Proposte concrete per la scuola da mettere in campo subito

da Huffingtonpost 19/04/2020

Proposte concrete per la scuola da mettere in campo subito

di Maria Prodi

Non si può continuare ad andare a tentoni, sulla prossima stagione della scuola italiana. E meno che mai a rimorchio.

Dobbiamo capire come riaprire le scuole dopo l’estate. E come arrivarci vivi a settembre, soprattutto i papà e le mamme  che hanno figli da accudire e un rientro al lavoro che preme.

Innanzitutto distinguiamo due legittime, importanti, ma distinte funzioni della scuola: quella propriamente educativa, che riguarda tutti dal primo mese di asilo nido, fino all’ultimo anno del liceo, e la funzione non meno strategica di custodia, cura, contenimento che riguarda i bambini più piccoli ed è indispensabile per conciliare genitorialità e lavoro.

Partiamo dalla seconda funzione  che, scadute ferie, permessi e altre poche risorse a disposizione  getta nella disperazione troppe famiglie e che riguarda fortemente la fascia di età fino alle elementari, ma con diverse intensità fino alle scuole medie. Ma senza trascurare, anzi, sottolineando bene la prima funzione.

ASILI NIDO

Accanto agli asili nido, che raggruppano in genere decine di bambini in spazi ampiamente condivisi, esistono altre soluzioni per fornire servizi educativi ai piccolissimi progettati su numeri decisamente più esigui: micronidi, nidi condominiali, nidi familiari,Tagesmutter per i quali anni di sperimentazioni e precise regolamentazioni regionali hanno prodotto modelli educativamente validi. Se non si possono per ora riaprire i nidi nella forma più classica e diffusa allora, attraverso un sostegno dei comuni (con risorse mirate per i comuni stessi), favoriamo una articolazione, delle sezioni dei nidi,  in locali di emergenza accettabilmente preparati e arredati, usando il personale esistente opportunamente rinforzato. Si può anche considerare di insediare, ove ci siano opportune condizioni (locali ampi, un giardino..) un piccolo gruppo di bambini nello stesso domicilio di uno di essi, come avviene nei nidi familiari. Nidi privati e nidi pubblici possono introdurre elementi di elasticità organizzativa improntati a realistiche considerazioni sulla base delle esigenze e risorse che sono date: ma chiudere tutto e lasciare chiuso, se non si può lavorare nel modo ottimale, non mi pare accettabile. Volendo si può anche scaglionare il rientro in base alle esigenze delle famiglie. In Germania i nidi non hanno mai chiuso per ospitare i figli di sanitari, poliziotti e altri lavoratori di prima necessità. Coordinatori pedagogici e servizi educativi dei comuni devono inventarsi soluzioni provvisorie con assoluta urgenza e nello stesso tempo saggezza. Da subito, non da settembre.

Da anni il Ministero dell’Istruzione  si è intestato la partita degli asili nido senza poi farci veramente nulla, se non distribuire qualche risorsa finanziaria che già prima distribuiva il Ministero del Lavoro. E’ ora di riaprire i tavoli con le Regioni e dare ai comuni risorse mirate e standard di qualità, soprattutto dove i nidi mancano. Il problema che adesso vivono le regioni del nord è cronico nelle regioni del sud. Magari fosse la volta buona che si cercassero risposte per tutti, con il governo che finanzia ma chiede qualità educativa, le Regioni che regolamentano e i comuni che erogano e controllano.

SCUOLA MATERNA ED ELEMENTARE

Anche al livello successivo la frammentazione dei gruppi sembra una esperienza provvisoriamente inevitabile. Le sezioni di scuola materna e di scuola elementare andrebbero ricondotte a gruppi più piccoli, senza perdere il riferimento con i  propri insegnanti. Questo significa che tutte le ore disponibili del personale vanno concentrate in un orario minimale garantito (le ore della mattinata per esempio) con il massimo della compresenza (a distanza!) degli insegnanti su sezioni articolate in sottogruppi. Bisogna concentrare  le disponibilità di ore degli insegnanti sulle lezioni con piccoli gruppi di bambini sacrificando le ore per programmazioni e attività non frontali. Niente mensa, basta un panino da casa. Molto uso degli spazi verdi, fino a che la stagione lo consentirà. Molte attività accolte in locali esterni (ogni comune sa che ci sono associazioni, musei, strutture recettive che per qualche mese possono offrire spazi). E a supporto, dove il personale non basti, studenti o giovani (mobilitando scout, associazioni, cooperative, oratori..) assunti con contratti brevi per fare qualche ora di esperienze  integrative con i bambini. Il gioco della mascherina e del distanziamento può essere ospitato in qualche mondo fantastico. Se poi qualche famiglia può e vuole tenere i figli a casa per qualche mese in più tanto meglio, si alleggerisce il compito della rarefazione, ma ci devono essere risorse online e televisive educative di qualità per supportarle. E bisogna partire presto, non aspettare la fine della scuola, per fornire servizi almeno ad alcune famiglie in reale difficoltà lavorativa.

SCUOLE MEDIE E SUPERIORI

Procedendo verso il liceo l’attenzione si sposta decisamente verso la dimensione solo educativa e non più di contenimento e controllo. Una formula intermedia si può prevedere per i ragazzi parzialmente autonomi, ma non del tutto, come possono essere quelli fino all’inizio del liceo. Una frequentazione parziale a gruppi ridotti della scuola, e molto lavoro assegnato a casa sotto forma di materiali multimediali, compiti, videolezioni.  

Alle scuole superiori, soprattutto, la maggiore autonomia dei ragazzi permetterebbe un frequenza in orario parziale di sottogruppi delle classi (Due? Tre? Dipende dalle condizioni specifiche). Per il resto videolezioni a classe intera o anche a classi congiunte. Quindi coniugare una fornitura di contenuti ad ampio raggio, con una cura diretta in presenza di piccoli gruppi per elaborazione, condivisione, valutazione.

Voci minacciose circolano in questi giorni ipotizzando una serie di contenuti standardizzati forniti dal ministero affiancati dalla frequenza dei ragazzi, in presenza, con i docenti, per i gruppi più fragili. Insomma, il ministero tiene il corso e gli insegnanti fanno gli esercitatori? Mi sembra una pessima idea vista l’ inadeguatezza la ministero quando si occupa di didattiche disciplinari, e anche umiliante per la dimensione intellettuale  e professionale degli insegnanti. La libertà di insegnamento e l’autonomia scolastica non sono un ostacolo, ma un presupposto per un apprendimento di qualità. 

Per gli addetti ai lavori aggiungo: piuttosto repertori, scambi, condivisioni di unità didattiche  peer to peer, insegnanti con insegnanti. Magari sostenuti e valorizzati da associazioni professionali, scuole, centri di competenze disciplinari. Così da creare premesse a innovazioni, magari più permanenti, che creino alternative alla lezione frontale tradizionale in presenza. La diversificazione nella modalità di svolgimento delle lezioni, obbligata in tempo di crisi, può aprire a sperimentazione interessanti, comprendenti la classe capovolta e altre soluzioni. Che di per sé non vanno mitizzate ( non sono infatti magiche né effettive a prescindere dalla qualità e sapienza didattica che esprimono), ma possono allargare il repertorio di strumenti didattici spesso troppo abitudinario e fossilizzato.

Non c’è alcun motivo per cui una buona esposizione prodotta o registrata online  non debba essere rivolta a un numero di alunni più ampi della ventina che in media compone una classe. E non c’è motivo per cui non si debba riunire fisicamente una decina, invece che una ventina di ragazzi per un lavoro più interattivo e personalizzato.

Sento già l’obiezione che si rischia di scardinare la classe, orizzonte e fulcro imprescindibile della relazionalità infantile e  adolescenziale nel sentire comune. In Italia si può abbandonare una famiglia, divorziare una coppia, ma l’unità della classe sarebbe intangibile. Invece smontare le classi e diversificare gruppi e percorsi, come avviene in Germania, sarebbe un’ ottima premessa per una scuola superiore più vocazionale articolata  su opzioni, percorsi personalizzati, progressioni differenziate che magari superino l’annoso problema delle bocciature e degli esami di riparazione. Intanto si lavora sulla emergenza, poi si rifletterà anche su questo.

Ma non andiamo da nessuna parte se non sappiamo come avviene realmente, concretamente il lavoro online da casa degli studenti. Ci sono studenti che seguono sul telefonino, altri si fanno prestare supporti informatici  che conoscono poco, altri non hanno campo o finiscono i giga.

Le scuole, i singoli consigli di classe  devono fare una ricognizione puntuale, anche se aggregata e anonimizzata nei risultati, di come e con cosa i nostri studenti stiano lavorando da casa.

E bisogna arrivare a settembre con un computer per ogni ragazzo. Si possono usare risorse Fse, risorse bonus 18enni, risorse nuove. Non se ne può più dell’ osservazione, ovvia, che la didattica online aumenta le differenze.  Si potrebbe dire anche per i libri: le famiglie che hanno libri e quelle che non ne hanno sono separate da un gap? Certo. E allora facciamo a meno dei libri o forniamo almeno libri in comodato, accesso alle biblioteche, progetti di lettura  ai meno abbienti o ai più sprovveduti? Bisogna superare il digital divide fornendo computer a tutti i ragazzi che non ne possiedono uno. In prestito, ma riscattabile magari a rate dalla scuola. La ricognizione va fatta subito, e i provvedimenti prima di settembre.

Sento già, potrei elencarle, le veementi obiezioni a tutte e ciascuna delle mie proposte. In nulla eccelliamo in Italia come nell’arte di abbattere una soluzione realistica grazie alla enfatica affermazione di bei principi irrealizzabili, almeno momentaneamente. Di far saltare per aria il bene, o il benino a favore del meglio (però irraggiungibile). Immagino già le obiezioni sindacali, contrattuali, categoriali.

Ma non sto disegnando il quadro di una scuola a venire. Solamente la sopravvivenza indispensabile e dignitosa di un servizio pubblico nei prossimi mesi. Dopo, e quando sarà il dopo per ora non lo sappiamo, faremo tesoro delle esperienze fatte, le criticheremo, le valuteremo e ripenseremo il ritorno ad una normalità che sarà innovata nei modi e nelle direzioni che anche questa fase critica ci suggerirà.

I sindacati che hanno criticato apertamente la didattica online, e quelli che hanno prudentemente taciuto, sono stati scavalcati dagli insegnanti che si sono messi coi loro mezzi, le loro conoscenze, i loro contratti telefonici davanti ai computer e hanno continuato a far lezione, adattandosi, imparando, studiando, tenendo il filo del contatto con gli allievi.  

Se i sindacati  non contribuiranno con proposte fattibili e sagge, rischiano di essere marginalizzati nella difesa di abitudini inerziali, invece che contribuire a superare questa fase e a costruire le successive. Le crisi esigono elasticità, adattatività, innovazione. Anche nella disponibilità dei docenti. Che fin’ora ne hanno per lo più dimostrata tanta. Servono risorse, ma prima di tutto servono concretezza e idee giuste.

Non basta chiedere di raddoppiare scuole e organici.

Certo che bisogna fare subito tutto quello che si può fare per migliorare la capienza e la fruibilità delle scuole. Ma non è solo questione di soldi, ma anche di organizzazione e capacità di spesa.

Non si assumono dall’oggi al domani il doppio degli insegnanti, e soprattutto non si licenziano una volta passata la crisi. La demografia sempre paurosamente calante delle giovani generazioni non ci permettere di gonfiare gli organici: gli insegnanti devono essere selezionati  con un occhio severo e lungimirante per quanto riguarda la loro professionalità, evitando assunzioni ope legis e infornate alla rinfusa. Oggi più che mai.

Questa crisi ci cambiera? Se significasse che diventeremo più pragmatici e chiederemo a tutti, prima alle istituzioni e poi  a cittadini, imprese, sindacati, di far funzionare le cose invece di disquisire sulla punta dei principi o esibire persuasive retoriche, sarebbe un bel cambiamento.