Dall’emergenza può emergere un nuovo sentimento educativo

da Il Sole 24 Ore 

di Monica Guerra *

Che la scuola debba ripartire, da quella per i più piccoli a quella per i più grandi, è una certezza, un sentire diffuso, il desiderio di tutti. Questa è la premessa per ogni ragionamento. Se fino a qualche settimana fa dei bambini e dei ragazzi si è parlato poco, oggi, anche grazie alle richieste portate da genitori, famiglie, educatori e insegnanti, il loro futuro, a cominciare da quello prossimo, è nei pensieri di molti, e finalmente appare esplicitamente anche nelle agende politiche. Non è abbastanza, ma non è neppure una premessa da poco, perché è il segnale di un possibile cambiamento di paradigma, il richiamo alla messa al centro di una priorità che nel nostro Paese non è sempre scontata. Dall’emergenza, dunque, può emergere un nuovo sentimento educativo, che va innanzitutto assunto e poi maneggiato con cura.

La cura, è ovvio, deve essere in primo luogo quella a garantire la sicurezza di tutti i bambini e i ragazzi, ma anche di tutti gli educatori, gli insegnanti, i collaboratori e le famiglie che saranno coinvolti in qualunque progetto di riapertura che verrà. Ma la cura deve essere rivolta anche al tipo di esperienze che si ipotizzano per la ripresa, perché possano avere un senso educativo e didattico. Per questo è importante considerare tutti i bisogni, sia quelli economici e sociali del Paese, sia quelli di lavoro e benessere delle famiglie, sia quelli prioritari di bambini e ragazzi: solo così l’educazione e la scuola possono riemergere con più incisività come motore formativo e culturale per il sistema Paese.

Ciò, oggi, significa innanzitutto riconoscere dove risiede il portato educativo più profondo dell’educazione e della scuola, una volta che vengono tolti spazi, materiali, tempi e forme più consueti, e provare a declinarlo in questo contesto completamente nuovo.

Contemporaneamente, occorre prestare attenzione a ciò che viene messo in campo, perché educare è anche offrire a bambini e ragazzi modi di interpretare il mondo: per questo bilanciare ogni bisogno sarà così importante, perché ciò che offriremo resterà nella loro memoria imprimendo un’idea di “altro” e di società che si conserveranno nel tempo. Ed è chiaro che non potranno essere idee timorose, che crescano individui diffidenti l’uno dell’altro.

Così, mentre ci chiediamo quando e come aprire, dovremo continuare a chiederci perché lo vogliamo e fare in modo che le risposte siano buone anche e innanzitutto per quei bambini e quei ragazzi, per aprire con cognizione e non a qualunque condizione.
Ogni progettualità, in questo senso, dovrà tenere conto di tutte le variabili in campo e, dopo averle considerate tutte, occorrerà fare un passo in più, perché progettare è anche lanciare in là lo sguardo, certo tenendo conto di risorse e vincoli, ma poi immaginando soluzioni possibili, coerenti, inedite e, non da ultimo, motivo di crescita per le persone che le abiteranno.

L’urgenza educativa di questo momento richiede competenze trasversali, dialoghi interdisciplinari, l’ascolto di tutti, l’esercizio più alto dell’autonomia. E insieme richiede un’attenzione altissima a preservare ciò che di educativo deve abitare i servizi per l’infanzia e le scuole, perché il rischio di riportare indietro il loro ruolo a un sistema di mera custodia per i primi o di mera somministrazione e verifica delle conoscenze per le seconde è in agguato. Per questo ora occorrono insieme pesi e misure, ma anche visione e creatività, innanzitutto pedagogica, per immaginare soluzioni percorribili e insieme straordinarie.

Occorrono criteri che orientino, e insieme occorre pensare in modo divergente, allargare lo sguardo e contemplare altri modi. Se oggi pensiamo di riaprire i servizi educativi e le scuole solo rivedendone i modelli organizzativi, il numero di persone in presenza o gli strumenti di distanziamento, dimenticando il portato educativo implicito in essi, faremo fatica a offrire opportunità di senso e a prospettare soluzioni diverse per questo tempo nuovo.

La scuola come la conosciamo, almeno per ora, non può riaprire, né quella dei più piccoli, né quella dei più grandi. Ma può cominciare ad aprire in altri modi, iniziando col rivedere ciò che non funzionava già prima e ora mostra tutti i suoi limiti e poi impegnandosi nella progettazione e nella sperimentazione, accorte, sostenibili e consapevoli, di proposte diverse, non solo in termini di turni e distanze. Del resto è quello che l’educazione, nelle sue migliori versioni, fa da sempre: ripensarsi di continuo per evolvere con i contesti in cui si esplica.

In questo c’è una straordinaria occasione di rileggere localmente le esperienze in campo, di dialogare nei territori con tutti gli interlocutori di un’educazione e di un’istruzione che sono da tempo formali ma anche informali e diffuse, di aprire le porte e provare a portare i servizi educativi e le scuole un po’ più fuori da dove sono collocati tradizionalmente, di ridurre le dimensioni dei gruppi e favorire nuove possibilità di ascolto reciproco. Per fare ciò abbiamo bisogno di pensare ogni intervento in chiave contestuale e sperimentale, prestando attenzione a come le proposte evolveranno, a cosa funzionerà e a cosa no, accettando a priori – come dovrebbe sempre essere – che strada facendo occorrerà aggiustare il tiro e talvolta anche cambiare proprio direzione, e offrendo un accompagnamento costante e mirato a tutti gli educatori, insegnanti, operatori, coordinatori e dirigenti che scenderanno in campo per provare a far ripartire il nostro sistema educativo e scolastico, perché lasciarli di nuovo soli è impensabile.

Ma abbiamo bisogno di pensarlo subito, adesso, per poter essere pronti appena possibile nel modo migliore e per non perdere l’occasione di fare del nostro meglio già ora. L’educazione non si è mai fermata, eppure deve ancora ripartire e per questo, una volta di più, o forse una volta per tutte, occorre metterla in cima ad ogni agenda e farne una priorità, di pensieri e di investimenti.

  • docente di Pedagogia generale e sociale dell’Università di Milano-Bicocca