La didattica a distanza

La didattica a distanza (DAD): emergenza e non solo

di Carlo De Nitti

Una prova della correttezza del nostro agire educativo è la felicità del bambino. Maria Montessori

La didattica a distanza – resa acronimo, come ormai da lungo tempo usa fare nello “scolastichese” – nella forma di DAD non può essere una didattica che si realizzi mediante le medesime pratiche attraverso cui si manifesta ogni giorno, nelle aule, nei laboratori, nelle palestre delle scuole di ogni ordine e grado, quella in presenza, in cui docente e discenti coeriscono nel medesimo spazio/tempo aprioristicamente definito. Parimenti, spesso definito è il copione. Lezione/spiegazione, sovente oro-auricolare(diciamoci la verità, quella vera, quella politicamente scorretta), verifica delle performances degli studenti e nuovalezione/spiegazione.

La DAD, nonostante escluda la compresenza fisica all’interno di un medesimo spazio fisico dei protagonisti della scuola, può vivere solo ricreando, eventualmente con diversa semantica, i vissuti tipici di quella relazione. Lo sguardo, il sorriso, la smorfia, la parola, la pacca sulla spalla, in una parola, la “cura” che caratterizzano (utinam…) la scuola reale e che sono parte integrante del processo di insegnamento/apprendimento devono essere re-inventati al tempo della DAD, pena il fallimento della sua azione.  

Non è possibile immaginare per quanti, come chi scrive, abbiano maturato una lunga esperienza di scuola, che una video-lezione possa essere un asettico contenitore unidirezionale di informazioni trasmesse da un emittente ad un ricevente: una video-lezione non può che prendere abbrivo da un momento “cordiale”. 

Non va dimenticato che i docenti entrano nelle vite private degli studenti, nelle loro case, nella loro “intimità” domestica: perché non iniziare la lezione prendendo un caffè insieme, con una canzone o un brano da film … magari scelti a turno da* ragazz* o, penso ai colleghi di scienze motorie, con un “risveglio muscolare”. Parimenti pure i giovani entrano nelle vite “private” dei loro docenti, nelle loro abitazioni, nei loro studi, scelti quali“set” della scena. Insomma, ci si mette reciprocamente “a nudo”: penso alla stanza in cui un docente faccia lezione con vista sui suoi libri e su qualcuno in particolare, per lui/lei particolarmente significativo non è forse un forte messaggio subliminale?

Se la DAD non riesce ad essere anche colloquio, empatia, reciprocità, fallisce il suo scopo: la scuola non è né può essere il semplice veicolo di trasmissione di contenuti disciplinari. Se lo fosse, sarebbe la bancarotta! Con l’aggravante della fraudolenza…

Ecco perché le verifiche e le valutazioni non possono essere effettuate in modo abituale, come se nulla fosse accaduto: chi pensa in termini di interrogazioni, di verifiche scritte, divalutazione numerica, di debiti è fuorviato da un’idea erronea di DAD. Chi garantirebbe la genuinità delle eventuali performances valutate? Ogni giudizio numerico sarebbe inappropriato e, absitinuria verbis, da un lato, foriero di possibili contenziosi in cui ogni istituzione scolastica sarebbe certamente perdente, dall’altro, segno evidente di una scuola “fuori dal tempo”

Le criticità finora evidenziate, nate in questo frangente in cui la DAD ha dovuto ex abrupto sostituire la fisiologica prassi scolastica – grazie al lodevolissimo impegno volontaristico di tante migliaia di docenti – non cesseranno una volta terminata l’emergenza scaturita per il COVID-19. Il ruolo delle TIC era argomento già ampiamente dibattuto in precedenza e lo sarà, ancor di più, dopo la conclusione, la più rapida possibile, della pandemia.

Questo drammatico tornio di tempo “in cui ci tocca di vivere” ha il non trascurabile pregio di mettere tutti in condizioni di prendere contezza che la scuola come luogo fisico è insostituibile (molte ragazze ed altrettanti ragazzi la stanno rimpiangendo…) anche come luogo deputato da parte della Repubblica a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Senza interventi correttivi, in primo luogo di tipo economico –cui, invero, il potere esecutivo ha già posto mano per dotare tutti i discenti di apparecchiature elettroniche in comodato d’uso gratuito – la DAD può creare esclusione sociale: chi può accedere e chi no, chi è dentro e chi rimane obtorto collo fuori. La DAD non può – né deve – contravvenire ai principi costituzionali, fondativi dell’essere scuola ovvero, come diceva don Lorenzo Milani, “fare parti eguali tra diseguali”.

In quest’ottica vanno considerate tutte le condizioni: dalla diversabilità, ai disturbi specifici dell’apprendimento, ai bisogni educativi speciali. A loro, agli alunni speciali, le scuole debbono dedicare la massima cura, sia in termini di accessibilità alla DAD sia di curvatura alle loro esigenze specifiche che non sono classificabili nella loro scansione temporale. Anche per loro la DAD va pensata su misura, in ogni senso.

Uno dei modi per capitalizzare e socializzare tutte le forme di DAD può essere, ad esempio, la creazione di archivi di risorse digitali delle scuole o reti di esse, disponibili per chiunque ne voglia usufruire per migliorare sempre di più una nuova forma di didattica che non è detto debba essere del tutto accantonata, una volta superata l’emergenza della pandemia che in questo marzo 2020 imperversa. Penso ad una mediateca delle buone pratichecondivisibile a tutti i livelli.

Da questa emergenza, la scuola italiana non potrà che venirne fuori diversa come era prima: diventerà più accessibile, più inclusiva, più performante, in una parola, migliore? E’ l’auspicio di tutti: se così fosse, le nuove generazioni ci ringrazierebbero.