisizione di un diploma. È soprattutto l’esperienza umana e intellettuale che si compie, giorno per giorno, in un mondo fatto di incontri e scambi concreti, in praesentia, tra professori e studenti. Nessuna piattaforma digitale potrà cambiare la vita di un allievo. Ridurre questa esperienza a una relazione virtuale significherebbe trasformare l’istruzione in un mercato di diplomi e gli studenti in clienti da fidelizzare. Gestiamo adesso l’emergenza con i corsi a distanza, pensando anche a un piano straordinario per recuperare comunque le lezioni in aula durante l’estate.Trasformare l’eccezione in una regola, dimenticando l’autentica missione dell’istruzione e la centralità della dimensione umana nell’insegnamento, sarebbe un errore gravissimo.