Scuola, didattica a distanza: “Le lezioni sono uno strazio, la dispersione arriva all’8%”

da la Repubblica

Elena Dusi

Tempi duri, se il coronavirus imporrà anche a settembre la scuola a distanza. Un’inchiesta dell’università di Bordeaux su 31 mila famiglie francesi boccia l’insegnamento via computer. “Funestato dai problemi di connessione, che rendono le lezioni uno strazio. Dall’alta dispersione scolastica, che arriva all’8%. E dalle disparità fra le famiglie di classe sociale umile e quelle colte e agiate. Le lezioni via computer amplificano quelle disparità che la scuola avrebbe il compito di appianare”. Filippo Pirone, professore di sociologia dell’educazione all’università di Bordeaux, originario di Bergamo ma adottato dalla Francia fin dai tempi dell’Erasmus, è il coordinatore della ricerca insieme al collega Romain Delès.

Di cosa si occupa la vostra inchiesta?
“Abbiamo chiesto ai genitori dalle materne al liceo, di scuole sia pubbliche che private, di raccontarci come trovano l’insegnamento via computer. Ai nostri questionari hanno risposto 31 mila famiglie. Un campione notevole. In 120 domande abbiamo indagato prima sulla condizione sociale e sulle abitudini culturali, poi abbiamo chiesto di giudicare l’insegnamento via computer”.

 

Cosa avete trovato?
“Che le famiglie popolari dedicano più tempo alle lezioni online. I genitori seguono i figli nei compiti. Gli stanno addosso perché completino i loro esercizi. Ma è un’attenzione molto formale. Nelle famiglie più agiate, dove ci si rende conto dei limiti di questo insegnamento, c’è un maggior acquisto di risorse aggiuntive. In Francia da molto tempo si registra un boom del tutoraggio online. Si tratta di corsi di sostegno in cui insegnanti privati seguono i ragazzi a tu per tu”.

L’argomento scuola la interessa anche direttamente?
“Ho due figli, all’asilo e in quarta elementare. Devo dire che è dura seguirli perfino per me che sono un professore di scienze dell’educazione. Gli insegnanti che hanno risposto al questionario se la cavano meglio della media, nel seguire i propri figli. Ma anche loro mostrano delle difficoltà”.

Quali sono i problemi?
“La connessione internet e la disponibilità di computer. L’11,4% delle famiglie popolari ha problemi di rete, contro il 7,9% di quelle agiate. Il 24% delle prime non ha apparecchi elettronici adeguati, contro il 17% delle seconde. Il 45% delle classi superiori ha le competenze tecniche per gestire i collegamenti, contro il 31% di quelle inferiori. Nel complesso l’esperienza delle lezioni online viene giudicata sgradevole. Le scuole sono state poco d’aiuto, sia per gli alunni che per gli stessi insegnanti. In molti si sono dovuti organizzare da soli per reperire le risorse informatiche”.

Anche lo stress del confinamento non avrà aiutato l’apprendimento.
“Anche qui ci sono disparità. Durante il confinamento i ragazzi delle classi più basse dichiarano di annoiarsi in percentuali più alte. Mentre prima della pandemia la qualità dei rapporti fra genitori e figli era equivalente, fra i vari ceti, con il confinamento la situazione è cambiata. Il 32% delle famiglie popolari ammette di incontrare difficoltà nelle relazioni con i figli, mentre per le famiglie agiate la percentuale è del 24%. C’è sicuramente un problema di condivisione degli spazi e degli apparecchi elettronici, la preoccupazione per il denaro, e un senso di frustrazione per non poter aiutare i figli come si vorrebbe.

Per poter trasmettere conoscenze in modo efficace, poi, genitori e bambini devono riuscire ad astrarsi dal loro rapporto d’affetto, cercando di riprodurre quella sorta di contratto sociale che si instaura in classe fra maestri e allievi. Non è un compito banale. Questa situazione ci rivela quanto sia difficile e delicato il lavoro degli insegnanti. Anche loro si stanno rivelando eroi moderni, in questa pandemia”.

Ma il fatto che i genitori più poveri dedichino più tempo ai loro ragazzi non è un segnale positivo?
“Bisogna considerare che si tratta delle famiglie più colpite, dal punto di vista economico. Spesso non svolgono mestieri che possono essere fatti a casa, così molte di esse si sono ritrovate in cassa integrazione, anche solo parziale. Ogni giorno, alle lezioni i genitori di estrazione modesta dedicano 3 ore e 17 minuti al giorno, dieci minuti in più rispetto a quelli di estrazione superiore. Non si può dire quindi che abbandonino i figli, né che il loro capitale di fiducia nei confronti della scuola si sia eroso. Per le classi popolari, l’insegnamento pubblico resta, nonostante i punti deboli, l’unica opportunità di acculturazione dei figli. Ma abbiamo l’impressione che il loro sia un accompagnamento solo formale nell’esecuzione dei compiti, e che i ragazzi soffrano di un deficit di autonomia nello studio. Per esempio, le differenze fra le classi sociali sono molto nette per domande come “sto seduto accanto a mio figlio mentre studia”, “controllo che faccia i compiti” e “gli faccio ripetere la lezione”. Le famiglie più agiate sono invece in vantaggio su punti come “propongo a mio figlio esercizi complessi” o “gli assegno esercizi indiretti”. Dovremmo approfondire con dei colloqui telefonici questo aspetto. Stiamo cercando fondi per proseguire la nostra ricerca, che purtroppo si sta rivelando molto d’attualità. Vogliamo anche estenderla ad altri 11 paesi del mondo, Italia inclusa”.