Ma per gli esami in presenza ora servirà un altro decreto

da ItaliaOggi

di Carlo Forte

Il governo ha prorogato la sospensione delle attività didattiche e delle riunioni degli organi collegiali in presenza fino al 14 giugno prossimo con un decreto del presidente del consiglio dei ministri emanato il 17 maggio scorso. Fumata nera, invece, per la questione degli esami di maturità in presenza: l’esecutivo non ha ancora deciso in via definitiva (anche se l’intenzione è questa) e bisognerà attendere un successivo decreto del governo o di altra autorità. Con il quale il governo (o altra autorità) dovrà anche recepire il protocollo di sicurezza che sarà firmato, secondo indiscrezioni, oggi. Sulla questione il ministero ha già acquisito un sostanziale via libera dal Consiglio superiore della pubblica istruzione, a patto che il protocollo venga sottoscritto ed attuato.

Il 13 maggio scorso il parlamentino dell’istruzione, all’esito della seduta n. 36, aveva affermato di ritenere «indispensabile l’emanazione urgente di un protocollo di sicurezza nazionale stringente, dettagliato e prescrittivo a garanzia della salute di tutto il personale coinvolto nell’esame di Stato e degli alunni». E in assenza di tale protocollo o nell’impossibilità di poterne applicare le prescrizioni, aveva messo in guardia il governo sulla necessità «di prevedere con immediatezza la realizzazione a distanza di tutte le operazioni d’esame».

Il decreto del presidente del consiglio 17 maggio 2020, che dà attuazione alle disposizioni contenute nel decreto-legge 33/2020, è stato firmato da Giuseppe Conte a poche ore dalla scadenza del precedente decreto. E non si applica agli esami di stato conclusivi del II ciclo, perché il termine di vigenza del nuovo Dpcm non copre anche il periodo degli esami. La questione, quindi, resta aperta. E non è detto che la patata bollente non venga ceduta dal governo direttamente alle regioni.

Resta il fatto che, per disporre lo svolgimento dell’esame in presenza, l’articolo 1, comma 3, del decreto-legge 22/2020 prevede che si verifichino due condizioni. La prima è che « l’attività didattica delle istituzioni del sistema nazionale di istruzione riprenda in presenza entro il 18 maggio 2020». E non si è verificata. La seconda, che avrebbe dovuto verificarsi congiuntamente alla prima, è che «sia consentito lo svolgimento di esami in presenza». Solo in presenza di tali condizioni il ministro dell’istruzione ha titolo ad emanare ordinanze per consentire lo svolgimento dell’esame in presenza. L’ordinanza sugli esami di stato, peraltro, è stata già emanata il 16 maggio scorso (n.10). E all’articolo 26 prevede che gli esami possano svolgersi in modalità telematica «nel solo caso in cui le condizioni epidemiologiche e le disposizioni delle autorità competenti lo richiedano». In buona sostanza, dunque, la decisione finale spetta al governo e, non solo non è stata ancora presa, ma non sarà formalizzata prima dell’emanazione di un ulteriore decreto del presidente del consiglio dei ministri.

E se verrà data la possibilità alle singole regioni di regolare autonomamente la materia della sospensione delle attività in presenza in riferimento alla situazione locale, gli scenari potrebbero cambiare da regione a regione. In quest’ultimo caso, infatti, l’autorità competente non sarebbe più il governo ma la regione. E dunque, a seconda del livello di allarme o dell’orientamento politico a livello locale, in alcune regioni gli esami si potrebbero fare in presenza e in altre no. Peraltro, gli esami a distanza, che si stanno svolgendo regolarmente in tutti gli atenei, consentirebbero all’erario un risparmio di 39, 23 milioni in euro: la somma stanziata nel decreto rilancio per provvedere alle spese di sanificazione delle aule e alla dotazione di dispositivi di protezione individuale per il personale.

Quanto alla didattica a distanza e alle riunioni degli organi collegiali, tutto resta come prima. Nel Dpcm del 17 maggio, infatti, è stata confermata la disposizione che assegna ai dirigenti scolastici l’onere di organizzare la didattica a distanza. Fermo restando che questa norma va letta in combinato disposto con l’articolo 2, comma 3, del decreto-legge 22/2020, il quale pone l’onere della prestazione in capo ai docenti. Lo stesso comma 3, peraltro, fa riferimento al contratto di lavoro per le disposizioni di dettaglio.

Ma nel contratto non vi è alcuna menzione del telelavoro per i docenti. Insomma, il legislatore ha corretto il tiro, ma ancora non ha centrato il bersaglio. Il decreto-legge 22/2020, peraltro, non è ancora stato convertito in legge e, in assenza di tale adempimento, cesserà di dispiegare effetti l’8 giugno prossimo. Per quanto riguarda le riunioni degli organi collegiali, fermo restando il divieto di svolgerle in presenza, previsto dall’articolo 1, comma 1, lettera q) del Dpcm, resta confermata la possibilità di svolgere le riunioni in videoconferenza fino al 31 luglio prossimo. Tale possibilità è espressamente prevista, infatti, dall’art. 73, comma 2 bis, del decreto-legge 18/20, convertito con la legge 27/20.