Castigo di Dio?

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Castigo di Dio?
C’è qualcosa di “buono” oggi nel sole…

di Melina Bianco

L’emergenza sanitaria planetaria da COVID-19 non risparmia le religioni.

Funzioni e riti stravolti. Sinagoghe, chiese e moschee chiuse. Pellegrinaggi in luoghi santi sospesi. Liturgie eucaristiche in formula “streaming”. Rivisitazioni e riadattamenti spirituali continuati e ininterrotti, per credenti e per non credenti (di riflesso e a cascata), in conformità alle “eccezionali” nuove misure e ai mutati tempi, all’uopo “accomodati” in ri-trovati spazi, con e per la fede.

In linea con le recenti disposizioni emergenziali, le diverse confessioni religiose si allenano a praticare, loro malgrado, “patteggiamenti” e ri-strutturazioni celebrative e sacrali, dettati e imposti dall’invisibilità di un virus, tanto “in-coronato” quanto cinico e sleale che, pur ri-legittimandole a suo modo tutte, poi di fatto, tutte le misconosce, costringendole e confinandole all’isolamento domestico e allo smarrimento mistico e ontologico, in una dimensione intima che, per quanto arcaica e familiare, si rivela sprovvista e nuda al cospetto del rassicurante senso di “comunità vissuta” della tradizione.

Né, d’altro canto vengono meno, al tempo delle generazioni ipertecnologiche ed interconnesse, gli improvvidi suggerimenti di predicatori e profittatori dell’ultim’ora, i quali, riuscendo a trarre giovamento persino dall’incombente crisi sanitaria e socio-economica del tragico momento, “abusano” senza alcuno scrupolo di coscienza, dello stato di disorientamento e di angoscia dei più fragili, lucrando ad arte sui loro sentimenti di paura e di ansia (peraltro diffusi e generalizzati), per la salute e il destino di familiari, parenti e amici.

Vien da chiedersi se vi possa essere del buono in tutto questo.

E ancor di più vien da chiederselo di fronte al plauso jihadista alla pandemia.

Un plauso “esortante”, annunciato nei giorni scorsi, urbi et orbi, dallo stesso canale social del gruppo terroristico, che inneggiando al virus, il Covid-19 appunto, lo qualifica come “Soldato di Allah” e “fedele alleato per la punizione divina” (veloce e impietosa) di apostati e infedeli, sparsi in ogni parte del pianeta.

Può davvero un virus, ci si domanda, assurgere al ruolo di “strumento di punizione” nelle mani di un Dio? E viaggiare incontrastato per tutti i continenti, dietro volontà e precisi ordini divini, su goccioline e particelle microscopiche e “sante”?

Ne parlo con Naim, ragazzo tunisino di fede musulmana, residente in Sicilia fin dal suo primo arrivo in Italia (a soli sei mesi), adesso studente in medicina e mio ex alunno, ai tempi in cui ero Preside a Mazara del Vallo.

Ci confrontiamo di tanto in tanto io e Naim, e proviamo a venirci in soccorso, quando le questioni ci arrivano più articolate e complesse, nel tentativo di meglio dipanarle.

E procediamo alla ricerca di categorie analitiche e semantiche sempre più appropriate, per una maggiore e più autentica conoscenza dei nostri rispettivi mondi, mondi a volte così vicini da sembrare “aggrappati”, altre, invece, talmente distanti da apparire inafferrabili, pienamente e in sostanza.

E ci confrontiamo e ri-confrontiamo, quando il buio della ragione prende intorno il sopravvento e ci interpella in profondità, indirizzando la “fatica” del pensiero verso un ulteriore sforzo, quello della re-visione delle anziane certezze, in un mondo che si trasforma senza tregua.

E lo facciamo con l’obiettivo preciso di spalancare, almeno nei nostri propositi (il mio e il suo), nuove finestre epistemologiche e valoriali, rimanendo sempre in bilico, tra il cuore e la ragione, tra la scienza e la fede, tra la speranza e il rischio di smarrimento.

Lo sappiamo bene io e Naim e ne siamo consapevoli. Ma non ci scoraggiamo. Anzi.

Ci sforziamo ancora di più di diventare attenti osservatori e buoni esploratori di nuovi mondi possibili, quelli che si celano negli interstizi del mondo reale.

Epistemologia della complessità? Si, anche. Ci aiuta, ci orienta, ci in-cammina, verso la costruzione di rinnovati paradigmi pedagogici e di nuovi strumenti educativi, adatti a cogliere polifonie e rispondenze ma anche dissonanze e paradossi, comunicazioni lineari ma anche ostacoli e imprevisti. Il Covid-19, per esempio.

Chiedo a Naim, con proposito pignolo e diretto, cosa ne pensi di questa presunta “ortodossia religiosa” del virus, e di questo suo essere osannato, da alcuni, quale giustiziere della nutrita schiera dei “religiosamente corrotti”, in nome e per conto di un preciso volere divino.

Del castigo di Dio, insomma!

Mi risponde subito Naim, esattamente come quando sedeva tra i banchi di scuola e alzava premurosamente la mano, in segno di fraterna protezione nei confronti degli altri compagni musulmani e non musulmani, meno bravi di lui.

E nel farlo non avverte minimamente il bisogno di giustificarsi, né di giustificare i suoi connazionali che vivono in città. No. Non ve n’è per lui alcun bisogno.

Nessuno di noi si identifica con loro –rimarca riferendosi agli jihadisti-. Nessuno! Non ci rappresentano. Non rappresentano il mondo musulmano nel quale noi siamo nati, cresciuti ed educati. Noi ne abbiamo sempre preso le distanze. E non solo con le parole, ma nei gesti quotidiani di ogni giorno”.

Ed è’ vero. E’ un popolo di pace quello tunisino che vive e opera a Mazara del Vallo, un popolo di grandi ed onesti lavoratori, che non si risparmia in sudori e fatiche e che non trascura la cura e l’educazione dei figli, né la partecipazione attiva e consapevole al fianco della Scuola e delle Istituzioni tutte, sostenendo e appoggiando con forza ciascuna iniziativa di prevenzione, contro ogni forma di radicalizzazione estremista violenta.

Di tutto ciò sono, da tempo, orgogliosa testimone.

Mentre conversiamo al telefono, Naim mi riassume velocemente le ultime vicissitudini familiari.

Poi si sofferma, con tono preoccupato, sulla situazione del padre, persona onesta e saggia, che conosco personalmente e che trascorre diversi mesi dell’anno a bordo di un peschereccio, pur di non fare mancare “l’essenziale” a moglie e tre figli.

“Mio padre –mi dice- al momento, ha deciso di rimanere in mare, assieme al resto dell’equipaggio, per una forma di prudente auto-isolamento. Mi manca. Ci manca. E’ da tanto che non lo vediamo. Ma forse, rimanere in alto mare, a decine di miglia di distanza da questo inferno, forse al momento è davvero la scelta migliore”.

E continua.

“Noi musulmani, esattamente come voi cattolici, non abbiamo fermato le nostre preghiere a causa del virus, le continuiamo a recitare a casa, in famiglia. Viene sacrificata la preghiera comune del venerdì in moschea, è vero, ma è molto importante rispettare il divieto di assembramento e la necessità del distanziamento sociale, lo so bene. Diventerò medico anch’io, e proprio da futuro medico lo sto spiegando a molti membri della mia comunità, specialmente ai parenti e agli amici più anziani”.

La scelta di diventare medico, in realtà, è per Naim un destino scritto fin dalla nascita.

Il nonno Ahmed, da tempo cardiopatico, era mancato dopo la prima settimana dalla sua venuta al mondo, per non aver retto, a causa del cuore malmesso, la gioia dell’arrivo del nipote maschio, tanto desiderato negli anni. Questo Naim lo sa da sempre. E’ stata la nonna Houda, oggi sofferente ottantenne, la prima a raccontarglielo. E lo continua a fare. Da vent’anni.

“Il mio impegno – mi rivelò Naim al termine del liceo– è quello di diventare un bravo cardiochirurgo, l’ho promesso alla nonna. E farò di tutto per salvare vite umane, proprio per evitare, per quanto possibile, la disgrazia che è successa a mio nonno Ahmed, che non ho mai potuto abbracciare”.

Altro che motivazioni intrinseche ed estrinseche. Naim ne ha da vendere, e fa di tutto per non disattenderle e per onorarle nel migliore dei modi, pur affrontando ogni giorno notevoli sacrifici nella sua nuova vita universitaria a Pisa, vigilando con cura di gravare il meno possibile sul bilancio pulito e dignitoso (seppur non lauto) della propria unita famiglia.

 “State facendo uso anche voi della tecnologia digitale per la preghiera collettiva a distanza –proseguo a chiedere- o riscontrate difficoltà ad avviare le connessioni, all’interno della Kasbah di Mazara?”.

Mi risponde con tono positivo e speranzoso.

“Si, ci stiamo organizzando anche noi con i mezzi informatici di ultima generazione, per le preghiere a distanza e per l’utilizzo di piattaforme per le videoconferenze, perché è bello continuare a mantenere vivo il senso di comunità”.

Il senso di comunità, per la verità, Naim lo vive e lo interpreta in modo più vasto.

Un modo più vasto e “spazioso”, il suo, che travalica e rende permeabili i labili e scontati confini identitari, verso “sovraluoghi” dove tutto può accadere.

“Perché –ribadisce convinto- Dio, il mio Dio, è altro ed è oltre”.

Ed è proprio nella ricerca di questo “altrove”, che il mio studente arabo mazarese, residente in Italia da vent’anni (seppur ancor privo di diritto di cittadinanza perché non nato in Italia), già per ben due volte, ha scelto di recarsi, da musulmano, al Santuario della Madonna di Lourdes, offrendo il suo servizio, generoso e altruista, come volontario barelliere.

Ed è sempre per la ricerca di questo “altrove” che lui trascorre parte delle vacanze estive all’interno del GREST della vicina parrocchia cattolica, con il ruolo di animatore, per divertire i bambini più piccoli, quando le attività didattiche vengono sospese.

Questo e tanto altro è l’impegno civile e sociale di Naim nella sua comunità mazarese, una comunità che egli ama profondamente e che ha, via via negli anni, amalgamato e ricongiunto all’amore ancestrale per il luogo natìo, Mahdia, la città tunisina “delle due lune”, nella quale ritorna tutte le volte che può, assieme alla famiglia, per andare ad abbracciare nonna Houda (l’unica tra i nonni rimasta in vita) e, forse, per ritrovare in tutta la sua completezza, l’altra metà di sè.

“Ma in questa drammatica emergenza sanitaria -lo incalzo- secondo te, può venirne fuori qualcosa di buono?”

Sorride Naim. E riconosco quel sorriso: è il sorriso di chi ha già, da tempo, maturato dentro di sé la consapevolezza dell’agire e del pensare “responsabile”, fondato su un principio, laico e religioso ad un tempo, che prescinde e ingloba ogni singolo credo professato, traducendolo in pensieri, parole ed opere oneste, giuste e solidali, dove non c’è spazio per le omissioni ir-responsabili e vigliacche, né per i tradimenti e gli inganni infausti o di maniera. Tantomeno in nome e per conto di Dio!

 “Forse, a pensarci bene, –conclude Naim-, oltre ai vaccini e agli anticorpi della scienza, avremmo bisogno di altri vaccini e di altri anticorpi. Quelli contro l’ignoranza e contro le superstizioni, che dividono le persone al posto di avvicinarle, trasmettendo odio, violenza, egoismo e sfruttamento, passando proprio dai veloci e immediati canali web, tanto amati da noi giovani.

Se riuscissimo a capire questo, forse sarebbe molto più di qualcosa di buono quello che potrebbe lasciarci questa triste vicenda.

Sarebbe forse il “bene supremo”, la vera salvezza, sanitaria, morale e religiosa”.

E io che da cristiana, così lo ascolto, mi pongo nel frattempo da sola, l’ultima domanda.

Mi chiedo se questi duemila anni di cristianesimo, siano stati sufficienti a farci comprendere, con significatività e pregnanza, che il mondo necessita, da sempre e per sempre, di comportamenti eticamente validi, di esempi e testimonianze di vita attendibili e convincenti, di fermezza morale e religiosa, cui far ricorso quando, calata la nebbia, rimane il dolore da attraversare e il tormento dell’esistenza da “resistere”.

Per ri-trovare noi stessi. Per ri-scoprire gli altri. Per ri-sollevare l’Umanità ferita.

Conducendola oltre il deserto. Il deserto della ragione arida, dell’anima “spoglia”.

Magari sbagliando ancora, ma con l’impegno e la speranza di sbagliare “meglio”.

Castigati da Dio? No!

Testimoni di pace.

Mendicanti dell’Essere. In nome e per conto di Dio.

Ciascuno con il proprio Dio. Credenti e non credenti. Insieme. 

Con rinnovata spiritualità, laica e religiosa.

In un unico abbraccio di riconciliazione delle coscienze.

C’è qualcosa di “buono” oggi nel sole, si.

E soffia una brezza amara e dolce “che rompe le dure zolle”.

In un’altra Primavera, non più muta, non più silente.

“Ce la faremo, tutti insieme, stia tranquilla! Inshallah, Preside”

“Inshallah Naim”.


*Dirigente Ministero Istruzione
Professore Università Lumsa