Alcune note sulla didattica a distanza

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Alcune note sulla didattica a distanza

di Stefano Stefanel

         La Didattica a distanza è una Didattica digitale e dunque in questo momento (iniziato improvvisamente, ma destinato a durare a lungo) è l’unica possibile. Dopo una fase iniziale di entusiasmo, alimentato di chi si è esposto a sostenere che la Didattica a distanza poteva sostituire quella in presenza, si sta passando a una sorta di dubbio collettivo, alimentato da voci sempre più persistenti di studenti stremati, famiglie oberate e crisi di nervi in arrivo. Il Ministero fa bene a temporeggiare sulle così dette “promozioni di massa” che poco piacciono ai tifosi della selezione, ma una cosa è certa: sono gli studenti più deboli, svogliati, assenteisti che hanno maggior bisogno della Didattica in presenza, cioè della “vecchia scuola”. Già deboli dentro un sistema cooperativo e comunitario questi studenti sono dispersi nel web e nelle loro lacune, dentro uno sfondo che non li ha dotati di competenze sufficienti per reggere l’urto della scuola in presenza, immaginarsi cosa gli sta succedendo nella scuola a distanza. Se quindi era già terribile prendersela con i più deboli in periodo “di pace”, immaginiamo quanta violenza ci sarebbe nel prendersela con i più deboli “in tempo di guerra”. Ma di questo ci sono ancora due mesi di tempo per parlarne, cercando, comunque e giustamente, di non dare alibi a nessuno studente che intende limitarsi a sbadigliare invece che a studiare.

         Il punto cruciale da affrontare, però, oggi è quello di una Didattica a distanza e di una Didattica digitale (non sono la stessa cosa, ma in questo momento sono l’unica cosa) che sono utilizzate anche da molti docenti che nulla in precedenza avevano sperimentato in merito, molti dei quali erano addirittura strenui combattenti contro il digitale. Il trasferimento delle metodologie in presenza alle metodologie a distanza, delle metodologie cartacee a quelle digitali può permettere di coprire qualche vuoto, può aiutare gli studenti bravi o bravissimi, ma rischia di gravare il sistema di un nuovo errore, cioè quello di cercare di fare stare il vecchio nel nuovo. La strada da percorrere è quella che permette di ribaltare alcuni stereotipi, per posizionarsi nell’altrove in cui siamo precipitati. Per questo di seguito indico, in questo intervento, dieci “accorgimenti pedagogici” che potrebbero essere utili per aiutare a definire i confini di una Didattica a distanza che sia una vera Didattica digitale.

1. Dalle domande agli studenti alle domande degli studenti. L’attività didattica in chat o in videoconferenza permette un’interazione diretta con soggetti lontani, situati dentro ambienti spesso difformi e non tutti idonei all’apprendimento. La vecchia modalità dell’ “a domanda risponde”, propria ormai solo dei tribunali e delle aule scolastiche, non serve a niente, perché semplicemente mima una situazione in presenza dove prevalgono la memoria e non l’iniziativa. E’ necessario passare dalle domande fatte dall’insegnante allo studente alle domande fatte dallo studente all’insegnante. Da quelle domande si percepiranno la profondità, l’interesse, la competenza. Va ribaltato lo schema: l’interrogazione non parte dalla domanda dell’insegnante, ma da quella dello studente.

2. Dall’interrogazione al colloquio colto. I video incontri anche individuali possono permettere uno spostamento dal concetto di interrogazione a quello di “colloquio colto”. Che cos’è un colloquio colto? E’ un colloquio tra due persone che condividono punti di riferimento culturali di livello elevato (e connessi all’età del soggetto più giovane). Chi non ha mai sentito parlare dei Promessi sposi non è in grado di discutere i motivi per cui don Rodrigo non voleva che Renzo e Lucia si sposassero, né l’eventuale esistenza di punti di contatto tra la pesta milanese del ‘600 e questa nostra epidemia. Ma il concetto di colto si estende anche alla trigonometria e alla geografia, alla geometria e all’ecologia. Cioè a tutti quei settori in cui è possibile parlare solo con chi ne sa qualcosa. Ad esempio: per stabilire che cosa è un virus, come si trasmette, come si distrugge.

3. Dall’esperienza di classe all’esperienza personale. Ogni studente (dai 3 ai 19 anni) sta vivendo un’esperienza diversa. Queste esperienze con colonne musicali personali, dentro luoghi diversi (case grandi con giardini, case piccole piene di gente, case su più piani, case con grandi saloni, case con piccole camere, ecc.) e dentro stili di vita diversi possono diventare il centro della narrazione e il punto di origine della conoscenza. L’apprendimento per sviluppo prossimo di cui parlava Vygotskij è il punto di partenza dell’esperienza didattica e di quella dell’apprendimento. Poiché non ci sono più ambienti simili, perché mediati ormai da esperienze di convivenza non comuni, le esperienze personali di vita nell’emergenza devono essere proiettate attraverso il web dentro lo spazio comune. Con racconti, foto, musiche, filmati, selfie, cioè con tutto quello che in questo momento attraverso il web restituisce significato che ognuno di noi assegna a quello che sta accadendo.

4. Dai compiti per casa ai compiti di realtà. Questo è forse uno dei passaggi più difficili: passare, cioè, da un meccanismo didattico ripetitivo e connesso alla successiva verifica sul raccordo tra quello che sta insegnando e quello che si deve imparare, alla descrizione della realtà dentro cui si vive. Questo mutamento di prospettiva importante per gli studenti adulti diventa necessario per quelli più piccoli che non possono essere inseriti dentro un sistema di semplici apprendimenti teorici, avendo perso anche quella laborialità logica che si trova dentro qualunque classe del primo ciclo dell’istruzione. Dunque cercare di stimolare la realtà e di portarla nella teoria, non fare viceversa costringendo lo studente dentro una realtà in cui con i compiti per casa si cerca di coprire la mancanza della vita scolastica quotidiana.

5. Dalla verifica di quanto trasmesso alla ricerca della complessità: dal disciplinare al pluridisciplinare.  Se già la Didattica in presenza fatta di lunghe spiegazioni e di lunghissime conferenze mostrava il passo e veniva intaccata sempre più spesso da progetti, laboratori, incontri pubblici, viaggi, stage, ecc. la Didattica a distanza fatta attraverso lezioni frontali diventa insostenibile. Se è possibile apprendere attraverso filmati perché non lo si faceva anche prima? Lo studente debole che si annoiava in classe a sentire lunghe narrazioni solitarie davanti ad un filmato tende a fare altro (guardare il suo cellulare se non è connesso con quello, ad esempio). E’ necessario allora verificare il processo di apprendimento attraverso la complessità. Non chiedere nozioni o conoscenze secche, ma chiedere un ragionamento attraverso temi molto complessi e articolati, che non si possano risolvere copiando da internet, ma richiedano pensiero ed elaborazione per fare emergere le competenze reali. La complessità per sua natura esige competenze, quindi bisogna dare compiti difficili per cercare l’eccellenza, non per sanzionare i peggiori. Questa difficoltà deve valorizzare gli studenti migliori, che attraverso la loro competenza approfondita aiuteranno a migliorare la Didattica a distanza. La complessità disciplinare deve raccordarsi con quella pluridisciplinare di cui è ormai pregna la nostra società. Per questo è importante costruire contenuti pluridisciplinari che stimolino gli studenti dentro ragionamenti complessi e non ripetitivi.

6. Dal fare i compiti allo scrivere libri. La possibilità di condividere testi dentro cloud permette di passare dall’elaborazione di compiti alla scrittura di libri. Poiché questi libri saranno multimediali, possono essere di qualunque formato, contenuto, durata. L’insegnante è il soggetto ordinatore, la scuola è l’editore, i ragazzi sono gli scrittori. Il passare da una scrittura che trasmette quello che ha recepito a una scrittura che recepisce quello che trasmette permette di mettere allo scoperto la genialità o la pochezza del prodotto. Il lavoro collettivo diventa anche una traccia delle individualità e della loro capacità di adeguarsi o no alle attività di gruppo. In questo caso l’emergenza non produrrà compiti, ma permetterà di editare (sul web) un libro sull’emergenza, che sarà diverso per ogni classe, per ogni gruppo, per ogni elettività.

7. Dalla penna alla tastiera. La gestione della tastiera (sia quella di un PC, sia quella di uno smartphone, sia quella di un tablet) è diversa dalla gestione della penna. Il passaggio da penna a tastiera ribalta quello che è il normale senso del procedere. Per moltissimi studenti la tastiera ha già preceduto la penna: ora non si tratta solo di applicare una sostituzione, ma di comprendere che, dentro una Didattica a distanza che è una Didattica digitale, di nuovo “il mezzo è il messaggio”. Digitare non è mai scrivere con la penna, partendo anche dal semplice fatto che molto spesso ciò che manca al digitale è la pazienza della rilettura di quello che si è scritto. La scuola deve entrare in questo meccanismo e, in questo momento, deve ribaltare la sua priorità iniziale (la penna) per passare alla priorità digitale dei suoi studenti (la tastiera), avendo bene in mente che scrivere con la penna non produce gli stessi effetti che scrivere con la tastiera e pertanto anche su questo è necessario fare scuola (primaria: anche quando si frequenta il liceo).

8. Da segnalare libri (letture) a segnalare link. In questa fase è necessario che i docenti segnalino correttamente link dove individuare questo o quell’argomento sviluppati in modo corretto. Questo è un lavoro nuovo ed è un lavoro immane. E’ possibile credere ancora che lo studente studi volentieri sul manuale cartaceo, ma forse qualche dubbio in questa fase è necessario farselo venire. Bisogna imparare a linkare (parola pessima: ma ce n’è un’altra?) in forma approfondita, dopo aver girato ore e ore sul web per cercare qualcosa di veramente utile, interessante, ben scritto, ben organizzato. Qui entriamo nel settore delicato della ricerca didattica, che non può limitarsi a cambiare nomi o a cercare di portare il vecchio programma dentro un nuovo curricolo. L’emergenza chiede un aumento di profondità e quindi la possibilità di accedere in forma critica e intenzionale ai moltissimi contributi di altissimo livello che si trovano sul web. Diventa perciò necessario “saper linkare”: quando il docente parla agli studenti, deve segnalare riferimenti digitali facilmente reperibili, quando lo studente parla, deve indicare precisamente la fonte da cui ha tratto spunto per quello che sta dicendo. Va ripristinata la logica didattica di san Tommaso d’Aquino, che pretendeva, durante il quolibet, che i suoi studenti citassero sempre la fonte delle loro affermazioni. A quel tempo avevano solo la memoria, oggi abbiamo un web così enorme che ci sta asciugando la memoria, per cui dobbiamo dare riferimenti chiari, non generici richiami a testi che non sono oggettivamente alla portata fisica (perché cartacei) di nessuno.

9. Dalla lingua madre al plurilinguismo. Il plurilinguismo dovrebbe diventare la cifra della lontananza. A scuola non si può più parlare solo italiano, ma si deve iniziare a interagire in tutte le lingue con cui abbiamo familiarità, siano esse vive o morte. E’ un lavoro complesso non alla portata di tutti, ma credo sia necessario avviare degli incontri via chat o video con più insegnanti presenti contemporaneamente. Quelli di lingua straniera avrebbero così la possibilità di presidiare le competenze linguistiche degli studenti dentro importanti contenitori scientifici, umanistici o anche esperienziali. Sia nel primo ciclo sia nel secondo ciclo è importante dare allo spettro plurilinguistico possibilità di spaziare di farsi valere come veicolo. La didattica dentro il plurilinguismo è una didattica molto complicata e che per questo si sposa con la complessità virtuosa di cui parlavo sopra. Per questo è necessario affinare le competenze del lavoro in team, dentro spettri linguistici differenti su azioni pluridisciplinari complesse. Il senso dell’operazione diventa non solo quello di testare conoscenze, ma soprattutto quello di vedere in che modo si sono sviluppare le competenze, che solo dentro una dimensione plurilinguistica collocano lo studente (anche molto giovane) nella società che si evolve.

10. Dall’orario dei docenti all’orario degli apprendimenti. Pensare che Didattica a distanza possa rispettare gli orari della Didattica in presenza è una pericolosa perdita di tempo. Mimare da remoto, attraverso video incontri o lezioni frontali, i tempi della presenza significa stare dentro un medium senza averne capito nulla. I consigli di classe, i team docenti, i dipartimenti dovrebbero attivarsi per rivedere la propria progettazione curricolare slegandosi dall’idea (morta) di programma. I programmi non si potranno finire né quest’anno né mai, ma bisogna, invece, costruire curricoli anche temporalmente al passo con il processo di apprendimento degli studenti. Era una cosa che bisognava aver fatto prima, ma che adesso diventa imprescindibile e come tale deve essere attuata nell’emergenza. Passata la prima fase accompagnata dall’entusiasmo dei neofiti, degli avanguardisti, degli estremisti del web e di quelli della carta, si deve transitare alla mediazione processuale per capire qual è il tempo migliore per sviluppare apprendimenti e per cementate conoscenze. Inutile rimanere ancorati all’orario: il mattino si spiega il pomeriggio si studia. Il tempo non è più quello che conoscevamo, le giornate sono più brevi di prima perché la solitudine annulla i tempi e cambia i ritmi. E quindi anche la scuola deve essere diversa. Il tempo della Didattica a distanza e della Didattica digitale non può essere quello della Didattica in presenza, scandita oltre che dalle sveglie mattutine anche dagli autobus, dai treni, dagli scuolabus, dalle mense, dai rientri, dagli orari dei genitori, dallo sport, dalla dottrina, dai gruppi musicali e culturali, dalle feste, dagli incontri, ecc. Bisogna ripensare il tempo della scuola, collegandolo a quello dell’apprendimento in situazione di emergenza. Serve un tempo nuovo, magari un tempo senza tempo, in cui ci siamo perché apprendiamo, non perché siamo obbligati a esserci.