Babbuini videodipendenti o macachi replicanti?

Per ridimensionare l’enfasi tecnologica 
Babbuini videodipendenti o macachi replicanti?

di Luigi Manfrecola

Volendo argomentare intorno al quesito evidenziato, ci sarebbe unicamente da scegliere fra  Postman e Rizzolatti, passando per Piaget, per Popper, per Bandura, per Goleman e via elencando… Insomma, occorrono precisazioni ulteriori, giusto per arricchire il discorso, onde evitare accuse di approssimazione.

E mi taccio su precedenti riferimenti pedagogici, critici e dello stesso segno, che hanno trovato posto in  una mia precedente nota. Si tratta di saper distinguere un itinerario veramente formativo dall’acquisizione nozionistica o dall’impostazione intellettualistica. La questione riposa sulla differenza d’uso dei codici adoperati, mettendo a PARAGONE il LINGUAGGIO PREVALENTEMENTE ICONICO E FRAMMENTATO DEL CODICE VISIVO CONTRO il fin qui prevalente impiego del TRADIZIONALE CODICE VERBALE.

Ma non solo … Ad evitare equivoci di fondo, è il caso di ripetere qui che la didattica a distanza può avere una SUA VALIDITÀ SOLTANTO COME STRATEGIA “COMPLEMENTARE”, e di taglio prevalentemente informativo, rispetto alla DIDATTICA D’AULA CHE OFFRE INDUBBIAMENTE PIÙ COMPLETO SPAZIO ALLE DINAMICHE PSICOLOGICHE E RELAZIONALI MESSE IN CAMPO – in situazioni normali – da docenti e compagni che assumono preziose funzioni di guida, di supporto e di sostegno.

E ciò, perfino volendo tralasciare le acute osservazioni svolte in merito a tale questione dallo psico-teraputa Gino Aldi in un recente suo articolo nel quale ha ben analizzato la situazione generatasi nel corso dell’emergenza Covid.

Indubbiamente la permanenza in casa dei ragazzi, affidati all’accudienza premurosa dei genitori, spesso troppo presenti ed attivi, in sostegno ai figlioli impegnati nelle faccenduole scolastiche, non può che avere un effetto ansiogeno che danneggia fortemente la loro autostima e ne ostacola la piena maturazione. E va condivisa senz’altro anche la considerazione che l’istruzione, così veicolata, ha ben poco a che vedere con L’EDUCAZIONE integrale che, ben diversamente, pretende l’ancoraggio a figure di riferimento, a situazioni dinamiche in cui abbiano a svilupparsi L’EMPATIA ed il senso stesso di socialità.

A proposito di EMPATIA, va subito detto che le neuroscienze hanno recentemente focalizzato la  sede fisica in cui risiedono i processi che ne sono alla base : I NEURONI-SPECCHIO dei quali dirò diffusamente più avanti. Il che NON contraddice, peraltro, la tesi del GOLEMAN che giustamente assegna un ruolo prioritario ai fattori emotivi nei processi dell’apprendimento, presieduti e rafforzati istintualmente dalle funzioni dell’amigdala.

Ma a questo punto, è forse il caso di procedere con un certo ordine che dia conto del titolo posto in evidenza dal presente articolo. I BABBUINI sono quelli cui accennava il canadese NEIL  POSTMAN in un certo piacevolissimo e fortunato testo edito negli anni ’80 (Ecologia dei Media – Ed. Armando). L’autore si riferiva, con analisi lucidissima, alle vere e proprie mutazioni che andavano geneticamente subendo gli adolescenti, passivamente sottoposti alla DANNOSA INFLUENZA DEI MEDIA e principalmente dei mezzi televisivi. Aveva osservato che i giovani andavano manifestando una graduale preminenza dell’emisfero destro del cervello, deputata alle funzioni del linguaggio creativo, iconico e musicale, a tutto danno dell’emisfero cerebrale sinistro che è sede delle funzioni linguistiche ed analitiche. Alla cultura platonica, fondata sulla parola scritta, s’era così sostituita una cosiddetta “cultura socratica” legata al linguaggio verbale, certamente più approssimativo e privo della medesima  architettura consequenziale e deduttiva.

Insomma, il declino dei poteri logici aveva indotto un impoverimento del linguaggio stesso, ridotto ormai ai soli fini immediatamente comunicativi, con prevalenza di formulazioni sintetiche ed approssimative. Si pensi a quello che il BERNSTEIN ha definito a sua volta linguaggio “cosale”, o ai milioni di sms e di formulazioni contratte che contraddistinguono le attuali espressioni giovanili. Un tale processo inesorabile aveva altresì proposto alla gioventù americana dei modelli comportamentali discutibili e consumistici, tratti dai “serial televisivi” con dichiarata funzione plagiante. Si erano trascinati inesorabilmente gli spettatori verso modelli comportamentali omologanti, con funzione di vere e proprie “PARABOLE” televisive.

E non credo che oggi questo concetto non possa e non debba dolorosamente applicarsi anche ai nostri giovani. Questo era avvenuto anche e soprattutto per le caratteristiche tipiche del LINGUAGGIO ICONICO, particolarmente efficace sul piano immedesimativo per la suggestione esercitata dal mezzo filmico.

Postman concludeva la sua analisi parlando dunque di un “babbuino dei tempi moderni”, incapace di fare uso dei poteri critici e vittima di una iconosfera incontrollabile. Ed è un fatto indiscutibile che le caratteristiche del linguaggio iconico sono date dall’intuizione “sincretica” (Decroly) su cui esso poggia e su una COMUNICAZIONE EMOZIONALE, INTUITIVA, IRRIFLESSIVA.

Come sosteneva lo stesso PIAGET, abbiamo sostituito al “verbalismo” smodato della parola, abusato nelle scuole tradizionali, un diverso e più dannoso “verbalismo delle immagini”. Ma senza nemmeno chiamare in causa il parere di POPPER (Cattiva maestra televisione), va qui detto che non a caso anche il nostro FRABBONI ha spesso parlato di “prigionia degli alfabeti elettronici” accennando alla presenza ossessiva delle moderne tecnologie. Si potrebbe obiettare che il loro uso non vieta affatto, ma viceversa agevola i processi di ricerca, acquisizione e comprensione delle informazioni poiché una ricerca al computer pone a disposizione dell’utilizzatore una molteplicità di dati e di parallele indicazioni verbali. Si dimentica però, in questo modo, che l’apprendimento e la comprensione dei messaggi vengono agevolati dalla parallela e ben più seduttiva compresenza del linguaggio iconico, offrendo a quello verbale, una sola e semplice funzione ausiliaria. Finisce, insomma, per prevalere quella percezione “sincretica” (DECROLY) che avrebbe sempre bisogno di essere seguita da un processo di decodifica concettuale, di  analisi e di SINTESI  (BLOOM – cosa ben diversa dalla semplice rappresentazione globale) per riuscire a generare autentiche e padroneggiate mappe mentali. Qualsiasi vera educazione intellettuale presuppone, insomma, l’esercizio del pensiero ipotetico-deduttivo, di quel pensiero logico-formale che trova solo nel linguaggio verbale il suo codice elettivo. Viceversa, l’uso dei “pluricodici”, pur valido sul piano didattico, non affina né i poteri logici, induttivi e deduttivi né le capacità critiche.

Ma è ora il caso di analizzare l’apporto dei più recenti studi di NEUROFISIOLOGIA per evidenziare ulteriormente i guasti ricavabili dall’esposizione massiccia ai mass-media ed alle tecnologie che ne fanno ampio uso.

Per circa un secolo si è dibattuta la questione dei meccanismi dell’apprendimento fra le due opposte scuole psicologiche dei COMPORTAMENTISTI e dei COGNITIVISTI. I primi assegnavano prevalenza all’apprendimento conseguito meccanicamente per via di condizionamenti di segno positivo o negativo (ricompense o fallimenti) secondo la legge dell’esercizio e della ripetitività. I secondi insistevano sulla tipicità di ciascun individuo, capace di filtrare gli stimoli per offrire risposte individuali e personali ai condizionamenti su di loro tentati o subiti. Fra questi ultimi: tutti i più noti pedagogisti sostenitori dell’originalità individuale (da Dewey a Bruner, e fino a Piaget, Gardner ed ai funzionalisti di varia scuola). Non erano mancati, come dicevo, studiosi che avevano esplorato le dinamiche meccaniche a base dello sviluppo, in forma consapevole o inconsapevole (psicanalisti di varia scuola – Freud in primis o, diversamente, Autori che avevano segnalato la prevalenza di fattori inconsci ed emozionali).

Ebbene, in questi ultimi anni, sembra aver riguadagnato spazio la prima delle due scuole – quella dei comportamentisti – che insiste sui PROCESSI IMITATIVI posti a base dell’apprendimento: a mezza strada fra Bandura (modellizzazione sociale), Lowen  (bioenergetica) e Rizzolatti (neuroni -specchio).

Se questo è vero, come sembra che sia, il rischio paventato da POSTMAN di alimentare una generazione facilmente manipolabile si fa ancora più concreto. Fatto sta che siamo già un passo più avanti rispetto alle tematiche Pavloviane e Skinneriane del condizionamento meccanicamente operante. Alla luce di quelle tesi era possibile generare nelle cavie dei comportamenti indotti in via artificiale, inducendole a ripeterli (un po’ come nel “learning by doing” deweyano).  Ora sembra essersi scoperto che anche il SOLO VEDERE QUALCUNO COMPIERE UN’AZIONE, attiva nell’osservatore dei circuiti neurali di apprendimento che possono provocarne la ripetitività; e ciò senza il necessario rinforzo della ripetizione dell’azione stessa!

E’ una scoperta che sembra, sia pure da lontano, legarsi alle intuizioni del Piaget che per l’apprendimento del “linguaggio” assegnava importanza “all’imitazione differita” del linguaggio materno, da parte del neonato.

Ebbene, i soggetti sottoposti a sperimentazione nel laboratorio di Rizzolatti a Pavia, sono stati dei MACACHI nei quali si è spontaneamente attivato un certo numero di neuroni in presenza di uno stimolo esterno, anche solo visivo, così dimostrando che BASTA OSSERVARE PER ACQUISIRE UNO SCHEMA COMPORTAMENTALE. Si viene a confermare dunque la correttezza delle conclusioni di Postman di cui si parlava all’inizio, e l’esito plagiante dell’esposizione quotidiana ai media. Cosa che andrebbe ripetuta anche allo pseudo-cronista Saviano, al quale mi sono già rivolto in altra occasione per addebitargli la responsabilità d’essere divenuto il principale allevatore di camorristi.

Ciò premesso, è il caso di parlare più diffusamente del nostro Rizzolatti.

Da quando i neuroni-specchio sono stati scoperti, un grande e giustificato clamore s’è levato sulla loro importanza. In particolare, vi sono state molte ricerche sulla loro evoluzione e sui loro rapporti con l’evoluzione del linguaggio, proprio perché nell’uomo i neuroni-specchio sono stati localizzati vicino all’area di Broca.

Per intendere meglio la portata della scoperta lasciamo la parola a Rizzolatti specificamente interpellato nel corso di un’intervista:

Circa 20 anni fa abbiamo scoperto dei neuroni motori, che si attivavano non solo quando la scimmia agiva, ma anche quando vedeva lo sperimentatore fare un’azione simile. La sorpresa era questa: i neuroni motori sono motori, quelli visivi sono visivi. Questi invece erano sia motori che visivi e soprattutto rispondevano selettivamente allo scopo dell’azione. In un esperimento, ad esempio, la scimmia afferrava un oggetto con la mano, ma il suo neurone-specchio sparava anche se lo sperimentatore lo afferrava con la bocca: capiva ‘afferrare’. Trasformava una rappresentazione sensoriale (vedere) in una motoria”.


Il primo animale in cui i neuroni-specchio furono individuati e studiati, come detto, è dunque il MACACO. In questa scimmia i neuroni-specchio sono stati localizzati nella circonvoluzione frontale inferiore (chiamata regione F5) e nel lobo parietale inferiore. Gli esperimenti hanno provato che i neuroni-specchio fanno da mediatori per la comprensione del comportamento altrui. 

La differenza sostanziale è, come osservato dal dottore nel corso dell’intervista, che il sistema umano dei neuroni-specchio codifica atti motori sia transitivi che intransitivi. Nell’uomo, infatti, non è necessaria un’effettiva interazione con gli oggetti: i suoi neuroni-specchio si attivano anche quando l’azione è semplicemente mimata. Anche se il loro ruolo primario rimane quello di comprendere le azioni altrui, il contesto umano è più complesso (registrazioni delle scariche neuronali tramite micro-elettrodi ) hanno mostrato la presenza del sistema specchio nell’uomo in sede parietale e frontale. E’ dunque evidente che i neuroni-specchio sembrano avere un ruolo anche nelle interazioni sociali, aiutandoci a capire scopi ed emozioni dell’altra persona.

Insomma VEDERE, EMOZIONARSI, REPLICARE certi comportamenti è un modo naturale di apprendere nel quale la componente imitativa ha addirittura un ruolo fisiologico difficilmente controllabile, come è ben noto ai persuasori occulti ed a chi fa uso intenzionale dei rapidissimi linguaggi subliminali.

Ce n’è abbastanza per far recuperare ai nostri ragazzi l’attitudine alla lettura, alla decodifica del messaggio scritto ed alla sua consapevole rielaborazione critica, ridimensionando il feticismo tecnologico. In tale ottica, la ricerca “vera” dell’alunno va stimolata saggiamente dal docente secondo metodologie del problem-solving ben mirate, ed in vista di una interdisciplinarità che nulla ha nulla a che vedere con la multidisciplinarità enciclopedica degli approcci, favoriti e incentivati dal lavoro al computer.