Didattica a distanza, nessun obbligo Così la ministra si appella ai prof

da ItaliaOggi

di Marco Nobilio

Occorre ritornare, al di fuori della logica «dell’adempimento e della quantificazione, alle coordinate essenziali dell’azione del sistema scolastico». È un appello ai docenti a mettere da parte i propri diritti e a donare le proprie competenze e il proprio lavoro direttamente agli alunni, quello rivolto dal ministero dell’istruzione agli insegnanti della scuola statale con la nota 388 emanata il 17 marzo scorso. Adempimento e quantificazione, infatti, sono due parametri essenziali e indefettibili del rapporto di lavoro. Per «adempimento» si intende l’assolvimento della prestazione così come definita nel contratto di lavoro. E per «quantificazione» si intende la misura stessa della prestazione, declinata in attività di insegnamento e attività funzionali all’insegnamento, (si vedano gli articoli 28 e 29 del contratto di lavoro). Si tratta di un vero e proprio dietrofront da parte della ministra Lucia Azzolina, dopo il duro intervento via Facebook del 16 marzo scorso, nel quale indicava ai dirigenti scolastici la strada dell’imposizione della didattica a distanza citando l’articolo 25 del decreto legislativo 165/2001. Che peraltro non prevede tale possibilità. Un cambio di passo imposto dalla presa d’atto che l’insegnamento a distanza, in regime di sospensione delle attività didattica, non rientra nella prestazione a cui i docenti sono tenuti per contratto. Prestazioni che, è bene ricordarlo, sono fornite dagli insegnanti a titolo di mero volontariato.

Si tratta dunque di solidarietà, come lo stesso ministero riconosce in un altro passo della circolare in cui pone in prima posizione, tra gli attori di questa solidarietà, proprio i docenti. In pratica il ministero sta buttando acqua sul fuoco dopo le proteste che si erano levate da più parti, immediatamente dopo la diretta Facebook della ministra Azzolina. Perché in questo delicato momento, se dovesse venire meno la passione e l’impegno solidale dei docenti, il risultato sarebbe quello di bloccare tutte le attività. E al ministero sanno bene che non si tratterebbe di «inadempimento».

Perché l’inadempimento esiste se non si osserva un obbligo. E in questo caso l’obbligo è inesistente. Tuttavia, nel tentativo di evitare di andare in ordine sparso, l’amministrazione ha invitato i docenti a sistematizzare gli interventi incardinandoli nell’ambito di una programmazione in qualche modo coerente con i percorsi didattici già programmati. E per questo motivo ha chiesto agli insegnanti di rielaborare la programmazione a suo tempo effettuata tenendo conto della situazione emergenziale in atto. A questo proposito, il ministero ha anche chiesto di contenere i compiti da assegnare agli alunni, tenendo conto delle difficoltà connesse alla clausura forzata in cui ci troviamo. E ha ricordato che, in ogni caso, bisognerà provvedere alla valutazione della performance degli alunni. Fermo restando che, come ha affermato in una recente intervista la ministra Azzolina, anche l’esame di Stato: «Sarà tarato sulla base degli apprendimenti che gli studenti avranno raggiunto».

Permangono, tuttavia, forti incertezze per quanto concerne le legittimità dell’attività che i docenti stanno svolgendo. Il processo didattico-apprenditivo, comprese le fasi di valutazione in itinere (cosiddetta valutazione formativa) e all’esito del processo (cosiddetta valutazione sommativa), segue necessariamente le regole del procedimento amministrativo. Regole tassative che, se violate, comportano la nullità sia degli atti endoprocedimentali che dei provvedimenti finali. E cioè delle dichiarazioni e valutazioni annotate sui registri, delle interrogazioni e delle valutazioni degli elaborati degli alunni e, infine, delle valutazioni finali. Allo stato attuale, peraltro, tali attività vengono svolte in totale assenza di copertura legale: non vi sono norme di legge o di regolamento che prevedano e regolino questi adempimenti alternativi. A ciò va aggiunta un’ulteriore considerazione. Al momento i docenti operano in regime di sospensione delle attività.

Praticamente, non solo non vi sono norme che legittimino la didattica a distanza, ma addirittura sono in vigore disposizioni che dispongono il contrario. E cioè la sospensione delle attività didattiche. È un po’ come se, a fronte della sospensione dell’attività giudiziaria, i processi si tenessero via web e avvocati e giudici si tenessero in contatto tra loro utilizzando mezzi e utilità private. Il rischio che si corre, dunque, fermo restando la situazione emergenziale in atto, è che eventuali bocciature possano essere annullate o dichiarate nulle dai giudici amministrativi se basate anche su riscontri acquisiti in sede «virtuale». E poi c’è il problema dei mezzi. Non esiste alcuna legge che imponga a un docente di possedere un computer e un collegamento a internet. E la stessa cosa vale anche per gli alunni. E in ogni caso la gestione privata degli atti endoprocedimentali non garantisce le esigenze di riservatezza previste dalla legge ed espone ai docenti a responsabilità anche penali.