La Maturità ai tempi del Coronavirus

da Tuttoscuola

di Teresa Madeo

Qualcuno riflette “Mi auguro che qualsiasi decisione verrà presa non intacchi il percorso fatto nell’arco dei cinque anni fatti”. C’è poi chi riflette su quanto l’emergenza Coronavirus stia cambiando un momento storico nella vita di tanti studenti: “l’esame”, come dicono tutti, lo ricorderemo per sempre. Non era di sicuro questa l’idea di maturità”. La maturità è uno di quei momenti che rimangono nei ricordi di ognuno di noi, è unpunto d’arrivo, un traguardo, una foto che seppur ingiallita dal tempo è sempre bella da rivedere. Chi c’è già passato lo ricorda ancora: gli ultimi giorni di scuola di un giugno particolarmente caldo, la notte prima degli esami passata con i compagni di percorso a condividere la paura e la voglia di scoprire cosa sarebbe accaduto in futuro insieme a  tante altre domande.Insomma, l’ultimo anno della scuola superiore di secondo grado e la sua conclusione sono esperienze fondamentali. Quest’anno, però, i maturandi 2020 si trovano di fronte ad uno scenario che nessuno di noi ha mai provato, negazione probabile di una partita fondamentale della loro vita, per la quale si sono allenati in cinque anni di sacrifici. L’ “Esame” è  conclusione aspettata di un percorso già scritto, è un passo fondamentale per poter intraprendere la strada del loro futuro, per imparare ad affrontare le sfide del mondo degli adulti. Inoltre, chi crede nella scuola meritocratica e nella vera verifica delle competenze, esso risulta la forma più chiara e auspicabile: con le giuste precauzioni, col social distancing e dispositivi di protezione individuale, la maturità può essere svolta di persona e in presenza. Credo che gli studenti abbiano una grande voglia di giocare la partita della maturità, si fidano dei loro insegnanti che li hanno accompagnati in questi anni e anche in questo periodo difficile di didattica a distanza. I maturandi chiedono non di “averla vinta a tavolino”uscendone tutti uguali, ma di mettere in campo il loro coraggio e affrontare con responsabilità e a viso aperto questa tappa della loro vita.

Ecco perché occorre ridare pieno valore a questo momento “esistenziale”, passando dalla considerazione dal valore solo legale, cioè formale e amministrativo, dei titoli di studio a quella del loro valore certificante competenze personali da dimostrare nella soluzione dei problemi anche inediti che ciascuno incontra nel corso del proprio percorso di crescita, nell’elaborazione di progetti che riguardano il futuro proprio e che non possono prescindere da quelli degli altri nell’ottica del confronto, nell’esecuzione a regola d’arte di compiti che abbiano significato per sé, ma anche per il contesto micro, meso e macro che li richiede. Se si trascurerà la presa in carico di questo “passaggio” sicuramente tutto quello che si investe nella scuola non potrà sortire gli effetti da tutti auspicati.

I ricordi che non si cancellano

Una prof. che si immedesima nei maturandi

di Marta Galietta*

Ci sono esperienze che ci caratterizzano fortemente, perché, a seconda di come le viviamo, influiscono sull’approccio a situazioni di pari o maggiore complessità. Il passaggio dall’infanzia all’età adulta attraverso il rito di passaggio biologico dell’adolescenza, il diciottesimo anno che a livello anagrafico stabilisce la responsabilità civile dell’individuo, la ratificazione della fine di un ciclo scolastico che attesta e certifica competenze necessarie per il prosieguo, orientato agli studi e/o al lavoro, sono tutte attribuzioni di responsabilità per precise fasce anagrafiche, a cui corrispondono precisi doveri, quindi gradi di maturità. Questi “stadi” ci mettono di fronte al nostro divenire, oggettivando a noi stessi progressivamente limiti e potenzialità delle nostre conquiste quotidiane, sottoponendoci inoltre al giudizio, alla dimostrazione di chi siamo e di cosa stiamo costruendo sulla nostra pelle.

A partire da questi primi banchi di prova, in maniera analoga o completamente altra, questi momenti forti restano impressi come dei veri e propri riferimenti che ci accompagnano per tutta la vita o almeno per buona parte di essa. Io stessa ricordo che, almeno fino alla metà del mio percorso di formazione universitaria, ogni “notte prima dell’esame” sognavo di dover sostenere di nuovo il mio “Esame di maturità”, sentendo in me quella stessa concitazione, quella stessa carica, quegli stessi timori. Si può dire che oggi, in una società che dichiara un “problema di maturità” derivante da una crisi per molti versi gerarchica, l’esame di Stato (fino a qualche anno fa Esame di maturità) «affrontato collettivamente e contemporaneamente da centinaia di migliaia di ragazzi in tutto il Paese», resti l’unico importante rito di passaggio alla vita matura del giovane; rito ancora vivente perché ancora funzionante la gerarchia (intesa in termini di autorevolezza e di guida) docente\discente nell’ambito dell’istruzione pubblica. I riti di passaggio richiedono una struttura solida, definita e poco negoziabile»: fondati su pubblici ed evidenti “punti cardinali”, «hanno il compito di rappresentarli e ribadirli». Il rito è strutturato su limiti, su soglie, che rendono evidenti il passaggio tra il prima e dopo, a livello temporale ma, soprattutto, in termini di consapevolezza. Allora, come affermerebbe M. Aime, che ho citato nei punti virgolettati (M. Aime, La fatica di diventare grande. La scomparsa dei riti di passaggio, in M. Aime, G. PietropolliCharmet, Einaudi, Torino, 2014), il problema della maturità è un problema di margine e la crisi del margine, del punto di passaggio, è anzitutto gerarchica.

In questo “caos antropologico”, con tutte le conseguenti ricadute sociali che non è il caso di approfondire in questa sede, la Scuola ancora una volta può stabilirsi come “soglia”, affermandosi nella sua stessa prima vocazione pedagogica e collettiva. Se davvero quest’anno l’Esame dovesse subire anche la decurtazione di un momento di presenza emblematico, quando, varcata la soglia di quell’Istituto con il quale si perde, da quel punto in poi la quotidianità, decretando la “sospensione della regola e della linea di sviluppo costante” del quinquennio, l’accoglienza della commissione non segnerà più la fine di un percorso, non si permetterà ai nostri alunni qualcosa di molto significativosia a livello umano che sociale, perché quel “rito”  evidenzia e “drammatizza” l’importanza del momento, ma allo stesso tempo attenua l’angoscia del nuovo, della sospensione, della trasformazione. Il fatto che poi tutto questo avvenga a livello nazionale negli stessi giorni per tutti i maturandi, permette che i soggetti non si sentano soli, ma che, al contrario si sentano parte della società. Lo sbigottimento, il senso di solitudine, la perdita di certezze, la paura, atteggiamenti tipici dell’adolescente e già implementati esponenzialmente dall’emergenza sanitaria, potrebbero avere, privati i nostri alunni anche di un’ancora così ferma(con tutte le aspettative e i timori che portava con sé) ricadute ancor più pesanti, una sorta di “danno permanente”.

“Prepararlo alla vita futura significa dargli la padronanza di se stesso” (J. Dewey)

*Prof.ssa IISS Calamandrei  Sesto Fiorentino FI–Teresa Madeo, Prof.ssa IIS Cellini FI, Docente utilizzata su Progetti Nazionali presso USR Toscana