Una lettera non ministeriale

Una lettera non ministeriale

di Maurizio Tiriticco

Nel maggio del 1967 don Milani e i suoi alunni della Scuola di Barbiana pubblicano la “Lettera a una professoressa”. Lamentano il fatto che troppe professoresse, in genere di origine socioculturale piccolo-borghese, insistano nel bocciare molti dei loro alunni. Ed, ovviamente, quelli provenienti da classi sociali disagiate. Si tenga presente che l’avvio della scuola media unica obbligatoria – con conseguente abolizione dei tre anni postelementari dell’avviamento al lavoro – ha avuto inizio con l’anno scolastico 1963-64. Ed i primi della nuova scuola anni furono proprio contrassegnati da un alto numero di bocciature. La “professoressa”, abituata a confrontarsi con alunni provenienti dalle classi borghese e piccolo-borghese, ovviamente “faceva fatica” a confrontarsi con alunni provenienti a volte in larga misura da famiglie scarsamente acculturare ed alfabetizzate.

Va anche detto che molti di quei “nuovi” alunni mal sopportavano di dover frequentare la scuola dopo aver conseguito la licenza elementare. Anche perché intendevano accedere direttamente al mondo del lavoro senza troppe remore e laccioli. In seguito, con il trascorrere degli anni, stante anche il fatto che il mondo del lavoro richiedeva soggetti sempre più acculturati, la frequenza della scuola media unica non fu più avvertita come un’imposizione! Anzi! E occorre ricordare che l’accesso agli istituti secondari, soprattutto tecnici e professionali, divenne con il trascorrere degli anni pressocché “naturale”.

In questi giorni, il non potere accedere alle aule scolastiche, all’istruzione che vi è veicolata, stante le limitazioni imposte dalla lotta contro il corona virus, non è avvertito come un “piacere” da parte dei nostri studenti, perché sanno benissimo che perdere giorni e giorni di scuola pregiudica non tanto l’anno scolastico quanto l’acquisizione di quelle conoscenze, abilità e competenze che oggi ed ancor più domani sono indispensabili per qualsiasi loro scelta futura. E non è avvertito come un “piacere” neanche dai nostri insegnanti, dirigenti e personale tutto della scuola. Perdere “giorni di scuola” oggi è come perdere “giorni del nostro futuro”!

In tale difficile contesto/scenario. oggi, dopo tanti anni, abbiamo una nuova “lettera a una professoressa” – rivolta anzi a tutti i nostri insegnanti, dirigenti, studenti e mondo della scuola tutto – ma in una situazione estremamente diversa rispetto a quella del lontano 1967. Si tratta della lettera che la Ministra delI’Istruzione, Lucia Azzolina, scrive agli studenti e alle loro famiglie, agli insegnanti, agli Italiani tutti. E’ una lettera lunga, argomentata, ricca di considerazioni e di consigli anche! Anche perché oggi – rispetto al lontano 1967 – la scuola può disporre di una strumentazione allora forse neanche immaginabile! Alludo, ovviamente, alle TIC, a quelle Tecnologie dell’Insegnamento e della Comunicazione di cui oggi possiamo disporre in larga misura e con ampie possibilità di successo.

Anche se oggi il vis à vis tecnologico non è pari al vis à vis interpersonale, le risorse che offre. In effetti, sono indubbiamente di ottimo livello ed importanti. Se, date certe condizioni, è possibile oggi il telelavoro, può essere possibile anche il telestudio! Un vocabolo che ora il pc mi segnala in rosso, ma che domani mi riconoscerà come corretto. Mi piace concludere con alcuni passaggi e con le ultime parole della lettera della Ministra Azzolina:

“Sono pienamente consapevole che questo cambiamento repentino non è sempre facile da gestire, che ci sono difficoltà tecniche, logistiche, ma so anche che tutti Voi state facendo il meglio che potete, non solo per portare avanti un programma, ma per trasmettere ai ragazzi, e in generale a tutta la nostra comunità, che si può e si deve guardare avanti, con fiducia, nell’attesa di superare la fase di emergenza.

“La didattica a distanza deve tenere al centro l’esperienza e la sensibilità dei docenti, ed è quello che sta avvenendo ogni giorno in più istituti e territori. Così riscopriamo il valore della comunità educante, del confronto costruttivo, che va oltre umane divisioni e personalismi: la scuola funziona grazie all’unione, cooperazione tra le componenti che lavorano insieme a famiglie, studenti e portatori di interessi sul territorio. Questo è il momento di ricorrere alle nostre migliori risorse, perché l’eccezionalità della situazione lo richiede, e so che lo state facendo. Quando si è alla guida di un istituto, l’imperativo, come sa bene ogni dirigente scolastico, è quello di tenere unite tutte le componenti della scuola, di stare vicino ad ogni dipendente e ad ogni studente per affrontare insieme il dolore e le difficoltà, di far sentire la propria presenza con discrezione e disponibilità

“Vi saluto con l’augurio che presto la nuova comunità educante che nascerà da questa esperienza, con una ritrovata capacità di far bene, possa stringersi attorno alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi, mentre la campanella li chiamerà a tornare in classe.