La scuola del primo ciclo oggi e domani: una riflessione a più voci

La scuola del primo ciclo oggi e domani: una riflessione a più voci

L’emergenza del coronavirus ha destrutturato la nostra vita ordinaria, quella delle istituzioni e del mondo produttivo. L’istituzione più colpita è stata senza dubbio la scuola, mantenuta in vita, grazie agli encomiabili sforzi dei docenti e dirigenti scolastici, con la cosiddetta didattica a distanza che ha mostrato le sue grandi potenzialità, ma, comprensibilmente, anche i suoi limiti, soprattutto per gli alunni più giovani. In questa fase di destabilizzazione molte sono state le analisi, le riflessioni e le proposte tese sia a migliorare l’esistente sia ad avanzare ipotesi di “rinascita formativa” con la riapertura delle scuole a settembre. Abbiamo provato anche noi, già componenti del Comitato Scientifico Nazionale per l’accompagnamento delle Indicazioni nazionali della scuola dell’infanzia e del primo ciclo (2012), a proporre una riflessione che si pone in continuità con il lavoro svolto nei sei anni di incarico e che ci sembra doveroso condividere con i docenti e dirigenti che ci hanno seguito nelle iniziative a suo tempo realizzate. Crediamo che l’apporto di più voci possa aiutare a reperire soluzioni ampiamente condivise e più rispondenti ai bisogni degli allievi, dei docenti e degli stessi genitori, anche nella prospettiva della ripresa delle attività nel prossimo anno scolastico.       

Oltre l’emergenza

L’emergenza sanitaria che sta sconvolgendo la vita di tutti noi impone un serio ripensamento del modo di fare e di essere scuola. Il contesto è radicalmente cambiato. La nostra immagine di scuola, costruita intorno ad alcuni schemi apparentemente intoccabili: la classe, la cattedra, la comunicazione verbale, le verifiche formali… risulta oggi superata. Si rende necessario un ripensamento profondo, a partire dal superamento della logica burocratico-amministrativa che si preoccupa di conservare, anche in queste condizioni di emergenza, le stesse routine (e la stessa mentalità) della scuola tradizionale: scadenze, orari, obblighi contrattuali, modalità di insegnamento e di verifica, adempimenti formali. Si comprende quanto sia difficile modificare la didattica sotto il peso dell’emergenza, nella parte finale di un anno scolastico che era stato avviato nei modi consueti, e che probabilmente dovrà chiudersi con qualche soluzione di inevitabile compromesso. Ma pensare di iniziare un nuovo anno ancora con le stesse formule sarebbe un errore, oltre che un’occasione perduta. E già fin d’ora è facile prevedere un avvio del prossimo anno scolastico con delle criticità. 

Ecco perché è importante utilizzare questo momento di prova e riflettere su di esso non solo come un’emergenza da fronteggiare cercando la riduzione dei danni, ma come una sfida educativa e didattica capace di generare una scuola nuova. 

         L’emergenza ha visto una grande mobilitazione di dirigenti e docenti, che cercano in vari modi di ricreare una relazione educativa e didattica significativa con gli allievi e di contrastare l’isolamento, le solitudini, le varie forme di nuova povertà che si stanno evidenziando. Una esperienza difficile, ma anche una risorsa preziosa da interrogare e valorizzare, per ripartire in modo nuovo.

Rinnovare l’ambiente di apprendimento

 Nelle esperienze avviate in questi mesi di “distanziamento sociale” e di “didattica a distanza” si sono imposte scelte di massima flessibilità, che hanno messo e metteranno alla prova alcune rigidità tipiche del nostro sistema. 

Da un lato ci sono gli orari di insegnamento, che non possono coincidere con quelli istituzionali in cui l’insegnante è in relazione con l’intero gruppo classe: nella didattica a distanza si rendono necessarie soluzioni personalizzate che impongono una diversa distribuzione del tempo. Per esempio, risulta opportuno, ovunque, ma soprattutto nel primo ciclo, alternare momenti di lezioni a distanza, che coinvolgono l’intera classe, con altri in cui l’insegnante lavora in piccoli gruppi, avendo così modo di differenziare i suoi interventi, ascoltare le diverse reazioni, favorire l’interazione tra gli alunni. Organizzare parte del lavoro in piccoli gruppi favorisce anche gli alunni con bisogni educativi speciali, che soffrono maggiormente questa situazione di isolamento.

Dall’altro c’è la preoccupazione per la verifica degli apprendimenti, talvolta concentrata solo su modalità usuali (svolgimento di prove scritte e prove orali), sottovalutando il valore formativo e pro-attivo della valutazione, con la restituzione all’alunno di informazioni sul suo lavoro, indicazioni su come procedere per il miglioramento e soprattutto riflessione metacognitiva e autovalutativa dell’alunno sul proprio processo di apprendimento. 

Al di là delle valutazioni finali, legate a scrutini ed esami che si dovranno svolgere in forme semplificate, si dovrà pensare per il futuro alla possibilità di riorganizzare la didattica su tempi lunghi e su periodizzazioni almeno biennali, che consentano di promuovere e di verificare – come è giusto che sia – la conquista di competenze complesse più che l’adempimento di un compito. 

In ogni caso, la riorganizzazione dei tempi e degli spazi, anche virtuali, non deve far dimenticare il senso dell’esperienza educativa e l’importanza dell’ambiente di apprendimento come “contesto idoneo a promuovere apprendimenti significativi”. Tornano, in questo senso, utili i riferimenti delle Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012, che, seppur declinati in modo diverso, ricordano l’importanza di valorizzare l’esperienza e le conoscenze degli alunni, attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità, favorire l’esplorazione e la scoperta, incoraggiare l’apprendimento collaborativo, promuovere la consapevolezza del proprio modo di apprendere, realizzare attività didattiche in forma di laboratorio.

Ripensare il curricolo e gli insegnamenti

Poiché non è possibile in alcun ciclo scolastico attuare e seguire i curricoli messi a punto prima della chiusura delle scuole, è importante mettere a fuoco, discutendo collegialmente, i contenuti imprescindibili delle discipline e individuare i nodi interdisciplinari da affrontare, proporre e approfondire, soprattutto qualora il rientro a scuola dovesse rendersi difficoltoso anche per il prossimo anno scolastico. 

      I contenuti strumentali e funzionali delle singole discipline non vanno certamente esclusi, ma acquistano efficacia se non rappresentano un carico eccessivo e soprattutto se sono riorganizzati in nuclei essenziali irrinunciabili in quanto riferiti allo statuto epistemologico delle discipline e propedeutici ad apprendimenti successivi. La selezione dei nuclei portanti è anche una conseguenza della contrazione dei tempi di apprendimento. Bisogna recuperare il concetto che non si insegnano le discipline, ma si insegna con le discipline.

      Gli apprendimenti, comunque, sia a distanza che in presenza, risultano più efficaci se sono proposti in forma problematica, se si pongono interrogativi e problemi che richiedano agli alunni la ricerca delle informazioni necessarie ad avanzare ipotesi risolutive. Si tratta in fondo di fare maggiore ricorso a compiti di realtà (significativi, autentici) e alle esperienze, già avviate da molte istituzioni scolastiche, di flipped classroom. Occorre abbandonare, o perlomeno limitare, lo schema classico della lezione frontale. Nel nuovo contesto didattico sono preferibili testi brevi, schemi essenziali, esemplificazioni operative, semplici “istruzioni per l’uso”, anche se non sono da escludere, specie per gli alunni più grandi, eventuali lavori di ricerca, relazioni su compiti pratici, esperimenti, ecc., di respiro più ampio.

Non solo digitale

L’entusiasmo con cui ci si è affidati alle tecnologie per superare gli obblighi del reciproco isolamento non deve far dimenticare che si tratta di soluzioni praticabili per periodi limitati, anche per non ridurre tutta la vita dei più giovani, in particolare degli alunni della scuola primaria, al solo rapporto virtuale con uno schermo dal quale attendersi la soluzione di ogni problema. Inoltre, se nelle fasce d’età più alte si può presumere che gli studenti dispongano di attrezzature personali per collegarsi con gli insegnanti, man mano che si scende nei livelli inferiori di scolarità l’uso del pc/tablet e del collegamento internet rivela diverse criticità. L’intermediazione dei genitori diventa spesso indispensabile e si devono fare i conti con le loro disponibilità di tempo e con la presenza degli stessi strumenti informatici, che potrebbero servire agli adulti per il loro lavoro.

Nonostante ciò sia difficile, è opportuno, gravare il meno possibile su genitori, provati dalla prolungata coabitazione e da un futuro incerto, anche riguardo al lavoro. È auspicabile, specie con il protrarsi della necessità della didattica a distanza, che inizia a evidenziare disaffezione e stanchezza, proporre a bambine e bambini attività e compiti che possano svolgere il più possibile in autonomia, chiedendo alle famiglie di incoraggiarli verso una progressiva assunzione di iniziativa e responsabilità. La capacità degli alunni di organizzare il proprio lavoro in più o meno completa autonomia diventa, ora più che mai, una competenza fondamentale di cui tenere conto anche nel processo di valutazione. 

Peraltro, educazione a distanza non è sinonimo di esclusiva educazione digitale e, quindi, molte attività si possono svolgere utilizzando diversi linguaggi e materiali: letture, scritture, disegni, audio, video, ma anche compiti pratici, manipolazione di oggetti, costruzione di manufatti legati a temi di studio, problemi in forma di gioco, tenuta di diari autobiografici… In sintesi, anche nella didattica a distanza è opportuno valorizzare e potenziare l’apprendimento attivo, la problematizzazione, la riflessione, la contestualizzazione nell’esperienza. Gli appuntamenti di lezione in sincrono, potranno servire a presentare, discutere, approfondire quanto fatto a casa e per avviare altri lavori, nonché – cosa non trascurabile – per condividere con gli altri pensieri, vissuti, emozioni e sentimenti. 

Ciò rappresenta anche un importante banco di prova per il futuro, poiché questi, che sono a tutti gli effetti esempi di “classe rovesciata”, andrebbero portati nella normalità della didattica usuale, così come le forme miste di impiego delle tecnologie tradizionali e di quelle digitali.

La ripresa del nuovo anno, probabilmente, ci costringerà a pensare a forme miste di didattica in presenza e a distanza, ad organizzazioni di gruppi variabili che operano a scuola, a casa, nel territorio e l’esperienza di questi mesi potrà essere estremamente utile.

La promozione di attività che sviluppino autonomia e responsabilità, di concerto con i genitori, può riguardare anche una progressiva assunzione di compiti che riguardano la cura della propria persona, delle proprie cose, degli spazi domestici, la partecipazione – secondo l’età – all’organizzazione familiare, la presa in carico degli animali, l’aiuto ai fratelli minori o a vicini che abbaino particolari necessità. Sono tutte attività che, accompagnate dall’opportuna riflessione e condivisione, costruiscono competenze diverse e necessarie alla vita personale, sociale e alla cittadinanza e che nell’ordinario sono spesso sottovalutate e finanche sottratte all’esperienza dei bambini e dei giovani.

Relazione educativa e “narrazione” dell’emergenza

La didattica a distanza non può consistere nella prosecuzione on line della didattica in presenza, limitata alla costruzione di conoscenze e abilità connesse alle discipline di studio. In questo periodo emergenziale si tratta, innanzitutto, di mantenere la relazione educativa con una attenzione particolare alla cura del vissuto individuale, così come sarebbe necessario fare anche a scuola. 

Ciò è soprattutto necessario nella scuola dell’infanzia, dove le attività si realizzano attraverso il contatto diretto, la sperimentazione, l’esplorazione e il gioco. Con i bambini più piccoli la didattica a distanza risulta essere una contraddizione in termini, sostenibile solamente per un periodo di tempo limitato e nella misura in cui si realizza in forme di contatto indiretto, finalizzate a rassicurare, sostenere, incoraggiare.

Il mondo psicoaffettivo degli alunni richiede sempre l’attivazione di una “relazione calda” che si affidi, in modi diversi in relazione all’età, a narrazioni, interlocuzioni, scritture riflessive e diaristiche, tutte mirate ad aiutare gli allievi ad interpretare e attribuire significato a quanto sta accadendo in loro e intorno a loro. Sperimentare più linguaggi possibili per narrare e narrarsi, offrire riferimenti scientifici, storici e matematici, selezionando quei contenuti delle discipline che hanno maggiore “potere ermeneutico” anche sull’emergenza, è la grande scommessa culturale a cui la scuola non può sottrarsi. Si  tratta del più gigantesco “compito di realtà” che docenti e allievi si trovano a dover sperimentare. 

Una valutazione formativa 

In questa fase emergenziale la valutazione deve essere più che mai essenzialmente formativa,  proattiva e autovalutativa. È importante che la valutazione fornisca agli alunni informazioni sul loro processo di apprendimento, indichi gli aspetti da potenziare e le modalità per ottenere il miglioramento, motivi l’alunno ad apprendere attraverso l’apprezzamento dei progressi effettuati, anche se piccoli. Vanno incoraggiate l’autovalutazione e la condivisione dei criteri di valutazione.  Il senso del “valutare” interpella anche gli insegnanti e deve trasformarsi, a maggior ragione in questa situazione di forzata separazione, nel riconoscimento e nella restituzione agli allievi della qualità, del valore e del senso del lavoro svolto durante questo difficile percorso “scolastico”.

Il ruolo delle famiglie

I docenti si trovano nella condizione inedita di entrare per diverse ore nelle case dei propri allievi. E’ necessario farlo con discrezione e cautela, prestando la massima attenzione alle differenze e alle difficoltà che si stanno vivendo nelle famiglie. Del resto la presenza dei genitori (quando ci sono) diventa una variabile importantissima, da cui non si può prescindere e che impone nuove forme di corresponsabilità educativa e didattica.

Siamo in presenza di una radicale rimessa in discussione delle relazioni tra la scuola e le famiglie. Difficoltà e incomprensioni precedenti sembrano d’un tratto azzerarsi, di contro si manifestano nuovi  bisogni ed esigenze che aprono spazio a forme di comunicazione e collaborazione fino a poche settimane fa impensabili. I genitori sono chiamati in causa in un ruolo diverso, di supporto alla continuità della didattica, che li impegna a partecipare, come mai prima, alla complessità dei processi di apprendimento dei loro figli. Entrambi, famiglie e docenti, stanno cercando la strada per raccontarsi e per affrontare i limiti e le barriere personali, sociali e culturali che la quarantena può aver esposto. Da un lato emergono i disagi e le insicurezze del docente nell’uso di metodologie innovative meno consolidate, dall’altro il senso di inadeguatezza e frustrazione del genitore di fronte alle richieste della scuola, che vanno crescendo con il perdurare della sospensione delle lezioni e ancor più con la progressiva riapertura delle attività lavorative. È fondamentale ricercare il confronto e la mediazione per conquistare il giusto equilibrio che scongiuri l’insorgere di nuove o latenti forme di allontanamento.

Si apre dunque la possibilità di stabilire nuovi patti educativi per una collaborazione attiva tra insegnanti e genitori, fondati sull’ascolto e sulla fiducia reciproca. 

Evitare nuove forme di esclusione e disuguaglianza

Non vanno sottovalutate le condizioni particolari in cui si trovano molte famiglie, in particolare immigrate, a cui è bene che la scuola presti particolare attenzione perché i loro figli non rischino di restare emarginati. Ci sono, come già detto, le carenze, più a meno gravi, che stanno emergendo quotidianamente: pc e tablet inesistenti o vetusti, collegamenti assenti o incerti, competenze tecnologiche modeste o decisamente limitate (anche in tanti insegnanti). Va anche considerata la disponibilità degli spazi fisici per svolgere contemporaneamente (e con comodità) attività diverse o anche le difficoltà che le famiglie culturalmente povere incontrano nel supportare i propri figli. 

È necessario sostenere, per il presente e per il futuro, il lavoro educativo di un grande numero di insegnanti impegnati nel tentativo di raggiungere e coinvolgere tutti gli allievi in pratiche di didattica a distanza attraverso diverse forme di contatto, anche informali e personalizzate, di assistenza a problemi di vario genere anche attraverso indagini discrete sui bisogni strumentali (devices, connessioni ecc.), relazionali, psicologici. I docenti hanno sperimentato in questo periodo, con la massima duttilità e senza preclusioni a priori, l’uso di diverse piattaforme, lezioni a distanza, messaggi scritti o vocali, comunicazioni whatsapp o telefoniche, considerando l’età dei bambini e ragazzi coinvolti, gli strumenti tecnologici di cui dispongono (spesso in comune con altri familiari), le condizioni abitative e le connessioni disponibili. D’altra parte, scelte o imposizioni rigide avrebbero rischiato di aumentare difficoltà ed esclusioni che non possiamo in alcun modo rinunciare a contrastare. La medesima duttilità dovrà necessariamente essere impiegata anche per il futuro, poiché le ineguaglianze nelle opportunità non si potranno colmare in tempi brevi.

Una nuova comunità educante 

Nelle singole scuole, negli istituti comprensivi o nelle piccole reti va sostenuta e potenziata al massimo la costituzione – già avviata in questo periodo – di gruppi orizzontali di cooperazione tra insegnanti di “mutuo soccorso tecnologico”, per mettere a disposizione le competenze dei più esperti per costruire e ricalibrare ogni proposta per la didattica a distanza, ma anche per forme miste. Il ruolo del Dirigente Scolastico diviene fondamentale per promuovere e favorire la massima creatività pedagogica per scelte innovative che si possono alimentare con i suggerimenti e la partecipazione di tutte le componenti della comunità professionale ed educativa. Tutti dovranno essere coinvolti in questo processo di rinnovamento, comprese le strutture periferiche degli enti locali e delle associazioni che svolgono sostegno educativo extrascolastico nel territorio, specie in zone particolarmente a rischio, dove la collaborazione di tutta la comunità risulta determinante.

Ciò sarà particolarmente necessario con la ripresa nel prossimo anno scolastico, se si dovranno garantire condizioni di sicurezza che dovranno ridurre il numero di alunni presenti contemporaneamente negli edifici scolastici. 

Tuttavia, le virtuose collaborazioni avviate potranno svolgere anche la funzione di laboratorio per la messa a punto di didattiche che vedano la possibilità di fruire ordinariamente di tutti gli spazi che il territorio può offrire per lo sviluppo di apprendimenti significativi.

La valutazione finale nel primo ciclo

Mentre dall’analisi del presente possono scaturire buone prospettive per la riapertura delle scuole a settembre, è ancora possibile compiere qualche posso per chiudere bene questo anno scolastico caratterizzato dall’emergenza. Il ministero si accinge ad emanare, ai sensi del decreto legge 8 aprile 2020 n. 82,  l’ordinanza relativa agli scrutini ed esami nel primo ciclo di istruzione. In questo ordine di scuola esiste una collaudata tradizione pedagogica sul valore formativo della valutazione cui giustamente in questo periodo è stato dato rilievo attraverso il ricorso a strumenti poco formalizzati che vanno dall’ascolto attivo, al dialogo, alla verifica e al feed-back costruttivo, alla costruzione di un “sentimento di riuscita” e di consapevolezza. 

Questa delicatezza della valutazione è difficilmente rappresentata dall’espressione di voti numerici in decimi per ogni disciplina e quindi invita ad adottare, a maggior ragione nella straordinarietà della situazione di emergenza, una valutazione finale narrativa e descrittiva che dia valore alle conquiste e ai progressi negli apprendimenti effettuati dai bambini e dai ragazzi. Sarebbe quanto mai opportuno chiedere alle scuole un sobrio profilo che descriva, in termini pro-attivi, lo sviluppo degli apprendimenti e dei comportamenti (cognitivi, sociali, personali) da riportare nel documento di valutazione degli allievi, nell’apposito spazio già ora previsto per il giudizio globale, omettendo l’indicazione del voto finale sulle singole discipline.

L’esame di fine primo ciclo

Appare del tutto coerente con la situazione di emergenza richiedere agli allievi di fine primo ciclo la produzione di un elaborato (testo, ricerca, ipertesto, video, manufatto con istruzioni, produzione artistico-espressiva, ecc.) che presenti un tema di carattere pluridisciplinare, sviluppato attraverso l’apporto di diverse discipline e delle esperienze di apprendimento sviluppate anche a distanza (comma b, lettera 4 dell’art. 1 del decreto legge 22/2020). Lascia qualche perplessità la previsione del legislatore di eliminare, a differenza di quanto è stabilito per il secondo ciclo, un momento finale, di valore anche formativo e simbolico, in cui il candidato sostenga, sia pure in modalità telematica, un breve colloquio di fronte al consiglio di classe ed al dirigente scolastico. Senza appesantire le operazioni di fine anno scolastico, sia per gli allievi (e le loro famiglie), sia per i docenti, si suggerisce di mantenere una forma di incontro – a distanza o, se le condizioni lo permettessero, in presenza – del candidato con il proprio consiglio di classe per presentare il lavoro predisposto, dare conto del significato delle attività svolte anche a distanza,  consentire un saluto ed un dialogo sulle prospettive di impegno futuro dell’allievo. Questo breve colloquio avrebbe il significato di un impegno di responsabilità da assumere, anche in un periodo di emergenza, di fronte ai propri insegnanti, che oltretutto possono restituire valore al percorso formativo svolto.

Italo Fiorin, Maria Patrizia Bettini, Giancarlo Cerini, Sergio Cicatelli, Franca Da Re, Gisella Langè, Franco Lorenzoni, Elisabetta Nigris, Carlo Petracca, Franca Rossi, Maria Rosa Silvestro, Rosetta Zan. Collaborazione di Daniela Marrocchi