Apprendere a distanza

Apprendere a distanza

di Maurizio Tiriticco

Oggi si fa un gran parlare di didattica a distanza! Cosa assolutamente nuova per la scuola italiana, ma assolutamente “vecchia” per chi si occupa di ISTRUZIONE e, volendo, anche di FORMAZIONE ed EDUCAZIONE, che, comunque, sono “cose” diverse. Ricordo, ad esempio, che materiali di istruzione a distanza furono prodotti nei primi anni di vita dell’Unione Sovietica, quando occorreva trasformare – e rapidamente – un Paese di tradizione agricola in un Paese industriale! Come raggiungere migliaia di “nuovi” operai in un territorio così vasto come l’Urss? Soprattutto con l’istruzione a distanza, appunto. E con l’invio di materiali di studio e l’individuazione dei necessari mediatori culturali. Ma non mancano esperienze italiane: ad esempio, la “Scuola RadioElettra di Torino”, attiva fin dal 1951.

Per non dire poi di Accademia di Roma, oggi non più attiva, per cui ho lavorato per un certo periodo. Ricordo la fatica anche fisica in quegli anni lontani di dover spedire per posta dispense, a cui erano allegate le relative prove di verifica: in genere un certo numero di item (proposizioni) a quattro uscite, di cui una sola corretta. Poi il ritorno delle prove eseguite ed il rinvio delle correzioni; e sempre via posta. Quindi tempi molto lunghi sia per insegnare che per apprendere! In effetti, forse era più la fatica fisica che quella intellettuale. E non c’erano ancora i “computer da casa”! Questi apparvero in Italia solo alla fine degli anni sessanta: erano composti in più parti, con dischetti da inserire e disinserire, e occupavano a volte un’intera scrivania. Oggi con i pc e l’ausilio del web, di google, della email e di tante altre diavolerie, possiamo dire di vivere in un altro mondo.

Tornando a noi, il problema dell’istruzione a distanza non è solo e tanto quello di produrre materiali ad hoc, quanto quello di produrre conseguentemente le necessarie prove di verifica. Ed ecco i famigerati test! Perché famigerati? Perché i test, o meglio determinate prove di verifica oggettive, sono da sempre considerati dalla nostra scuola come un qualcosa di estraneo! Il vero e il falso sembrano concetti eccessivamente poveri per gestire processi di apprendimento. Ma non è così. E non è un caso che le prove Invalsi, che ormai da qualche anno “si abbattono” sulle nostre scuole, in genere sono considerate dai nostri insegnanti come una vera e propria “invalsione” sulle loro quotidiane attività. In effetti va detto che le prove Invalsi, come del resto tutte le prove oggettive, hanno un limite profondo: valutano “conoscenze”, ma non sono in grado di valutare alcun livello di creatività. Mi spiego meglio: un soggetto, indipendentemente dall’età, può essere “ignorante” in materia di grammatica (fonologia, morfologia e sintassi), ma “originale” e “creativo” quando si esprime, anche se scorrettamente, sotto il profilo grammaticale. Pertanto un alunno può “fallire” nelle prove Invalsi, anche se di fatto è, appunto, “originale” e “creativo” e, a volte, non solo nel linguaggio o nella matematizzazione.

Mi piace ricordare che su queste questioni ci sono ricerche interessanti,  a volte anche datate, nelle quali le prove oggettive sono analizzate e considerate per quello che sono e per ciò che valgono. Ecco quindi: ALDO VISALBERGHI, “Misurazione e valutazione nel processo educativo”, Milano, Edizioni di Comunità, 1955; MARIO GATTULLO, “Didattica e docimologia, misurazione e valutazione nella scuola”, Roma, Armando, 1967; BENEDETTO VERTECCHI; “Manuale della valutazione, analisi degli apprendimenti”, Editori Riuniti, Roma, 1984. E mi piace anche ricordare una serie di fascicoli dal titolo “Prove strutturate e semistrutturate di verifica finale dell’apprendimento per il biennio della scuola secondaria superiore”, esito di una serie di seminari condotti con insegnanti e coordinati dal Prof. Gaetano Domenici, a cui partecipai anch’io come ispettore coordinatore: era la fine degli anni novanta. Possiamo dire, quindi, che la didattica a distanza non solo non nasce oggi, ma ha anche autori illustri.

Occorre comunque ricordare, per correttezza non solo formale, che a monte di tutto c’è tutta la scuola del comportamentismo statunitense! Due soli nomi: John B. Watson e Burrhus Skinner, attivi negli anni sessanta e settanta del secolo scorso. Le loro ricerche influenzarono profondamente la didattica, soprattutto per quanto attiene il mondo delle prove di verifica. E non si creda che i suggerimenti d’oltre oceano riguardino solo i test. Non bisogna far torto al grande John Dewey che negli anni venti (il suo “Democracy and Education” è stato pubblicato a New York nel lontano 1916) “fece uscire” – se si può dir così – i problemi educativi dall’ambito puramente scolastico per proporli come un problema sociale di educazione anche e soprattutto civile. Per non dire poi di Jerome Bruner The Process of Education, 1960; traduzione italiana: “Dopo Dewey: il processo di apprendimento nelle due culture”, Roma, Armando, 1966. E Toward a Theory of Instruction, 1966; traduzione italiana “Verso una teoria dell’istruzione”, Roma, Armando, 1982.

Ma ciò che si insegna, ovviamente va appreso. Ed è stranoto che la valutazione degli apprendimenti è un’attività non facile. complessa e complicata. E non è un caso che il nostro Ministero dell’Istruzione ce lo ricorda con opportuni documenti normativi. Se non erro, l’ultimo atto è il dlgs 62/2017, che detta, appunto, “Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della legge 13 luglio 2015, n. 107. (17G00070) (GU n.112 del 16-5-2017 – Suppl. Ordinario n. 23)”.

Ora, per quanto mi riguarda, ho scritto più volte che la VALUTAZIONE deve essere sempre preceduta dalla MISURAZIONE. Ad esempio, rilevare cinque errori in un elaborato di una pagina non è la stessa cosa che rilevarli in un prodotto di venti o trenta pagine. Ma sulla misurazione il nostro Ministero tace! E da sempre! Costringendo poi i nostri insegnanti, in sede di uno scrutinio finale, a verbalizzare che il cinque dell’alunno X viene “portato a sei”, testualmente, in considerazione di…. Quando, invece, va detto che il cinque è l’esito di una o più MISURAZIONI di competenza di un insegnante, mentre il sei è l’esito di una VALUTAZIONE adottato responsabilmente da un consiglio di classe.

Voglio ora ricordare che cosa è una prova di verifica oggettiva, o meglio quella più nota che va sotto il nome di test. Un test è costituito di un insieme di item, o meglio di proposizioni – in genere non meno di dieci e non più di trenta – che si concludono in più uscite, in genere quattro, di cui una sola è quella vera. Ecco due esempi: Napoleone è morto a S. Elena il 5 maggio 1821… a Parigi il 7 luglio 1820… all’Isola d’Elba il 14 luglio 1824… ad Ajaccio il 7 agosto 1822. La seconda guerra mondiale è scoppiata nel 1937… nel 1938… nel 1939… nel 1940. Un alunno ben preparato risponde correttamente a tutti i quesiti, però… non è detto che a questo buon livello di “conoscenza” – in effetti può avere un ottimo livello di memorizzazione – corrisponda un livello analogo di “comprensione”. Ciò significa che occorre produrre prove di verifica che abbiano anche un certo grado di complessità. Ed il che, ovviamente, non è sempre facile.

Tutte le “cose” fin qui dette sono OGGI di particolare attualità, in quanto, con la forzata chiusura delle scuole in forza di questo maledetto corona virus, gli insegnanti si trovano a doversi forzatamente misurare con l’istruzione a distanza. Poco o nulla da eccepire in ordine alla “lezione”, o meglio ai contenuti di cui viene proposto l’apprendimento. Si tratta di predisporre dei materiali da proporre agli alunni, ma non in presenza. La questione insorge con la valutazione del’apprendimento: come verificare se l’alunno x “ha studiato”? In larga misura si possono predisporre dei test costruiti su determinati contenuti che gli sono stati offerti precedentemente. Ovviamente la “cosa” è adattissima per le cosiddette materie letterarie: di meno per alcune materie cosiddette scientifiche. Mi si scusi per il “cosiddette”, ma è sempre difficile individuare una separazione netta tra i due ordini di discipline. Basti pensare al fatto che Galieo propose una rivoluzione planetaria – copernicana, di fatto – quando scrisse un’opera che possiamo definire letteraria. Si tratta di quel “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, che, com’è noto, creò mille difficoltà alla Chiesa che da sempre sosteneva il sistema tolemaico geocentrico.

Di fatto, non esiste una separazione netta tra “discipline di ricerca”, che attengono, appunto al mondo della ricerca; ma esiste, invece, tra “discipline di studio”, nelle scuole. Ad esempio, com’è noto, un’ora è dedicata all’italiano, l’ora successiva alla fisica, e poi alla filosofia e poi ancora alla chimica! Il tutto scandito inesorabilmente dal suono della campanella, che disciplina i tempi di un intero edificio scolastico. Tempi che non sempre coincidono con quelli dell’insegnare per apprendere.

Con l’istruzione a distanza i tempi della lezione, dello studio, della misurazione e della valutazione si modificano profondamente e – credo – a favore di chi apprende. Il quale ha più tempo per maturare e produrre una risposta ed anche per “documentarsi”: quella operazione che, se male intesa e mal condotta, può ridursi in genere al semplice copiare! Ma un certo copiare non è affatto un male! Copiamo tutti e sempre, ogni momento, dalla nascita alla morte. Se il nuovo nato non “copiasse” dal linguaggio, dalle abitudini, dalle regole di comportamento dei suoi attanti (i genitori, i famigliari, il gruppo parentale e sociale), non entrerebbe nel “gruppo” e non ne sarebbe in progress partecipe attivo. Ovviamente, ciò vale quando il “copiare” significa “adattarsi” progressivamente alla lingua, alle abitudini, ai costumi, alla cultura del contesto in cui si nasce, si cresce, si apprende, si opera… e si insegna anche. Si pensi in effetti alle difficoltà di apprendimento e di socializzazione di un bambino autistico.

In conclusione, ritengo che insegnare ed apprendere a distanza non è una diminuzione rispetto a ciò che accade nell’insegnamento/apprendimento in presenze! E’ semplicemente una “cosa altra”. Se non, addirittura un qualcosa di più, forse più celato che palese. Ma questa alterità occorre saperla individuare ed utilizzare al meglio. Insomma, siamo tutti di fronte ad una grande occasione per riflettere… sul sistema di istruzione in generale.