Un nuovo Rinascimento formativo

Un nuovo Rinascimento formativo

di Dino Castiglioni*

L’esperienza che in questi mesi siamo chiamati a vivere coinvolge ogni particolare della nostra vita sociale, incidendo e intervenendo profondamente sulle fondamentali e radicali certezze comportamentali e di relazione.

La cosa che emerge è che a seguito di questo virus, che non tiene minimamente traccia dei confini, delle etnie, delle culture, delle latitudini, l’umanità intera si trova a dover far fronte comune contro quello che è stato definito un “nemico”, sperimentando forme di solidarietà che in tempi ordinari non avrebbero certamente avuto la velocità di reazione e realizzazione come invece si sta verificando.

Colpisce come, in questa ritrovata solidarietà, emergano nuovamente valori che pensavamo essere dispersi o desueti; il contributo dell’Albania, con i suoi 30 operatori sanitari, con la riflessione del primo Ministro Edi Rama “noi non siamo ricchi e neanche privi di memoria, non possiamo permetterci di non dimostrare all’Italia che l’Albania e gli albanesi non l’abbandonano”, fa riemergere i pilastri e il senso di appartenenza ad una comunità europea, da qualche tempo più sbilanciata su priorità di tipo economico.

Ogni settore della nostra vita è investito da nuove forme e modalità di azione, non solo nella quotidianietà ma nei comportamenti solitamente definiti “ordinari”: il lavoro, gli acquisti, la gestione del tempo libero, le relazioni umane di vario genere, professionali e affettive. Siamo chiamati a “fare esperienza”, reintepretando radicalmente le consuetudini stratificate e consolidate nel tempo; la vita sociale diventa “altra” e “diversa”.

Essere trasportati in misura così repentina in una dimensione ignota ci ha posto e ci pone nella condizione di predisporre le nostre vite non tanto e non solo con l’obiettivo di attendere che tutto questo abbia fine ma di gestire le stesse, procedendo nella maniera migliore possibile, sia sulla scorta delle nostre competenze e conoscenze, sia nella nostra capacità di adattarci a dimensioni completamente nuove.

Ciò che in tempi “normali” rappresentava l’eccezionalità ora diventa ordinario: la didattica digitale e l’insegnamento a distanza coinvolgono direttamente o indirettamente un intero Paese, 872.000 docenti, 209.000 ATA, 8.500.000 studenti che significa circa 17 milioni di famiglie; si tratta di fare diventare sistema qualcosa che fino ad oggi era utilizzato occasionalmente e limitato ad alcuni contesti. Si tratta di riuscire a fare effettivamente “rete” generalizzata e diffusa, mantenendo coeso il principio del contatto quotidiano, ancorchè con forme e modalità diverse, con le proprie classi o con i corpi professionali, consigli di classe, collegi docenti, team di supporto alla didattica, servizi amministrativi.

L’obiettivo è strategico: non disperdere il patrimonio formativo finora raggiunto dal Paese, valorizzando quanto è stato realizzato in diverse realtà, diffondere in misura capillare le buone pratiche presenti, favorendo e sostenendo quelle realtà professionali e territoriali più fragili. Regioni come il Friuli Venezia Giulia hanno messo in campo risorse significative per supportare le istituzioni scolastiche nel lavoro della didattica a distanza; azioni queste certamente importanti ma che devono necessariamente essere implementate da specifici percorsi formativi nei confronti di tutto il personale dirigente, docente e amministrativo.

Questo perchè oggi l’insegnamento intrapreso non è affiancato in alcun modo da quello ordinario della classe frontale, scandito dai suoi ritmi e dai suoi tempi, dal suono della campanella, dall’intervallo, dal cambio dell’ora.

Oggi tutte queste modalità sono sospese, gli studenti e le studentesse formano la classe dalla propria casa, condividendo molte volte il pc con altri fratelli e sorelle e con genitori in smart warking.

Bisogna tenere conto anche di questo, oggi non esiste più la contestualità dei tempi, dove ognuno, nelle stesse ore, svolge le proprie attività; oggi nello stesso momento, ci si può trovare a condividere una unica postazione per assolvere ai proprio compiti. E laddove non esiste un pc, la didattica si effettua con altri strumenti, tutti però finalizzati a mantenere la stessa unità del gruppo/classe, scandendo tempi di apprendimento e di insegnamento che il corpo professionale dei docenti è chiamato a gestire.

Da più parti si definisce l’attuale situazione come “emergenza”, intendendo con questo termine qualcosa di cui si può riuscire ad intravedere la conclusione; in questo senso le domande che continuano a circolare sono sempre finalizzate a sapere “entro” quanto tutto questo potrà finire, quasi pensando che la diffusione del virus sia come uno yogurt, destinato a scadere entro un breve periodo.

La questione non è tanto legata al termine dell’emergenza, quanto a come mantenere coeso in questo momento, il sistema Paese.

Inevitabilmente siamo andati “oltre” i primi dibattiti, in cui ci si preoccupava di come salvaguardare l’anno scolastico, garantendone i 200 giorni previsti; si è man mano passati dalla preoccupazione, ancorchè per alcuni versi legittima, di tipo “burocratico/amministrativa” ad una “funzionale/organizzativa”, finalizzata a fornire risposte immediate e tempestive a bisogni urgenti; e l’attenzione del dibattito si è, correttamente a mio giudizio, spostata su come tutelare il sistema, garantendo continuità, sebbene in modalità nuove e per alcuni versi inesplorate.

Peraltro in questa nuova e ignota situazione le categorie di pensiero ordinarie sono state tutte reinterpretate, trovando opportunità quasi ignote: l’idea stessa del consiglio di classe, del collegio docenti, del lavoro degli staff, del rapporto con le famiglie, della gestione del registro elettronico, della lezione hanno trovato modalità per garantire la continuità necessaria all’azione delle scuole.

Il presente è governato grazie al contributo di ciascuno. È importante fare tesoro di tali esperienze, per predisporci a gestire il futuro, permettendo sia un “reinserimento” positivo di ognuno alle proprie mansioni e alle proprie attività, in particolar modo favorendo gli studenti e le studentesse per una efficace ripresa alle azioni ordinarie, sia per riflettere sulle modalità innovative e meglio rispondenti alle esigenze della comunità sociale nel suo insieme.

Significherà ripensare l’idea della partecipazione, dell’importante ruolo delle istituzioni scolastiche rispetto ai territori, alle famiglie, alla valutazione di sistema. Si è parlato di “Nuovo Rinascimento”, costruire o ri-costruire un tessuto di relazioni che faccia emergere quella gran parte del sistema scolastico del nostro Paese che quotidinamente affronta le sfide educative, talora in solitudine.

E’ necessario recuperare in un’ottica propositiva l’idea di “fare scuola”, in modo particolare non solo relativamente alle innovazioni didattiche ma soprattutto rispetto al pensiero pedagogico che deve supportare un sistema formativo.

C’è un grande lavoro di ricostruzione da realizzare ma così come il Paese ha maturato una rinnovata consapevolezza sull’importanza fondamentale di una Sanità qualificata, trattandosi di un settore in cui si deve investire sistematicamente e dove la Ricerca deve andare di pari passo alla prevenzione – e non saranno mai abbastanza le parole di profondo ringraziamento nei confronti di questi operatori, molti dei quali hanno perso la vita per contrastare l’espandersi di questa epidemia – analogamente sarà necessario prendere maggiormente coscienza che un sistena formativo ha bisogno di investimenti e risorse in termini non solo economici ma soprattutto di formazione permanente, sistematica e strutturata nei confronti di tutto il personale, dirigenti scolastici, docenti, personale ATA, con la dovuta valorizzazione e riconoscimento sociale, da più parti sempre richiamato ma in alcuni casi difficilmente realizzato.

*già dirigente tecnico USR FVG