Nelle lezioni online la tutela dei dati si affida al fai-da-te

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da Il Sole 24 Ore

di Antonello Cherchi

A prescindere da se e quando si ritornerà sui banchi, una certezza quest’anno scolastico l’ha fatta propria: la didattica a distanza è possibile. Con gli alti e bassi dovuti all’emergenza che ci è precipitata addosso e all’inadeguatezza su alcuni versanti. Per esempio, quello della privacy.

Senza dar seguito alle rimostranze di qualche docente che ritiene violata la propria riservatezza per il fatto che sia inquadrata parte della propria casa durante la videolezione, la questione della tutela dei dati personali di professori e studenti non è affatto secondaria. Anche perché, soprattutto sotto la spinta dell’urgenza, in qualche caso si è fatto ricorso al fai-da-te, optando per applicazioni di videochiamata certamente performanti, ma non aliene da secondi fini. Ovvero la profilazione degli utenti.

Ma non è il solo dubbio che si è posto. C’è stato quello sull’acquisizione del consenso da parte di genitori, studenti e docenti circa il trattamento dei dati personali, sull’informativa da fornire loro, sui criteri di scelta delle piattaforme e sulla privacy policy dei gestori, sulla necessità di procedere, da parte degli istituti, alla predisposizione del documento sulla valutazione d’impatto. Sullo sfondo di tutti questi quesiti il regolamento europeo 679/2016 sulla tutela dei dati (altrimenti detto Gdpr, General data protection regulation), che disegna il perimetro in cui ci si deve muovere. Si tratta, però, di un sistema normativo articolato, non di immediata applicazione, a meno che non si sia supportati da un consulente o da un Dpo, il data protection officer (o responsabile della protezione dei dati personali), una figura introdotta proprio dal Gdpr.

Il vademecum del Garante

Ecco perché il Garante della privacy nei giorni scorsi ha deciso di intervenire con un provvedimento che sgombra il campo da alcuni dubbi. Intanto, la questione del consenso: non è necessario. Eppoi l’altro incubo che rovinava i sonni dei presidi: la valutazione d’impatto. «Non c’è bisogno», ha fatto sapere l’Autorità, perché il trattamento dei dati da parte delle scuole e degli atenei non è cosi massivo da comportare elevati rischi per gli interessati.

Il provvedimento contiene, inoltre, una serie di indicazioni per guidare nella scelta della piattaforma della didattica online e per delimitare lo spazio d’uso delle informazioni personali di ragazzi e professori. Si tratta, però, di suggerimenti che ogni scuola deve declinare per proprio conto. Sarebbero, dunque, necessari altri strumenti operativi: è l’obiettivo delle domande e risposte pubblicate qui a fianco. A cui si aggiungeranno, probabilmente a breve. le Faq che il ministero dell’Istruzione sta elaborando con il contributo del Garante.

La cassetta degli attrezzi

L’Istruzione già fornisce una serie di indicazioni su come attivare la didattica online, opportunità che nel decreto legge in arrivo trova copertura normativa. Sul sito del ministero c’è una sezione ad hoc dove compaiono diverse piattaforme (da Google Suite a Office 365 Education di Microsoft, da Weschool di Tim a Amazon Chime, fino a Facebook) con le relative caratteristiche e le modalità per attivarle. Nonostante questo, i consigli per orientare la scelta degli istituti dovrebbero- pur nel rispetto dell’autonomia scolastica – essere probabilmente più stringenti, per non lasciarle le scuole alle prese con la gestione di problemi ingombranti come quello della privacy, che può comportare serie conseguenze sul piano civile e penale, senza trascurare il danno d’immagine.

Tutto questo considerando che il decreto legge “cura Italia” ha messo sul piatto della didattica a distanza 85 milioni – 10 per le piattaforme, 70 per le dotazioni e la connessione alla rete da parte degli studenti meno abbienti e 5 per la formazione del personale scolastico – e ha autorizzato il reclutamento per quest’anno scolastico di mille assistenti tecnici.

Misure che possono aiutare a mettere meglio a fuoco anche i dubbi sulla privacy. Come quello sulla possibilità di registrare le videolezioni da parte dello studente. Per esempio, con lo smartphone. «Lo si può fare», precisa l’Associazione nazionale dei presidi, ma solo per finalità di studio personali. Se, però, le immagini vengono divulgate, si configura la violazione della privacy di chi vi compare. La classe virtuale può, pertanto, essere l’occasione anche per una lezione che non è detto si impari tra i banchi: il rispetto dei propri dati personali e di quelli altrui.