Maturità, l’impegno di prof e studenti nello studio a distanza va riconosciuto, nonostante l’emergenza

da Il Sole 24 Ore

di Alessandro Fusacchia *

Negli ultimi giorni – con l’approssimarsi del prossimo Consiglio del Ministri – è esplosa l’apprensione, e con essa il dibattito pubblico, sugli esami di Stato: sul loro svolgimento e valore alla luce della situazione critica in cui siamo, con le scuole chiuse e il dubbio che non riaprano prima della fine dell’anno scolastico.

Il Governo ragiona su scenari diversi, che dipendono inevitabilmente dai risultati che darà nelle prossime settimane la strategia di contrasto al coronavirus.
alcune indiscrezioni uscite sui giornali in questi giorni hanno fatto sapere che le ipotesi sul tavolo sarebbero sostanzialmente due.

Se gli studenti saranno in grado di rientrare in classe ad un certo punto, e quindi di essere fisicamente a scuola a giugno, si terranno degli esami non del tutto dissimili da quelli degli anni passati: una prova nazionale di italiano; una seconda prova, che verrebbe predisposta dalla singola scuola, l’unica a conoscere nello specifico come la didattica a distanza abbia realmente funzionato nel proprio caso; una prova orale.
Qualora invece questa possibilità di rimettere piede fisicamente nelle scuole rimanesse preclusa, l’esame di Stato consisterebbe in una prova orale da remoto, dall’altra parte dello schermo.

Faccio alcune considerazioni rispetto le anticipazioni.
Nel caso in cui si riesca a tornare a scuola, mi verrebbe da dire che ci saranno degli adattamenti, ma non degli stravolgimenti dell’esame di Stato. Adattamenti con cui potremo convivere per quest’anno, dato tutto quello che ci sarà nel frattempo successo col coronavirus.

La questione vera sembrerebbe invece essere: che succede in caso contrario, se non ci sarà modo di tornare a scuola in tempo utile per fare l’esame di Stato?
Ora, in queste settimane, e ancor di più nelle prossime, stiamo assistendo ad una accelerazione nell’uso degli strumenti digitali e di nuove metodologie. Tutti – dagli uffici ministeriali all’ultima scuola di periferia – si stanno cimentando con una sfida nuova, imprevista, drammatica. Stanno facendo fatica e difficoltà, ma stanno anche imparando enormemente. C’è però un limite a quanto si possa “stressare” il sistema in questa fase. Per dirla chiaramente: sconsiglierei vivamente a chiunque di tentare una prova scritta da remoto, a maggior ragione se su traccia da far restare riservata fino all’ultimo.
Non ci sarebbe quindi alternativa a limitarsi, da remoto, ad un esame solamente orale.
Si aprono quindi due questioni enormi.

La prima: siccome ognuno di quelli che crede che l’esame di Stato abbia un valore preferirà sempre la prima opzione alla seconda, serve mettersi d’accordo su cosa si intenda per “possibilità di rimettere piede a scuola”. Sarà molto diverso dire che debbano/possano rientrare tutti, o solo coloro che devono sostenere la prova; così come cambierà se dovranno rientrare (anche) per delle lezioni prima dell’esame, o solo direttamente per gli esami a metà giugno. Inoltre, non serve avere virologi o epidemiologi in famiglia per capire che non avremo sconfitto al 100% il coronavirus per metà maggio. La domanda quindi è: a che punto della lotta al coronavirus, in base a quali serie di dati, e a che condizioni, si potrà decidere di “riaprire”? E per riaprire come?

Ci sarà chi spingerà per la cautela totale, chi per una cautela alta ma non assoluta, e via dicendo. Chi si prenderà la responsabilità? I medici? Oppure i politici e le istituzioni? E avendo costruito quale consenso politico-sociale attorno alla decisione presa? Questo è un punto dirimente che va ben oltre gli esami di Stato.

Faccio una facile profezia: la stessa domanda, se non adesso, ce la dovremo porre comunque tra qualche settimana per decidere se, quando, e come riaprire le scuole a settembre.

La seconda questione. Se finiremo con la prova orale da remoto e basta, è fondamentale che questa prova sia seria. Lo dobbiamo a tutti gli studenti (e docenti) che stanno facendo uno sforzo enorme per continuare ad apprendere (e insegnare), nonostante le mille difficoltà, avendo dovuto spesso imparare in corsa come fare e facendo sacrifici.
L’ultima cosa che ci serve è dire “tana liberi tutti”.

Abbiamo al contrario bisogno di mantenere capacità di giudizio e di valorizzare impegno e merito, certamente tenendo in conto le difficoltà oggettive e il disagio personale di studentesse e studenti. Questo è – qualsiasi cosa succederà e scenario si avvererà – il messaggio forte da mandare subito al Paese: «quello che state studiando conta, lo sforzo che state facendo ha un valore; non stiamo dicendo ai più bravi di accontentarsi, né a chi è meno bravo di smettere di migliorarsi».
L’Italia sopravviverà alla scuola chiusa. Anche ad una scuola chiusa per tre mesi.
Non sopravviverà a tre mesi di sacrifici non riconosciuti, a tre mesi di senso di inutilità.

  • Deputato, Gruppo Misto della Camera