Primaria, addio voto in decimi dal 2020/21, cosa è cambiato

da Orizzontescuola

di Antonio Fundaro

Il dilemma della valutazione è uno dei più importanti tra quelli che costituiscono l’insieme delle scienze pedagogiche. I dibattiti e le ricerche, sia a livello teoretico e filosofico, che sul piano della indagine scientifica, sono stati e sono numerosissimi, tanto da aver innalzato la docimologia a settore caratteristico delle scienze dell’educazione.

Senza inserirsi qui in merito alle questioni teoriche, se sia bene o no, se sia opportuno o no il valutare; se la valutazione costituisca o no strumento del «potere» per condizionare gli individui a stereotipi di comportamento e di conoscenza; senza approfondire se la valutazione «valuti» veramente il discente e non piuttosto il docente (tutti argomenti di estremo interesse, esulanti però dallo scopo primario del presente lavoro), noi partiamo da una semplice constatazione di fatto: il ritorno annunciato quasi pedissequo alla legge n. 517 del 4-8-1977, che aveva istituzionalizzato la «scheda personale». Come se il problema più rilevante della scuola italiana fosse, nuovamente, il sistema valutativo utilizzato sulla pagella (i voti) o sulla scheda (i giudizi). Perché, a detta di qualche politico improvvisato a pedagogista, l’indicazione numerica equivale ad etichettare un soggetto in formazione con un numero. Bene, perché, eventualmente, un giudizio che fa? Dire scarso è meglio di attribuire un 4? O ricevere un mediocre su di un elaborato è più appagante di un 5 numerico?

Quarant’anni fa, di punto in bianco, a partire dall’anno scolastico 1977-78, gli insegnanti, abituati al più che secolare sistema valutativo dei voti e delle pagelle, si trovarono davanti la scheda di valutazione, senza che quasi nessuno si fosse dato pensiero di fornire loro indicazioni, di promuovere un processo di recepimento psicologico e di approccio alle tematiche d’uso del nostro nuovo strumento valutativo, se si eccettuano gli esigui indirizzi ministeriali, più larghi di disposizioni burocratico-amministrative che di veri e propri suggerimenti metodologici, Tutto ciò provocò, allora, le reazioni più disparate; da una parte, alcuni docenti evidenziarono fenomeni di totale rigetto, altri invece si schierarono su posizioni di accettazione di formule, vanificate, in verità, dal sostanziale rifiuto della scheda, compilata cosi in modo telegrafico e riduttivo.

I più si indispettirono, più che altro non ravvisarono l’utilità, a tradurre in termini verbalistici, molto spesso contorti e fumosi, giudizi che, peraltro, avevano molto chiari in termini numerici.

Valutazione degli alunni in decimi

Per gli alunni dei diversi ordini di scuola è prevista una valutazione periodica (trimestrale o quadrimestrale) e una valutazione finale, riferite sia ai livelli di apprendimento acquisiti sia al comportamento.

Per quanto riguarda gli apprendimenti nelle varie discipline di studio, per gli alunni del primo ciclo (scuola primaria e scuola secondaria di I grado) la valutazione, in base alle disposizioni apportate dalla legge 169/2008 confermato dal decreto legislativo n. 62 del 2017, viene espressa con voto in decimi anziché con giudizio sintetico. Per gli studenti degli istituti superiori sono confermate le norme precedenti che già prevedevano la valutazione con voto in decimi. Per quanto riguarda invece il comportamento, in base alla legge 169/2008, è prevista la valutazione con voto in decimi per gli studenti della secondaria di I e di II grado. Per gli alunni della scuola primaria la valutazione viene espressa invece con giudizio, non con voto in decimi.

La valutazione nelle classi intermedie avviene per scrutinio, mentre per le classi terminali (terzo anno di scuola secondaria di I grado, ultimo anno delle superiori) avviene per esame di Stato.

Valutazione nella scuola primaria in decimi

La valutazione degli apprendimenti acquisiti e del comportamento dell’alunno, nonché le decisioni relative alla promozione alla classe successiva, vengono adottate dai docenti della classe.

La valutazione viene registrata su un apposito documento di valutazione (scheda individuale dell’alunno) nei modi e nelle forme che ciascuna scuola ritiene opportuni; viene consegnata alla famiglia e accompagnata da un colloquio esplicativo.

Le modalità di valutazione alla Primaria, oggi

Criteri e modalità della valutazione sono definiti dal “Regolamento di coordinamento delle norme sulla valutazione degli alunni” con il dpr 22 giugno 2009, n. 122 e dal Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 62 contenente “Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della legge 13 luglio 2015, n. 107”.

La Legge 30 ottobre 2008, n. 169 e il ritorno ai decimi per la Primaria

La Legge 30 ottobre 2008, n. 169 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1º settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università” segna, in qualche modo, l’epocale ritorno ai numeri. L’Articolo 3 recante disposizioni su “Valutazione sul rendimento scolastico degli studenti” al comma 1 recita “Dall’ anno scolastico 2008/2009, nella scuola primaria la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite sono effettuati mediante l’attribuzione di voti espressi in decimi e illustrate con giudizio analitico sul livello globale di maturazione raggiunto dall’alunno”. Stessa previsione, al comma 2, pure per la Secondaria di primo grado “Dall’anno scolastico 2008/2009, nella scuola secondaria di primo grado la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite nonché la valutazione dell’esame finale del ciclo sono effettuate mediante l’attribuzione di voti numerici espressi in decimi”.

A proposito scriveva Pasquale D’Avolio “Il punto è che con la L. 169 arriva a conclusione un percorso, iniziato da Berlinguer, di arretramento rispetto alla “scheda di valutazione” inaugurata con la L. 517 e siamo risospinti all’indietro agli anni 70 et antea. Perché, è inutile nasconderselo, la prima breccia era stata aperta con il passaggio dalla scheda approntata negli anni 80 (con gli indicatori disciplinari e i livelli “letterali” per ogni disciplina) alla scarna scheda del 96, che aveva interrotto la ricerca sui metodi e gli strumenti di una valutazione non semplicemente “sommativa” nella scuola dell’obbligo. E dire che in quegli anni in molti Istituti superiori, tra cui quello da me diretto, dove vigeva e vige il semplice voto numerico su registri e pagelle, si incominciavano a studiare e applicare sperimentalmente registri e schede valutative di tipo nuovo, sul modello della scuola dell’obbligo, da affiancare alla canonica pagella”. E continua D’Avolio “Per non parlare dell’intenso dibattito sulla “valutazione” originatosi negli anni della Moratti con la proposta di Bertagna sul “portfolio”. La componente più avanzata (?) sul piano pedagogico-didattico del mondo della Scuola (e i Sindacati in primis) bollò quella proposta come negativa e inattuabile: eppure si andava “oltre” la stessa valutazione intesa come semplice certificazione di “traguardi” e si prefigurava un modello valutativo di tipo “narrativo”. Tra il portfolio e il semplice ritorno al voto numerico il balzo è davvero enorme. Meraviglia non sentire la voce di Bertagna in questo momento, o almeno a me non è nota”.

Il DPR 22 giugno 2009, n. 122: i decimi

Era stato l’articolo 2 del DPR n. 122/2009 ha sottolineare la necessità della valutazione numerica alla Primaria. Di fatto l’articolo 2 che disciplina la “Valutazione degli alunni nel primo ciclo di istruzione” al comma 1 prevede che “La valutazione, periodica e finale, degli apprendimenti è effettuata nella scuola primaria dal docente ovvero collegialmente dai docenti contitolari della classe e, nella scuola secondaria di primo grado, dal consiglio di classe, presieduto dal dirigente scolastico o da suo delegato, con deliberazione assunta, ove necessario, a maggioranza”; e al comma. 2 che “I voti numerici attribuiti, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto-legge, nella valutazione periodica e finale, sono riportati anche in lettere nei documenti di valutazione degli alunni, adottati dalle istituzioni scolastiche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 14, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275”.

Il Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 62: i decimi

Il Decreto conferma il principio che la valutazione formativa è necessaria per provare lo sviluppo dell’identità personale di ogni studente e incoraggia l’autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze: ogni istituzione scolastica deve saper certificare l’acquisizione delle competenze gradualmente acquisite da ciascun alunno, anche al fine di favorire l’orientamento per la prosecuzione degli studi.

Il D. Lgs. 62/2017 all’articolo 2 “Valutazione nel primo ciclo” al comma 1 riproponeva la valutazione in decimi, quando recita “La valutazione periodica e finale degli apprendimenti delle alunne e degli alunni nel primo ciclo, ivi compresa la valutazione dell’esame di Stato, per ciascuna delle discipline di studio previste dalle Indicazioni Nazionali per il curricolo, è espressa con votazioni in decimi che indicano differenti livelli di apprendimento”. Valutazione che, comunque, per nulla incideva, se negativa sull’ammissione dell’alunno alla classe successiva. Infatti, l’articolo 3 relativo ad “Ammissione alla classe successiva nella scuola primaria” al comma 1 propone che “Le alunne e gli alunni della scuola primaria sono ammessi alla classe successiva e alla prima classe di scuola secondaria di primo grado anche in presenza di livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione”; al comma 2 “Nel caso in cui le valutazioni periodiche o finali delle alunne e degli alunni indichino livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione, l’istituzione scolastica, nell’ambito dell’autonomia didattica e organizzativa, attiva specifiche strategie per il miglioramento dei livelli di apprendimento”; e al comma 3, infine, che “I docenti della classe in sede di scrutinio, con decisione assunta all’unanimità, possono non ammettere l’alunna o l’alunno alla classe successiva solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione” slegati, dunque, alla materialità del voto.

L’Atto Senato n. 1174 e l’Atto Camera n. 2525: il ritorno ai giudizi?

Ed oggi? Cosa sta capitando in piena pandemia?

“L’emendamento prevede che nella scuola primaria i bambini non possano essere considerati dei numeri. Dare un 4 può essere un macigno pesante da comprendere mentre una valutazione più complessiva prende in considerazione le caratteristiche del bambino. Ovviamente vanno trovate le parole adeguate e la valutazione va fatta in termini di giudizio sintetico”, spiega la senatrice Vanna Iori all’ANSA. “Il giudizio tiene conto della specificità e della individualità di ogni singolo bambino – aggiunge – mentre il voto numerico livella e rende tutti uguali, anche se ci sono diverse motivazioni dietro a quel voto”. La senatrice, due lauree e il titolo di Dottore di ricerca in Pedagogia (Education), dopo avere insegnato Italiano e Latino nei Licei, è diventata docente universitario. Di fatto, l’ultima volta che ha messo piede alla primaria aveva 10 anni.

Non è nostra intenzione addentrarci nella polemica che l’abolizione del voto, sebbene solo in Commissione, ha provocato nell’ambiente scolastico. Ci pare, tuttavia, doveroso considerare che, invece di indulgere a gesti di insofferente insubordinazione, a lamentosi commenti acquiescenti accettazioni formali, sostanzialmente vuote di contenuto, sia più serio e più utile affrontare il problema dal punto di vista della concretezza, del come e che cosa sia possibile fare nell’eventualità dovesse diventare legge questo nuovo pugno allo stomaco della scuola. A nostro avviso solo tentando di ragionare sulla questione, scevri da pregiudizi, i docenti potranno individuarne e scoprirne le possibilità, i limiti, i difetti, sulla base non tanto di opinioni personali, soggettive e quindi inevitabilmente intrise di emotività, quanto piuttosto su solidi dati di fatto, rilevati oggettivamente dalla razionalizzazione dell’esperienza acquisita con l’uso. Pertanto, il problema che l’insegnante dovrebbe porsi è: come valutazione nel miglior modo possibile?

Modificazioni apportate in sede di conversione al decreto-legge 8 aprile 2020, n. 22

L’emendamento approvato dal Senato e trasmesso alla Camera dei deputati, dove è diventato Atto Camera n. 2525, prevede che dopo il comma 2 sia inserito il seguente comma 2-bis che recita: «In deroga all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62, dall’anno scolastico 2020/2021, la valutazione finale degli apprendimenti degli alunni delle classi della scuola primaria, per ciascuna delle discipline di studio previste dalle indicazioni nazionali per il curricolo, è espressa attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione e riferito a differenti livelli di apprendimento, secondo termini e modalità definiti con ordinanza del Ministro dell’istruzione», di fatto introducendo, senza alcun dibattito pedagogico e docimologico, la valutazione con giudizio descrittivo. Il comma seguirebbe l’altro comma, il numero 2, pure modificato che dovrebbe recitare così, rimanendo inalterato rispetto la modifica subita e approvata al Senato della Repubblica “Le ordinanze di cui al comma 1 definiscono i criteri generali dell’eventuale integrazione e recupero degli apprendimenti relativi all’anno scolastico 2019/2020 nel corso dell’anno scolastico successivo, a decorrere dal 1° settembre 2020, quale attività didattica ordinaria. Le strategie e le modalità di attuazione delle predette attività sono definite, programmate e organizzate dagli organi collegiali delle istituzioni scolastiche. L’eventuale integrazione e recupero degli apprendimenti di cui al primo periodo tiene conto delle specifiche necessità degli alunni delle classi prime e intermedie di tutti i cicli di istruzione, avendo come riferimento il raggiungimento delle competenze di cui alle indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, alle indicazioni nazionali per i licei e alle linee guida per gli istituti tecnici e professionali”.

Come fare le osservazioni

Qualunque sia il tipo di argomentazione in favore o contro, qualunque sia l’aggettivazione usata, numero o giudizio (esteso o sintetico) se cioè le osservazioni debbano essere sistematiche o no, sta di fatto che, se si vuole procedere ad una valutazione il più possibile onesta, corretta, rispondente alla reale situazione dell’alunno durante il corso del suo iter scolastico, è necessario osservare quello che fa, come si comporta, come reagisce alle sollecitazioni che gli provengono dall’ambiente scolastico.

Il rifiuto ideologicamente aprioristico dell’osservazione e della registrazione delle manifestazioni comportamentali ed intellettive dell’alunno è, a nostro modesto parere, da rigettare decisamente, sia per ragioni di carattere giuridico, sia perché non è oggettivamente pensabile una valutazione reale se non si dispone di una sufficiente messe di dati, oggettivi per quanto possibile, sulla base dei quali esprimere la valutazione stessa. Posta, quindi, la necessità, occorre stabilire su cosa fare e come fare le osservazioni.

L’idea abbastanza diffusa è che i docenti della Primaria saranno nuovamente caricati da ulteriori incombenze di tipo (impropriamente, però) burocratico, non sempre indispensabili ai fini di una “corretta” valutazione. Senza richiamare le argomentazioni di carattere pedagogico e didattico a favore della “scheda” con giudizio, peniamo siano da sottolineare alcuni punti di carattere generale sui quali non si può non riflettere.

Su cosa fare le osservazioni

Dal punto di vista normativo, i programmi della scuola dell’obbligo indicano, come fine dell’attività scolastica, la promozione di tutte quelle potenzialità, sia sul piano psico-caratterologico, sia su quello intellettivo-cognitivo, che, da un lato, facilitino il migliore, più armonico e più proficuo inserimento dell’alunno nell’ambiente socio-culturale di appartenenza, dall’altro, permettano lo sviluppo delle capacità personali atte a contribuire positivamente alla modificazione evolutiva delle caratteristiche ambientali.

Ciò premesso, è chiaro che le osservazioni andranno condotte sul duplice versante psico-caratterologico e intellettivo-cognitivo della personalità di ogni alunno.

Voti e soggettività nell’attribuzione

Il ritorno ai giudizi al posto dei voti è solo un’illusione di cambiamento. Senza un serio sistema nazionale di valutazione ciò che accade nelle classi e nelle scuole rimarrà appannaggio delle soggettività. Un reale cambiamento delle forme della valutazione non potrà incidere in assenza di una larga condivisione dei criteri e procedure valutative specifiche e di un rigoroso monitoraggio della loro relativa applicazione. Problema complesso, certo, ma che non può essere liquidato né con promesse di sistemi in via di allestimento, né con scorciatoie demagogiche. Guido Benvenuto in “I voti e la misura del successo scolastico. Come, cosa e perché”, facendo il riferimento a quel famoso passaggio (inverso, dunque, all’odierno) aveva ribadito che “Tornare ai voti, nella fascia scolastica primaria e secondaria di primo grado, dopo aver sperimentato i giudizi è un discutibile ritorno all’antico, che non va ostracizzato per principio, ma perché il passaggio dal voto ai giudizi fu salutato da tutti come un ampliamento di significato per la valutazione e per la condivisione dei criteri valutativi. Il giudizio è l’espressione (analitica o sintetica) di una valutazione e può, se ben fatto, esplicitare i livelli, i criteri, le prospettive. Il voto nasconde o illude che tutto quel processo valutativo sia stato svolto. Il voto è un’espressione quantitativa di un giudizio, spesso complesso e articolato, e proprio perché “strizza” un insieme complesso di dimensioni rischia di amplificare la soggettività, soprattutto se non poggiato su forme e modalità di rilevazioni rigorose e trasparenti. Insomma, il voto fa risparmiare tempo e fatica al docente, ma se non è sintesi oculata, giudizio ponderato, e quindi risultante di una lettura complessa è l’esplicito rifugio della soggettività. Il lato positivo del mettere i voti a scuola può piuttosto consistere nell’invito al senso di responsabilità che ogni attività di sintesi complessa richiede. Ma senza punti di riferimento che solo una sana cultura della valutazione può fornire, il rischio è che quella responsabilità si trasformi nel suo contrario. Per questo motivo sin dagli anni ’60 e soprattutto ’70 l’opposizione alla soggettività valutativa si è concentrata sulla diffusione di test nella scuola, come potenti e democratici strumenti per la valutazione in classe e del sistema scolastico. A patto però che siano costruiti nel rispetto di precise caratteristiche metrologiche e finalità educative. E così invece di chiedere ai docenti di confrontarsi sulle loro scale di valutazione, sui loro criteri e modalità valutative, e quindi spingerli a mettere in comune i diversi punti di vista, argomentandoli con giudizi ed esplicitandoli linguisticamente li si aiuta chiedendogli di utilizzare una scala unitaria, tra diseguali e senza alcun riferimento a standard di livello. Un vero cambiamento sarebbe invece portare i giudizi anche alle secondarie di secondo grado o se si vuole proprio eliminare il formalismo e la finzione decidere di eliminare i voti a scuola. Ma questo sarebbe troppo e in assenza di un sistema di valutazione nazionale sarebbe un gesto di scellerata anarchia. Rimane allora l’illusione del voto e della sua presunta rigorosità valutativa, che trova nella prospettiva del maestro unico la sua più illuminante conseguenza. Eliminare il confronto e l’integrazione dei punti di vista per un accordo automatico, soggettivo”.

Una presa di posizione forte di richiamo alla responsabilità sia per i docenti che per la politica.

Responsabilità

In un modo o nell’altro i docenti erano chiamati e sono oggi ri-chiamati a valutare: voti o giudizi che siano. Dobbiamo tornare ai veri problemi e non nasconderci dietro l’obbligatorietà che oggi ri-presentata nel sistema scolastico. Scrive Guido Benvenuto “Vale a dire dobbiamo prepararci a forme di rilevazione più condivise e trasparenti possibili (con uso di descrittori e rubriche valutative, ma anche con formule standardizzate più coerenti con la certificazione delle competenze) e rendere conto dei sistemi di “giudizio” che possiamo adottare, differenziandoli in funzione dei tempi e funzioni della didattica”. Scrive Gatuttolo in “Didattica e docimologia” (Armando editore, Roma) “coi punteggi ottenuti con prove oggettive è possibile giungere soltanto a una graduatoria (a dire cioè chi è primo, chi è secondo, e così via, fino all’ultimo), e non anche a misurare con precisione l’entità degli intervalli intercorrenti tra i diversi soggetti della classifica: le unità di misura delle prove oggettive, che sono punti, non sono infatti uguali tra loro, e nemmeno costanti nel tempo, se non per convenzione (così, non ogni punto dei quesiti vero-falso è realmente uguale agli altri; e una scelta multipla di tipo semplice a quattro alternative vale veramente tre quesiti vero-falso?). La possibilità tuttavia di costruire quesiti positivamente discriminanti e con difficoltà costante permette di ottenere, almeno nel caso della standardizzazione, questionari sufficientemente precisi, i cui risultati è pratico e conveniente utilizzare come se fossero tipici di misurazioni di terzo tipo”.

Una “equa” valutazione

Fin qui gli aspetti giuridici. Resta inteso che una valutazione “giusta”, “equa”e “trasparente” necessita di ulteriori elementi di cui le Scuole autonomamente dovrebbero farsi carico: descrittori disciplinari, modalità e tempi delle verifiche. La “questione” valutazione resta aperta e non viene “tagliata con l’accetta” normativa lasciata all’iniziativa, tutt’altro che pedagogica, della politica, a patto che i docenti la sentano come uno dei punti essenziali dell’impegno proprio impegno pedagogico e didattico.